Suite Bretonne

Alessandro Giuli

Bisogna stare attenti a non farli incazzare sul serio, i Bretoni. Ci accorgiamo di loro raramente, qui nel Midi europeo, deliziati tutt’al più dal ricordo delle ostriche di Saint-Malo o dalle radure boschive della foresta di Brocéliande guatate in qualche lontana vacanza. Adesso i Bretoni nel loro ostinato ardore si sono sollevati e hanno piegato in poche ore l’editto parigino che imponeva una tassa speciale sui grandi trasporti via gomma, balzello molesto e umiliante per chi viva di allevamento o poco più. Terra di sangue e poesia, la Bretagna ha nella sua memoria ancestrale il bisogno di opporre la rivolta contadina alla rivoluzione dal basso dei giacobini urbanizzati.

Lo Prete Voilà, les Tea Party

    Bisogna stare attenti a non farli incazzare sul serio, i Bretoni. Ci accorgiamo di loro raramente, qui nel Midi europeo, deliziati tutt’al più dal ricordo delle ostriche di Saint-Malo o dalle radure boschive della foresta di Brocéliande guatate in qualche lontana vacanza. Adesso i Bretoni nel loro ostinato ardore si sono sollevati e hanno piegato in poche ore l’editto parigino che imponeva una tassa speciale sui grandi trasporti via gomma, balzello molesto e umiliante per chi viva di allevamento o poco più.

    Terra di sangue e poesia, la Bretagna ha nella sua memoria ancestrale il bisogno di opporre la rivolta contadina alla rivoluzione dal basso dei giacobini urbanizzati. E’ certo un lascito profondo della Vandea bretone settecentesca (la Chouannerie, una specie di sanfedismo un po’ meno straccione di quello filo borbonico), ma c’è altro e questo altro è nei versi della “Suite Armoricaine” che il bardo bretone par exellence, Alan Stivell, ha dedicato alla sua terra: “Et par ici ‘faut être dans l’moule, à Paris si on l’est c’est cool… ça vous paraît con qu’on parle breton… pourquoi tant de haine, oh, on veut vivre libre comme l’air, comme l’eau… Nation bretonne étonneras ceux qui croyaient t’enterrer déjà”. Ci vorreste nella muffa o sotto terra, voi metropolitani senza patria, vi sembra una coglionata l’amore per la nostra lingua impronunciabile, ricambiate con odio la nostra mite aspirazione a vivere liberi nel nostro pagus come l’aria e l’acqua. E allora, quando occorre, on va se bagarrer.

    Eccola qua la Bretagna, Breizh la chiamano i suoi figli, che non è l’anti Francia ma l’anti Parigi sì. Due modi di esistere così distanti: la capitale della grandeur inclina periodicamente al furore dei sanculotti e dunque sradica, livella, taglieggia, sostituisce i doveri sociali coi diritti di genere, inventa neolingue totalitarie e plebee dentro i caffè di Saint-Germain-des-Prés, lì dove non si può dire “oui” senza aspirare la vocale in coda, “ouìhh”, pena l’apparire come bifolchi dagli zigomi tondeggianti proprio come i bretoni. I quali alla lunga s’incazzano per forza, abbandonano le distillerie di sidro, ripongono l’arpa e tornano aristocrati baffuti coi forconi nella destra, eredi non indegni di quei Galli dalle chiome indomite che si piegarono alle legioni di Roma (ma i celtomani si rassicurino: Cesare vantava un’amicizia personale con l’archidruido Diviziaco e fece degli ottimati celti altrettanti senatori romani, i loro discendenti ci ricambiarono dandoci in età tarda magistrati fedeli e poeti ispirati come Claudio Rutilio Namaziano). La verità è che il villaggio di Asterix esiste ancora ed è in Bretagna, non c’entra niente con gli eroi di René Goscinny e Albert Uderzo, quelli capaci di atterrare i centurioni soltanto in un mondo fantasmatico e consolatorio. Oggi Asterix è vivo, abita a Brocéliande e lotta insieme a noi.

    Lo Prete Voilà, les Tea Party