Operare in Libia, a nostra insaputa

Daniele Raineri

Una notizia festosa da Tripoli – sorveglianza elettronica e aerea dei confini libici grazie all’Italia –  per ora cade nel silenzio del governo italiano. Mercoledì il primo ministro libico Ali Zeidan annuncia in conferenza stampa che “l’Italia comincerà la sorveglianza aerea ed elettronica dei confini libici. L’area sorvegliata coprirà il tratto tra al Aywanat, vicino alla frontiera con Egitto e Sudan, fino alla congiunzione tra il confine libico e quelli di Algeria e Tunisia”. Domenica la notizia è ripresa dal sito di notizie libiche in lingua inglese Lybia Herald.

    Una notizia festosa da Tripoli – sorveglianza elettronica e aerea dei confini libici grazie all’Italia –  per ora cade nel silenzio del governo italiano. Mercoledì il primo ministro libico Ali Zeidan annuncia in conferenza stampa che “l’Italia comincerà la sorveglianza aerea ed elettronica dei confini libici. L’area sorvegliata coprirà il tratto tra al Aywanat, vicino alla frontiera con Egitto e Sudan, fino alla congiunzione tra il confine libico e quelli di Algeria e Tunisia”. Domenica la notizia è ripresa dal sito di notizie libiche in lingua inglese Lybia Herald. I giornalisti del sito scrivono che il primo ministro Zeidan non ha dato altri dettagli sulla missione durante la conferenza stampa: quando inizierà, quanto durerà e chi pagherà i costi. Contattano l’ambasciata italiana a Tripoli, che però non aggiunge nulla.

    Se Ali Zeidan non si è sbagliato, l’Italia si è sobbarcata un’operazione complessa: più di duemila chilometri di confine sahariano condivisi con Ciad, Niger e Algeria, che proteggono interessi strategici  (non solo libici: per esempio l’italiana Eni è molto presente nell’area). A gennaio un gruppo combattente ispirato ad al Qaida ha attaccato l’impianto algerino per l’estrazione di metano di In Amenas passando attraverso il confine libico, vicino pochi chilometri e scarsamente controllato.

    Per ora non ci sono ancora commenti da parte del governo italiano, forse per quel patto di riservatezza stretto tra il premier Enrico Letta e il presidente americano Barack Obama durante l’incontro a Washington di metà ottobre. “Albania e Libia: sono due questioni che l’Amministrazione americana, e non da adesso, considera automaticamente di competenza italiana. A maggior ragione ora che il paese è un disastro, con tutti i problemi aperti dal dopo Gheddafi e senza che Washington abbia alcun interesse a occuparsene – e questo non vale solo per la Libia”, dicono fonti diplomatiche italiane al Foglio che preferiscono restare senza nome. Alla Farnesina rispondono al Foglio di “essere ovviamente felici che la Libia stia lavorando sulla sicurezza dei confini, ma non ci sono altri dettagli da aggiungere a quelli che si conoscono già”. A metà ottobre delegazioni italiane dei ministeri di Difesa e Interno sono andate a Tripoli per parlare con il governo libico prima dell’inizio dell’operazione “Mare nostrum” per il controllo e il soccorso dell’immigrazione clandestina. Il discorso potrebbe essere stato più ampio.
    Il primo ministro libico Zeidan ha parlato di sorveglianza elettronica e aerea. Per quanto riguarda la prima, il riferimento è a un contratto da 300 milioni di euro firmato quattro anni fa, il 7 ottobre 2009, tra Selex, società di Finmeccanica, e il governo di Tripoli, come conseguenza del trattato di amicizia stretto nel 2008 tra Italia e Libia. Da allora tutto è cambiato, c’era Gheddafi e adesso c’è un governo fragile – nato da una ribellione aiutata dalla Nato ma poi caduta ostaggio delle sue stesse milizie. La necessità di controllare i confini però resta, e Selex è specializzata in radar e sensori di sorveglianza; è verosimile che siano ancora considerati utili.

    Per quanto riguarda invece la sorveglianza aerea, potrebbe essersi trattato di un errore di traduzione, o di un errore dello stesso Zeidan. E’ vero che questo tipo di operazioni, spesso fatte con normali jet privati riadattati con equipaggiamenti di sorveglianza, stanno passando per una fase di boom. Ancora prima della missione militare francese in Mali, si parlava molto di contratti tra imprese specializzate e governi. Israel Aerospace Industries ha mandato consulenti in Nigeria per trattare la compravendita di droni. C.A.E. Aviation, con base in Lussemburgo, ha un contratto con i francesi per seguire gli estremisti tra Mali e Niger. La Cia e il Jsoc (il comando del Pentagono che si occupa di operazioni speciali) sono in contatto con altre, numerose imprese private. Non si vede, però, come l’Italia potrebbe operare in Libia. Con una missione nel sud del paese, che non è controllato dal governo centrale? Finmeccanica vende droni adatti a questo tipo di operazioni, i Falco, ma è tutto così vago che gli esperti militari sentiti dal Foglio dismettono tutte le ipotesi in questo campo come irrealistiche. A meno che il governo italiano non aggiunga altre informazioni a quelle già date da Tripoli.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)