Big Mother

Annalena Benini

La prima regola, nello spionaggio verso i propri figli, è non farsi beccare. Resistere alla tentazione di dire: lo so che fumi, ho trovato l’accendino frugando nella tua borsa; lo so che bevi, c’era un tappo di Peroni attaccato con lo scotch a pagina ventotto del tuo diario segreto, quello con il lucchetto che ho forzato. Se si vuole sapere, bisogna fingere di non sapere. Simulare anche scarsa dimestichezza con la tecnologia, in modo da non far sospettare loro che si sta usando un Iphone Spy Stick: quando i figli dormono ignari, con il telefono abbandonato acceso sul pavimento, i genitori lo rubano e lo collegano al computer con una chiavetta spiona, che scarica la cronologia dei siti web.

    La prima regola, nello spionaggio verso i propri figli, è non farsi beccare. Resistere alla tentazione di dire: lo so che fumi, ho trovato l’accendino frugando nella tua borsa; lo so che bevi, c’era un tappo di Peroni attaccato con lo scotch a pagina ventotto del tuo diario segreto, quello con il lucchetto che ho forzato. Se si vuole sapere, bisogna fingere di non sapere. Simulare anche scarsa dimestichezza con la tecnologia, in modo da non far sospettare loro che si sta usando un Iphone Spy Stick: quando i figli dormono ignari, con il telefono abbandonato acceso sul pavimento, i genitori lo rubano e lo collegano al computer con una chiavetta spiona, che scarica la cronologia dei siti web, le email, i messaggi di testo, anche quelli eliminati. In questo modo una Big Mother, evoluzione famigliare e angosciata del Grande Fratello, può scoprire che la figlia ha appuntamento al capolinea della metropolitana con un tizio conosciuto in chat, e impedirle di uscire di casa (una di queste Big Mother ha finto di rompersi un braccio cadendo, un’ora prima dell’appuntamento, e nella foga della credibilità si è incrinata due costole, ma la ragazzina le ha detto: quante scene per niente, ed è uscita lo stesso, con la madre dolorante che la inseguiva).

    La tecnologia ci permette di spiare i nostri figli per tutto il tempo, ha scritto New Republic, e in molti pensano che la sorveglianza dei genitori sia un obbligo. Avrebbe a che fare con la responsabilità, con il dovere di vigilare e di impedire che combinino guai seri (due ragazze in Florida sono state arrestate per avere fatto stalking online a una ragazza che si è suicidata, e la colpa dei genitori è stata formalizzata: la colpa di non avere fatto “ciò che i genitori dovrebbero fare”, e cioè entrare dentro quegli smartphone, accorgersi del disastro, fracassarli pubblicamente).

    E allora ci sono caricabatterie con la videocamera incorporata, in grado di registrare video di quel che succede nella stanza chiusa a chiave dei figli, ci sono braccialetti che avvisano con un sms quando il ragazzino esce dalla zona sicura in cui si era stabilito che potesse circolare (pizzeria, piazzetta, casa dell’amica con i capelli rossi) e c’è la localizzazione del cellulare, che usano anche i genitori meno spioni, per sapere se davvero la figlia è al pigiama party della sua compagna di classe, pizza da asporto e Coca-Cola, o sta bevendo Bacardi in qualche discoteca, con i vestiti luccicanti che si è comprata di nascosto grazie alla paghetta della nonna.

    Una Big Mother è pronta quasi a tutto (tranne a non avere paura, tranne a dire: mi fido), anche a creare un finto profilo Facebook, fingendosi una ragazzina sorridente, per poter controllare la bacheca del figlio, che alla madre non darebbe mai l’amicizia. I soliti sondaggi dicono che l’ottantadue per cento dei genitori ritiene che dobbiamo essere in grado di sapere tutto, entrare dappertutto, conoscere le password, naturalmente per il loro bene. Ma un figlio che si sente spiato imparerà molto in fretta a mettere il telefono sotto il cuscino, la notte, a raccontare bugie ancora più elaborate e a inventarsi un profilo Facebook di facciata, con i cuoricini per la mamma e le foto di gatti, a tenere nascoste tutte le verità, anche le più semplici. La Big Mother, intanto, nelle notti insonni passate a frugare nelle tasche e a cercare di scaricare dati dagli iPad incustoditi, dice a se stessa che se lo fanno i governi, se tutti sanno tutto di tutti, allora lei ha il diritto di scoprire dove va suo figlio dopo la scuola, che cosa scrive agli amici e a chi manda gli autoscatti in mutande. Un po’ per preoccupazione, ma un po’ anche per quell’incrollabile, sbagliata, continua appropriazione delle vite degli altri.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.