One nation under God?

I giudici valutano quale spazio pubblico spetta a Dio

Dal 1999 le sedute del consiglio della cittadina di Greece, nello stato di New York, si aprono con una preghiera. Solitamente nell’orazione fanno capolino Gesù, lo Spirito Santo e altri riferimenti alla tradizione cristiana, e il “cappellano del mese” scelto dal consiglio cittadino per guidare la breve funzione è quasi sempre un ministro cristiano. Due cittadine di Greece, Linda Stephens e Susan Galloway, hanno visto nella pratica una chiara violazione del Primo emendamento alla Costituzione, che garantisce il “libero esercizio della religione” ma vieta la subordinazione dello stato a qualsiasi struttura religiosa organizzata.

    New York. Dal 1999 le sedute del consiglio della cittadina di Greece, nello stato di New York, si aprono con una preghiera. Solitamente nell’orazione fanno capolino Gesù, lo Spirito Santo e altri riferimenti alla tradizione cristiana, e il “cappellano del mese” scelto dal consiglio cittadino per guidare la breve funzione è quasi sempre un ministro cristiano. Due cittadine di Greece, Linda Stephens e Susan Galloway, hanno visto nella pratica una chiara violazione del Primo emendamento alla Costituzione, che garantisce il “libero esercizio della religione” ma vieta la subordinazione dello stato a qualsiasi struttura religiosa organizzata. Nel 2008 hanno fatto causa alla città, e dopo una prima sentenza favorevole alla preghiera nelle sedute del consiglio, la Corte d’appello ha rovesciato il verdetto, mettendo fuori legge l’usanza. Il nodo della contesa non riguarda una generica espressione religiosa – che in America si celebra regolarmente in diversi ambiti della vita pubblica, dal Congresso in giù – ma il monopolio cristiano in materia. Per ottemperare alla decisione della Corte d’appello senza rinunciare al momento orante, i consiglieri della città hanno invitato ministri di altre religioni a partecipare, per garantire il pluralismo e aggirare l’“establishment of religion” vietato dal Primo emendamento. Ma dopo qualche mese l’usanza si è adagiata nuovamente su canoni cristiani, rinfocolando una disputa che oggi viene presa in esame dalla Corte suprema.

    Il caso è una riproduzione in scala delle controversie che riguardano il rapporto fra stato e chiesa (o meglio: fra stato e chiese) in un paese dove l’elemento religioso occhieggia vistosamente nei rituali pubblici – basta pensare al giuramento sulla Bibbia di tutti i pubblici ufficiali – e la stessa natura dello stato esibisce elementi religiosi. Il sociologo Robert Bellah ha reso celebre negli anni Sessanta l’espressione “religione civile” per designare quella particolare alchimia fra potere civile e afflato religioso che si è creata nel nuovo mondo colonizzato dai Padri pellegrini. Ora la Corte suprema dovrà decidere fino a che punto l’esibizione del discorso religioso nei luoghi pubblici è tollerabile, e gli osservatori della Corte dicono che ci sono gli elementi per una sostanziale restrizione del diritto alla preghiera pubblica, facendo leva sul Primo emendamento. Trent’anni fa una disputa fra un senatore del Nebraska e un reverendo presbiteriano sullo stesso tema è stata risolta dalla massima Corte in favore del ministro cristiano, e il Congresso del Nebraska ha continuato ad aprire le sessioni con una preghiera, gesto che riflette “il riconoscimento che il credo religioso è molto dffuso nel popolo di questo paese”.

    Certo, ricordano gli accusatori del caso odierno, la preghiera del Nebraska era solitamente rivolta a una generica divinità, con riferimenti soltanto sporadici (e quasi inevitabili per un sacerdote presbiteriano) a elementi specificamente cristiani, mentre la cittadina di Greece assiste al primo passo verso la religione di stato. In questi trent’anni sono state abolite le preghiere nelle scuole pubbliche – a meno che non sia concesso agli studenti il diritto di non partecipare – e il Congresso ha studiato espedienti per non portare i rituali religiosi oltre i termini di un accettabile “in God we trust”; salvo rare eccezioni, il primo giorno di scuola gli studenti americani non recitano nemmeno più il “pledge of allegiance” per via di quel riferimento alla “one nation under God” che rischia di invadere il campo dello stato laico.

    Trent’anni, insomma, hanno radicalmente cambiato la sensibilità degli americani nel giudicare il rapporto fra stato e chiesa, e la disputa fra i vescovi cattolici sull’obbligo, previsto dall’Obamacare, di offrire ai dipendenti delle proprie istituzioni assicurazioni sanitarie che includono contracettivi e farmaci che possono provocare un aborto è soltanto l’altra faccia del problema. Stabilire qual è il confine fra la libertà religiosa e la laicità dello stato è la grande questione su cui la Corte suprema è chiamata a fare luce, attraverso una disputa locale e allo stesso tempo compiutamente americana. Un sondaggio dell’istituto YouGov dice che il 76 per cento degli americani crede in Dio e allo stesso tempo registra la crisi cronica della religione organizzata:  gli americani si affidano a trascendenze personali e intime, senza diritto di parola nello spazio pubblico.