Dimenticare Baghdad
“L'Iraq è peggio che nel 2006” e ora presenta le sue richieste a Obama
Oggi arriva a Washington il primo ministro dell’Iraq, Nouri al Maliki, che domani incontra il presidente Barack Obama alla Casa Bianca. Due giorni fa Foreign Policy ha pubblicato sul suo sito un saggio breve sul disastro in corso in Iraq, dove al Qaida ha ricominciato a pieno regime una campagna di operazioni militari e di stragi contro il governo guidato da al Maliki e contro i civili – i morti quest’anno sono già 7.000. Al Qaida in Iraq si sta anche saldando ai gruppi estremisti che combattono il presidente Assad in Siria, come se il confine tra i due paesi non esistesse più o quasi.
Oggi arriva a Washington il primo ministro dell’Iraq, Nouri al Maliki, che domani incontra il presidente Barack Obama alla Casa Bianca. Due giorni fa Foreign Policy ha pubblicato sul suo sito un saggio breve sul disastro in corso in Iraq, dove al Qaida ha ricominciato a pieno regime una campagna di operazioni militari e di stragi contro il governo guidato da al Maliki e contro i civili – i morti quest’anno sono già 7.000. Al Qaida in Iraq si sta anche saldando ai gruppi estremisti che combattono il presidente Assad in Siria, come se il confine tra i due paesi non esistesse più o quasi. Ma domenica il New York Times ha pubblicato l’altro pezzo da leggere di questa settimana, che racconta come l’Amministrazione Obama abbia deciso di distaccarsi quasi completamente dai problemi del medio oriente. La nuova linea politica è stata decisa da un gruppo ristretto alla Casa Bianca guidato dal consigliere per la Sicurezza nazionale, Susan Rice, senza consultare il dipartimento di stato, la Difesa e l’intelligence. Che fare però, quando al Maliki in stato d’emergenza bussa alla porta?
Il saggio su Fp è firmato da David Petraeus, il generale che alla fine del 2006 fu giocato come ultima carta dal predecessore di Obama, George W. Bush, per riprendere il controllo di una guerra che ormai una grande parte dell’opinione pubblica americana considerava persa. Il succo del pezzo del generale è: “In Iraq avevamo fatto un capolavoro di strategia militare e politica, battendo gli estremisti e rimettendo il paese sui binari della ricostruzione civile. Ma dopo che siamo andati via i leader politici iracheni hanno sprecato la nostra vittoria e ora la situazione è peggiore che allora. Se non si sbrigano ad applicare le stesse lezioni apprese da noi, tutto il nostro lavoro andrà perso, ma il tempo a disposizione è quasi finito”. Il saggio è in realtà un riadattamento della prefazione scritta da Petraeus al libro del suo braccio destro uscito due giorni fa (“Surge”, di Peter Mansoor, per Yale Press) e – senza mai dirlo esplicitamente – è una critica dura e piena di nostalgia all’Amministrazione Obama e al disinteresse dichiarato per il medio oriente.
Petraeus ricorda il 2007 e scrive: “Credo che nessun generale sul campo di battaglia abbia mai avuto la stessa frequenza di contatti con il suo commander in chief”. Sei anni più tardi, lo stesso primo ministro iracheno che lui accompagnava a visitare le province riportate più o meno sotto controllo arriva a Washington da un Iraq di nuovo in guerra con al Qaida, per incontrare un presidente che di medio oriente non vuole più parlare.
Ieri al Maliki ha pubblicato sul New York Times un editoriale per anticipare i temi della sua visita: “Abbiate pazienza con noi”, s’intitola. Assomiglia a una lista di spese militari in cui il governo di Baghdad spera fortemente: “A dispetto delle minacce terroristiche che stiamo fronteggiando, non stiamo chiedendo l’intervento di truppe americane. Piuttosto, vorremmo equipaggiare le nostre forze con le armi che servono a combattere il terrorismo, inclusi elicotteri e altri velivoli […] difficile a credersi, ma l’Iraq non ha un singolo caccia per proteggere il suo spazio aereo”.
Maliki scivola, chiedendo aerei da caccia perché necessari contro i terroristi. E scivola anche più avanti, definendo l’America “la pietra angolare della nostra strategia di sicurezza”, una settimana dopo aver cominciato a ricevere elicotteri da guerra e missili superficie-superficie dalla Russia, con cui ha firmato contratti militari per 4,3 miliardi di dollari. Cita il contenzioso aperto con l’Amministrazione Obama, i rifornimenti iraniani di armi per Assad che passano attraverso l’Iraq, ma nota di nuovo: come faccio a fermarli, se non ho a disposizione le armi per proteggere il mio spazio aereo?
Un gruppo di senatori americani ha scritto ieri una lettera aperta, criticando al Maliki perché esclude i sunniti dalla vita politica e così riattizza la guerra civile con gli sciiti – è la situazione ideale per al Qaida. In realtà Maliki include sunniti nel suo governo, anche in posti importanti, ma ha imboccato una deriva autoritaria: squadre speciali contro l’opposizione e nessuna supervisione da altri poteri.
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