
No complaining rule
Pochi luoghi sono più interessanti delle writer’s room dove si mettono a punto le serie televisive. Anni addietro capitò di fare parecchie interviste sul mestiere di scrivere. Ricordiamo una certa fatica – soprattutto con gli italiani – per non sbadigliare ascoltando i luoghi comuni cari ai romanzieri. I personaggi che “dopo un po’ se ne vanno dove vogliono loro”, quindi lo scrittore molla subito le redini, sopraffatto dalla vitalità delle creaturine uscite dalla sua fantasia.
Pochi luoghi sono più interessanti delle writer’s room dove si mettono a punto le serie televisive. Anni addietro capitò di fare parecchie interviste sul mestiere di scrivere. Ricordiamo una certa fatica – soprattutto con gli italiani – per non sbadigliare ascoltando i luoghi comuni cari ai romanzieri. I personaggi che “dopo un po’ se ne vanno dove vogliono loro”, quindi lo scrittore molla subito le redini, sopraffatto dalla vitalità delle creaturine uscite dalla sua fantasia. Il romanzo che “mi è cresciuto dentro a poco a poco”, neanche fosse un alieno che sbuca dalla pancia, affamato di premi letterari e recensioni liriche (il prossimo a pronunciare le frasette, non importa in quale occasione, sarà spernacchiato per educarne cento).
E’ tempo perso cercarle in “Serial writers”, l’ultimo numero della rivista Link – Idee per la televisione. Quattordici interviste a sceneggiatori e showrunner delle migliori serie nella nostra vita. Dall’appena conclusa “Breaking Bad” a “Homeland”, che attraversa un momento delicato paragonabile a una crisi di crescenza. Da “The Big Bang Theory”, sitcom con scienziati nerd e la bionda vicina di pianerottolo, al dramma da camera – non ci si allontana più di tre metri dal divano dello psicoanalista – “In Treatment”. Da Matthew Weiner, noto per “I Soprano” e “Mad Men”, al meno noto Tom Fontana che nel 1997 fece da apripista scrivendo “Oz” per la Hbo, una serie ambientata in una prigione di massima sicurezza, conclusa dopo sei stagioni per timore di ripetersi (“stavo esaurendo le idee originali su come ammazzare i reclusi”). Fino a Eli Attie, assistente di Bill Clinton prima di dedicarsi a “The West Wing” e al “Dr. House”.
Gente che rispetta le scadenze, producendo belle storie e grandi personaggi senza mai pronunciare la parola “ispirazione”. Scrittori che sanno dosare i colpi di scena, la comicità, i dettagli rivelatori di un carattere senza lamentarsi dei vincoli imposti dalla struttura degli episodi. Le interviste prendono a modello la Paris Review e i suoi interrogatori (una serie che dura dal 1953, mai deludente e corredata da pagine manoscritte che sarebbe stato divertente vedere anche qui). Pur sapendo che in Italia la battaglia è persa, vorremmo raccomandare il volumetto a chiunque mediti di scrivere un romanzo. Secondo i nostri calcoli e la nostra esperienza, il target coincide più o meno con la popolazione alfabetizzata.
Rifiuti e riscritture sono una costante. Non c’è scrittore seriale che non ricordi un progetto respinto, un altro rimbalzato per anni da una scrivania all’altra, la faticaccia per riuscire a farsi produrre un episodio pilota. David Benioff – da un suo romanzo Spike Lee aveva tratto “La 25° ora”, pezzo forte l’invettiva pronunciata da Edward Norton contro le minoranze di New York – scrive “Game of Thrones” con D. B. Weiss. Metà puntata ciascuno, ricavando la trama dalla selva di post-it sulla lavagna. Scambio pagine e riscrittura. Altro scambio e altra riscrittura. Howard Overman di “Misfits” – serie britannica su giovani criminali dotati di superpoteri per via di un fulmine – raccomanda di aggiustare, rileggere, modificare, limare. Aggiunge: “Intrattenete il pubblico; se al pubblico piace quel che gli date, sbizzarritevi”. Eric Kaplan di “The Big Bang Theory” fece l’apprendistato al “David Letterman Show”, anche lì si buttava via parecchio: “Dovevo preparare in dieci minuti trenta battute su un argomento, e se a Dave non ne piaceva nessuna, dovevo tirarne fuori altre”. Nessuno si lamenta. Nessuno cerca un altro posto di lavoro dove “potersi esprimere”. Tutti portano rispetto allo spettatore, oltre che all’intreccio tra scrittura e denaro.


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