Un classico è sempre una novità, specie per il mercato editoriale in crisi
Cos’hanno in comune Stendhal, Aldo Busi, James Bond e Bridget Jones? Un sottile filo di scetticismo che ha legato quattro operazioni editoriali controverse. Einaudi ha scelto di pubblicare le nuove traduzioni de “Il rosso e il nero” e di “Delitto e castigo” non nella collana dei classici tascabili (dov’erano già in catalogo le vecchie traduzioni) ma nei Supercoralli. Così Stendhal e Dostoevskij beneficiano non solo dell’evidenza che in libreria spetta alle novità ma anche di un prezzo elevato: costano 24 euro, circa il doppio delle traduzioni precedenti, tuttora in commercio.
Cos’hanno in comune Stendhal, Aldo Busi, James Bond e Bridget Jones? Un sottile filo di scetticismo che ha legato quattro operazioni editoriali controverse. Einaudi ha scelto di pubblicare le nuove traduzioni de “Il rosso e il nero” e di “Delitto e castigo” non nella collana dei classici tascabili (dov’erano già in catalogo le vecchie traduzioni) ma nei Supercoralli. Così Stendhal e Dostoevskij beneficiano non solo dell’evidenza che in libreria spetta alle novità ma anche di un prezzo elevato: costano 24 euro, circa il doppio delle traduzioni precedenti, tuttora in commercio. Il nobile intento è di dare a ogni generazione la propria edizione di un classico ma anche, meno romanticamente, di coprire una fetta di mercato opposta a quella inseguita da Newton Compton che offre gli stessi romanzi a 6-7 euro. Newton valorizza i classici favorendone la diffusione, Einaudi curandone la preziosità: sono entrambi metodi legittimi. Sorprende piuttosto che il Corriere abbia criticato la scelta di proporre una nuova traduzione sostenendo che l’adeguamento agli standard linguistici correnti avrebbe danneggiato il fascino del contenuto. In alcuni casi è vero: Steinbeck, ripubblicato da Bompiani, è all’altezza dei grandi scrittori italiani perché i suoi traduttori sono Montale, Pavese, Bianciardi, Vittorini. In larga parte però le traduzioni sono di servizio e come tutti i servizi andrebbero periodicamente aggiornate; l’esempio preclaro è l’“Ulisse” di Joyce, rifiorito in libreria grazie alle dinamiche traduzioni di Celati e Terrinoni, volute non a caso da Einaudi e Newton.
La critica del Corriere si sarebbe maggiormente attagliata alle riscritture dei classici italiani annunciate da Rizzoli, con prima uscita il “Decamerone” rifatto da Busi. Stigmatizzare a priori l’operazione è da snob: non si vede perché uno studente possa capire Hobbes leggendolo in traduzione corrente ma debba scervellarsi su cosa avrà voluto dire Machiavelli. Se si vuole approfondire, c’è sempre l’originale che non viene di certo bruciato in piazza. Inoltre, nei secoli scorsi, era frequente che un testo di successo subisse prosecuzioni e rimaneggiamenti indipendenti dalla volontà dell’autore, per far fronte alla domanda del grande pubblico che desiderava leggerlo in versione più semplice o sapere cosa succedeva dopo il finale, con l’originale ridotto a canovaccio.
Su questo principio va interpretata la controversa uscita (in Inghilterra, per ora) di “Solo”, nuovo romanzo della saga di James Bond: poiché il protagonista è sopravvissuto all’autore di 007, Ian Fleming, l’editore ha chiesto a William Boyd di scriverlo lui. Prima che uscisse ci si è stracciati le vesti per lesa maestà. Poi chi l’ha letto ha ammesso che l’esperimento è riuscito; anzi, secondo l’Observer, addirittura meglio di talune prove di Fleming stesso. Anche il nuovo romanzo con Bridget Jones, “Mad about the boy”, ha suscitato recensioni estreme e contrapposte. Quelle negative (Daily Telegraph) si basano sull’idea che, con la morte di Darcy, Helen Fielding abbia sottratto afflato alla trama privandola dello sviluppo coniugale e abbia quindi tradito le premesse dell’autrice dei volumi precedenti, che però è sempre lei. Quelle positive (Guardian) fanno notare che invece la Fielding è riuscita a far evolvere in maniera coerente al loro carattere e ai tempi odierni le psicologie degli strambi amici di Bridget, rendendoli personaggi vivi quanto James Bond benché secondari.
Che si tratti di evoluzione endogena o prosecuzione postuma o riscrittura drastica o ritorno in nuova veste, i quattro casi dimostrano che esistono due tipi di libri: quelli che una volta chiusi finiscono e quelli che invece continuano. Ragion per cui Einaudi ha fatto solo bene a rendere plasticamente l’idea che un vero classico è sempre una novità.
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