Bill de Blasio, l'icona multietnica che piace perché incarna lo spirito del tempo: l'ovvio dei popoli
E così questa montagna alta un metro e novantasei, che affronta tutto e tutti con un franco sorriso, “an audacious liberal” secondo il New York Times, il ragazzo che al liceo chiamavano Senatore Provolone non si sa se per via di mani troppo lunghe o delle origini italiane, l’uomo che ha manifestato a favore del Nicaragua sandinista ed è andato in viaggio di nozze a Cuba, insomma Warren Wilhelm Jr. de Blasio, detto “Bill”, ha vinto. Alla grande. E da oggi governa la capitale del mondo.
E così questa montagna alta un metro e novantasei, che affronta tutto e tutti con un franco sorriso, “an audacious liberal” secondo il New York Times, il ragazzo che al liceo chiamavano Senatore Provolone non si sa se per via di mani troppo lunghe o delle origini italiane, l’uomo che ha manifestato a favore del Nicaragua sandinista ed è andato in viaggio di nozze a Cuba, insomma Warren Wilhelm Jr. de Blasio, detto “Bill”, ha vinto. Alla grande. E da oggi governa la capitale del mondo.
Ha vinto perché il suo e non quello del repubblicano Joe Lhota era il messaggio nello spirito del tempo. Ha vinto perché piace. E piace perché è un’icona prevedibile, il crocevia di tutta la correttezza politica possibile e immaginabile. Lui bianco, cattolico, americano per parte di padre, italiano per parte di madre, nonni venuti da Sant’Agata dei Goti, nel beneventano, che non si è fatta mancare la notte dell’orgoglio sannita: incarna la continuità tra gli italiani sbarcati all’inizio del secolo scorso a cercare la seconda opportunità sulla terra e quelli arrivati per ultimi, a dettare legge con la cucina, la moda, il design. Lei, la moglie, Chirlane, nera, di origini caraibiche, ebrea e, prima di illanguidirsi d’amore per lui, lesbica militante, non ho potuto farci niente, l’amore è amore, ha detto. Due figli, Dante porta a spasso una testona afro alla Jackson Five e spopola in rete, Chiara che il giorno del voto arriva dalla California per fare una sorpresa, il dono più grande che potessi ricevere, ha detto il padre. Una famiglia sorridente dove ognuno recita la parte come un attore consumato, un forte spirito di clan su sfondo di armonia e tolleranza interetnica, interconfessionale: giusto il cambiamento delle preferenze sessuali controcorrente di Chirlane è una novità, il resto è secondo copione del buon marketing politico. Tutti i messaggi simbolici, i segni concorrono a fare di Bill de Blasio esattamente quello che gli elettori si aspettano che sia, quello che la gente pensa debba essere un sindaco in tempi difficili. Non c’è in lui alcuna traccia della doppiezza che fa chic in Europa e negli Stati Uniti sarebbe semplicemente inimmaginabile. E nemmeno l’ombra della salutare ambiguità che consente al politico di rifugiarsi in angolo, di districarsi domani tra ciò che ha promesso e ciò che non può mantenere: nonostante ne abbia frequentato la scuola, De Blasio non ha lo sguardo acquoso di un Bill Clinton. Da quando a gennaio ha dichiarato che si sarebbe candidato, ha giocato a carte scoperte. Non si è rimesso in tasca la parola d’ordine “Progress” su cui si spaccherebbero persino i democratici italiani. Non ha attutito gli svolazzi estremistici. Il suo “tale of the two city” è figlio dello zuccottismo persino nei numeri: quelli di Occupy Wall Street sono stati i primi a dividere la città, poi gli Stati Uniti e il mondo in due, 99 per cento del popolo contro l’un per cento delle élite, disagio contro denaro, moltitudini contro privilegi: sociologia rozza che siccome è alla portata di tutti è di micidiale efficacia. De Blasio pesca in acque poco profonde ma estese, intercetta vecchi e nuovi poveri, ceto medio in via di proletarizzazione, bisogni antichi e recenti. Ha detto che lavorerà per un grande futuro, farà costruire nuovi alloggi popolari, darà case alle migliaia di newyorchesi che non riescono ad affittarne una nemmeno all’estrema periferia, rinnoverà i quartieri, si batterà, ha detto, per ridurre la povertà, aumentare il numero degli asili nido, migliorare la qualità dei servizi sanitari municipali, la viabilità e il traffico, rafforzando il trasporto pubblico e magari l’uso delle due ruote, sempre ovviamente mantenendo alta la protezione dei cittadini, la loro sicurezza. Un programma delle meraviglie: lo finanzieranno ovviamente i ricchi, che a New York non sono pochi, con nuove tasse per lo più sulla casa: da quelle parti significa entrate certe.
Cosa sarà davvero in grado di fare dopo i successi di Giuliani prima e del miliardario Bloomberg dopo? Chi conosce De Blasio dice che è un pragmatico, pronto a discutere e a trovare il compromesso, ma anche questo sa di rituale, è fin troppo prevedibile. E’ vero che ha vinto senza fare troppe concessioni all’upper class, ai milionari in dollari, ma con così grandi ambizioni di spesa e di welfare non si va lontano senza compromessi. Sarebbe un peccato se Bill de Blasio un po’ americano e un po’ sannita finisse come alcuni sindaci italiani partiti in modo folgorante ma andati fuori strada alla prima curva.
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