Requiem per un Ventennio

Alessandro Giuli

Una voluttà di scendere sempre più giù ha colto quel che resta del Pdl. Nella dolente confessione impolitica di Sandro Bondi pubblicata ieri dal Foglio – “La nostra storia finisce nel fango, fra vili e traditori” –, così come nel protervo beccheggiare degli antagonisti alfaniani, si possono ormai indovinare i segnacoli di una sopraggiunta, completa dissipazione: un ventennio al rogo. Ci auguravamo la sopravvivenza del berlusconismo senza più un Cav. costretto a immolare anima e corpo e quattrini per perpetuare fino all’estenuazione la sua irripetibile esperienza prepolitica.

Leggi anche Merlo Pdl, cronaca di un suicidio perfetto

    Una voluttà di scendere sempre più giù ha colto quel che resta del Pdl. Nella dolente confessione impolitica di Sandro Bondi pubblicata ieri dal Foglio – “La nostra storia finisce nel fango, fra vili e traditori” –, così come nel protervo beccheggiare degli antagonisti alfaniani, si possono ormai indovinare i segnacoli di una sopraggiunta, completa dissipazione: un ventennio al rogo. Ci auguravamo la sopravvivenza del berlusconismo senza più un Cav. costretto a immolare anima e corpo e quattrini per perpetuare fino all’estenuazione la sua irripetibile esperienza prepolitica (la logica fogliante dell’happy ending). Abbiamo anche temuto che di lui rimanesse soltanto il doppione costruito ad arte dagli odiatori, l’icona del Caimano arrossata dall’ira demolitrice scagliata su tutto e tutti, compreso il Quirinale con il quale aveva allestito l’esperimento grancoalizionista. A guardare invece l’attuale spettacolo circense del centrodestra, non bisogna scomodare la dialettica servo-padrone per capire che come minimo qualcosa è andato più storto del previsto: potrebbe non rimanere in piedi neppure la metà di niente.

    L’ipocrisia politica, la povertà stilistica e la debolezza concettuale del documento scritto dalle così dette colombe pidielline esemplificano il fallimento di una classe dirigente abortita ben prima di veder l’aurora. La turba di contorsioni ministeriali e paracule messa in fila da Alfano e soci è invalidata fin nelle premesse; non si scrive una dichiarazione di guerra al Cav. con un incipit come questo: “Ci riconosciamo nella leadership di Silvio Berlusconi”. Non se si abbia una faccia, un decoro. E d’altra parte quegli sguardi fangosi di odio con i quali i lealisti contraccambiano tanta dissimulazione possono, sì, mascherare il vuoto sottostante (ogni maschera a lungo andare diventa un volto), ma non certo riempirlo. E’ così che il ritorno alle origini, il recupero giovanilistico di Forza Italia e della sua primavera di bellezza, si trasforma in una rissosa cosmesi funeraria.

    Berlusconi è destinato a uscire di scena per via giudiziaria e anagrafica, e con lui – fatti salvi pochi affetti e lealtà – si dissolve quel centralismo carismatico che ha tenuto insieme nomenclature e gruppi d’interesse, fortunati valvassori e feudatari talora umiliati ma altrimenti anonimi. Il carisma chi non ce l’ha non può darselo. Ma in un certo senso il corpo mistico del Cav. viene già fatto a brani in queste ore, con i contendenti che si disputano i lacerti del sovrano smembrato cercandone una stilla di sangue amico che valga come elisir d’una rinascita. A modo loro, stanno inscenando un rito di antropofagia politica al quale la vittima stessa non intende sottrarsi, non intravedendo alcuna alternativa.
    E dunque in futuro non verrà censito nemmeno un fossile politico della sfolgorante cavalcata storica berlusconiana? Chissà. Forse un simulacro del bipolarismo, e il lontano ricordo che tra un’èra geologica e l’altra c’è stata la follia di un outsider che vantava il sole in tasca e ogni miracolo a portata di mano.

    Mancano presidii, cittadelle, visioni cresciute all’ombra del dispotismo asiatico-brianzolo, così avvolgente e capriccioso, totalizzante come il ferale “l’Etat c’est moi” pronunciato da Luigi XIV, ignaro che quella frase avrebbe condannato la monarchia alla ghigliottina di lì a due generazioni. Né verrà mai scritto un libro contro i pensatori berlusconiani, perché i pensatori berlusconiani non esistono (se oggi Lucio Colletti fosse vivo starebbe morendo dalle risate) e di questa assenza partecipano anche certi piccoli Raymond Aron in cerca di un De Gaulle purchessia. Un giorno Berlusconi ammetterà d’aver talmente amato se stesso da illudersi d’essere venerato dai suoi sudditi. Per lo meno, con i vincitori, lui s’è guadagnato una brutta reputazione di bronzo e la menzione perpetua nelle catilinarie di macellatori togati e laici, pataccari e collitorti. Al di sotto di lui, rien de rien, a meno d’immaginare ancora la successione dinastica. Ma stavolta occhio alla ghigliottina.

    Leggi anche Merlo Pdl, cronaca di un suicidio perfetto