Il compagno Fausto B., aspettando la fine della controffensiva liberista

Lanfranco Pace

In fondo l’unico che ha colto la sua vera natura è stato Corrado Guzzanti, “la responsabilità è pallosa, funerea, il comunismo è fantasia, meglio stare in strada a rompere i coglioni e a fare gli scherzi”. Da quando ha deciso che la classe è in un recinto e dai recinti non si governa e ha lasciato a Nichi Vendola il compito della politica dell’inutile, il compagno Fausto B., colui che fece cadere due volte Prodi, vive una seconda giovinezza e si ripropone come poil à gratter di una sinistra che vede – e non è il solo – con identità sempre meno marcata e idee sempre più deboli.

    In fondo l’unico che ha colto la sua vera natura è stato Corrado Guzzanti, “la responsabilità è pallosa, funerea, il comunismo è fantasia, meglio stare in strada a rompere i coglioni e a fare gli scherzi”. Da quando ha deciso che la classe è in un recinto e dai recinti non si governa e ha lasciato a Nichi Vendola il compito della politica dell’inutile, il compagno Fausto B., colui che fece cadere due volte Prodi, vive una seconda giovinezza e si ripropone come poil à gratter di una sinistra che vede – e non è il solo – con identità sempre meno marcata e idee sempre più deboli. Per riflettere in una tre giorni a Roma ha riunito l’americano James K. Galbraith, figlio del più famoso John, il francese Etienne Balibar che fu un tempo l’alter ego di Louis Althusser, il tedesco Heinz Bierbaum, a lungo consulente del sindacato Ig-Metall, l’italiano Marco Revelli e una quarantina di intervenienti: il tema, come spesso a sinistra, era da emicrania, “capitalismo finanziario globale e democrazia in Europa”. Non bastasse, il compagno B. durante le pause si è messo a fare capannelli sugli anni in cui la Camera del lavoro di Torino era una potenza, in cui Emilio Pugno teneva testa a Luciano Lama. Al centro del paese c’era la classe operaia, al centro della classe c’era la Fiat, al centro della Fiat, Mirafiori e al centro di Mirafiori la carrozzeria, perché persino gli operai della meccanica venivano visti di sguincio, un po’ storti, troppo professionali e inclini al compromesso, diversi insomma dai selvaggi senza arte né parte venuti per lo più dal sud che, la macchina, la montavano e la verniciavano e appena si gridava “scopa!” a centinaia formavano un minaccioso corteo che ramazzava tutta la fabbrica e strapazzava capi e capetti, ruffiani e crumiri e persino Romiti si domandava se mai sarebbe stato in grado di ristabilire l’ordine produttivo.

    Ci riuscì, ovviamente, perché chi non vince prima o poi finisce per perdere, Bisanzio cade e non c’è più salvezza. L’internazionale dei Romiti, insomma i capitalisti, misero fine allo “scandalo del secolo”, al salario che si rifiutava di dipendere dalla produttività, agli aumenti di reddito e al tempo sottratto al lavoro sulla base dei soli rapporti di forza. Da allora vivono di innovazione ma anche di consumo individuale a debito e devono ringraziare la Cina per averli salvati nel 2008. Anche se non lo dicono, di operai ce ne sono ancora e tanti, due miliardi nel mondo, ma i Cesari hanno imparato la lezione, di concentrazioni grandi come la vecchia Mirafiori ce ne sono sempre di meno: è la fabbrica che si frantuma, si sposta, è l’impresa che si fa “precaria, effimera e nomade”, bella formula di Marco Revelli.
    Sembrano passate ere geologiche ma un filo rosso c’è, il compagno B. la chiama la controffensiva neoliberista. Vorrà dire qualcosa, oltre il piano simbolico, se l’ascesa del reaganiano-thatcherismo coincide anche quasi da un punto di vista temporale con la resa della ridotta Flm alla Fiat dopo 35 giorni di sciopero e quella marcia dei quarantamila quadri e impiegati del gruppo, che sfilò come piazza pronta ad affrontare l’altra piazza e per la prima volta si vide un lampo di possibile guerra civile. Da allora gli spiriti animali hanno preso il sopravvento e conquistato un’egemonia culturale che detengono tuttora. Nonostante squilibri persistenti e storture evidenti, nonostante crisi e bolle scoppiate in successione, con regolarità impressionante ogni tre quattro anni, il keynesismo, stella polare del riformismo della sinistra europea, è l’eterno secondo. D’altronde anche negli Stati Uniti arranca: Galbraith si chiede perché, lui e l’amico Paul Krugman, non riescano ad avere ragione sugli avversari che non hanno nemmeno più lo spessore dei vecchi maestri della Scuola di Chicago.

    Lo spirito del 1945 che Ken Loach ha cantato nel suo ultimo film è scomparso. All’idea che il settore pubblico possa fare bene come il privato e per di più essere socialmente utile credono solo quelli che manifestano e firmano petizioni per i beni comuni. Nessuno spiega come sia possibile assicurare lavoro, ritrovare addirittura l’orizzonte della piena occupazione dei “trenta gloriosi”, quando tutte le innovazioni tecnologiche sono orientate a risparmiare lavoro. Anche questo mina la democrazia rappresentativa facendo emergere forme di autoritarismo tecnocratico.
     

    • Lanfranco Pace
    • Giornalista da tempo e per caso, crede che gli animali abbiano un'anima. Per proteggere i suoi, potrebbe anche chiedere un'ordinanza restrittiva contro Camillo Langone.