Tweet da orbi
Sono rapaci, le dicerie: scelgono una preda, la braccano, la spolpano, vi si accaniscono finché non se ne annoiano, poi la lasciano lì a marcire e via, a inseguirne un’altra. Questo non toglie che vi siano specie prese di mira più di altre. “L’eterno ritorno delle voci è il destino dei capri espiatori”, scriveva Jean-Noël Kapferer in un libro sui più antichi media del mondo, “Le voci che corrono”. “In occidente gli ebrei hanno costituito il modello ideale di capro espiatorio, il bersaglio immediato delle voci: dal presunto avvelenamento dei pozzi durante le epidemie di peste dal 1348 al 1720 fino al sospetto di omicidio rituale”.
Sono rapaci, le dicerie: scelgono una preda, la braccano, la spolpano, vi si accaniscono finché non se ne annoiano, poi la lasciano lì a marcire e via, a inseguirne un’altra. Questo non toglie che vi siano specie prese di mira più di altre. “L’eterno ritorno delle voci è il destino dei capri espiatori”, scriveva Jean-Noël Kapferer in un libro sui più antichi media del mondo, “Le voci che corrono”. “In occidente gli ebrei hanno costituito il modello ideale di capro espiatorio, il bersaglio immediato delle voci: dal presunto avvelenamento dei pozzi durante le epidemie di peste dal 1348 al 1720 fino al sospetto di omicidio rituale”. Il libro è del 1987, e Kapferer poteva ancora illudersi che il destino naturale delle voci fosse quello di spegnersi: non immaginava certo il giorno in cui sarebbero rimaste impigliate in eterno nella rete.
Questo pensavo in margine a una piccola polemica nella polemica che ha coinvolto, nei giorni scorsi, Pierluigi Battista e Gad Lerner. Sarò franco: ho seguito distrattamente la vicenda di Vauro, della sua vignetta contro Fiamma Nirenstein, delle accuse di antisemitismo che si è attirato, della causa per diffamazione che ha intentato, e per ora vinto, contro Caldarola e Polito. Ne ho letto senza passione pensando, banalmente, che un’iconografia antica e feroce lascia tracce profonde e solleva “onde mnestiche” da cui un disegnatore mediocre è facilmente travolto e posseduto, anche senza coscienza o malizia. Ma il punto che mi sta a cuore è un altro. Battista, sul Corriere del 29 ottobre, stigmatizzava il fatto che nell’aula del processo d’appello fosse risuonata per bocca di un magistrato l’espressione, carica di risonanze nere, “razza ebraica”. Si poteva dargli torto? No di certo. Eppure, in risposta, è arrivato un tweet di Gad Lerner: “Fingersi scandalizzati da chi usa l’espressione ‘razza ebraica’ è escamotage furbo ma insulso. La si trova anche nei saggi di Primo Levi”.
Fingersi scandalizzati da chi usa l'espressione "razza ebraica" è escamotage furbo ma insulso. La si trova anche nei saggi di Primo Levi
— Gad Lerner (@gadlernertweet) October 28, 2013
Ognuno ha le sue fissazioni, e quando c’è di mezzo Levi ho lo stesso eccesso di “suscettibilità” che il magistrato al centro del contendere attribuisce agli ebrei. Per trent’anni certi antisionisti arrabbiati si sono fatti scudo di una frase – “Oggi i palestinesi sono gli ebrei di Israele” – che Levi non si sarebbe mai sognato di pronunciare (Domenico Scarpa e Irene Soave, in un articolo esemplare apparso sul Sole 24 Ore nell’aprile del 2012, svelarono la genesi della leggenda). Ora arriva Lerner e dice che l’espressione “razza ebraica” si trova anche nei saggi di Primo Levi. E’ vero? Nemmeno per idea. Lerner era già ricorso all’argomento in un libro di qualche anno fa, “Tu sei un bastardo”, quando la formula incriminata era scappata di bocca a Sabina Guzzanti. Ebbene, la sua pezza d’appoggio per un’affermazione così impegnativa era questa frase da “I sommersi e i salvati”: “Tutte le razze umane parlano; nessuna specie non-umana sa parlare”. Chiunque abbia superato con profitto la terza elementare capisce bene che razza di escamotage sia concludere, da queste parole, che Levi usasse nei suoi saggi l’espressione “razza ebraica”. A cercar bene, la si trova semmai nell’incipit di un racconto del “Sistema periodico”, “Nichel”, che mi limito a trascrivere (a commentarlo insulterei l’intelligenza del lettore): “Avevo in un cassetto una pergamena miniata, con su scritto in eleganti caratteri che a Primo Levi, di razza ebraica, veniva conferita la laurea in Chimica con 110 e lode: era dunque un documento ancipite, mezzo gloria e mezzo scherno, mezzo assoluzione e mezzo condanna”.
I libri di Levi purtroppo sono sempre troppo pochi a leggerli, i libri di Lerner li leggono gli appassionati di Lerner, i bisticci tra giornalisti sono presto dimenticati. Ma un tweet è per sempre. E bisogna pensarci non sette volte, ma settanta volte sette prima di affidare alla memoria lunga della rete una frase come questa. Ci sono voluti trent’anni (e mezzo milione di ripetizioni sul web) per porre un primo, piccolo argine alla leggenda dei palestinesi come “ebrei di Israele”. Meglio agire d’anticipo, se si può. Chi vorrà sostenere, d’ora in poi, che dire “razza ebraica” non è poi la fine del mondo, non pretenda quindi la benedizione di Levi. Si accontenti di quella di Lerner.
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