L'uomo che sapeva tutto

Nicoletta Tiliacos

Parlando di Gérard de Villiers, il prolifico autore della serie spionistica “S.A.S.” (che sta per “Sua Altezza Serenissima” ma allude anche all’inglese Special Air Service, centocinquanta milioni di copie vendute nel mondo dal 1965 a oggi), morto a ottantatré anni la scorsa settimana, c’è chi addirittura tira in ballo Céline. Qualcun altro elogia il rutilante “français de famille” dei suoi libri, la lingua disinibita della quale gli estimatori francofoni di “S.A.S.” vanno pazzi, e che caratterizza le avventure di uno degli eroi più politicamente scorretti della fiction di ogni tempo e paese.

    Parlando di Gérard de Villiers, il prolifico autore della serie spionistica “S.A.S.” (che sta per “Sua Altezza Serenissima” ma allude anche all’inglese Special Air Service, centocinquanta milioni di copie vendute nel mondo dal 1965 a oggi), morto a ottantatré anni la scorsa settimana, c’è chi addirittura tira in ballo Céline. Qualcun altro elogia il rutilante “français de famille” dei suoi libri, la lingua disinibita della quale gli estimatori francofoni di “S.A.S.” vanno pazzi, e che caratterizza le avventure di uno degli eroi più politicamente scorretti della fiction di ogni tempo e paese. Vale a dire del principe austriaco Malko Linge (in codice Sua Altezza Serenissima, appunto), agente della Cia e consumatore compulsivo di rapporti sessuali con donne belle e più che disponibili alla sodomia, il genere di attività sessuale che Linge – dotato di fidanzata regolarmente tradita – predilige. Una sorta di James Bond più disincantato, più cinico, più violento, più sfrontatamente libertino. E se Bond è un fedele e motivato servitore di Sua Maestà britannica, l’aristocratico Malko Linge, non meno motivato nelle sue azioni, ha però soprattutto il problema di mantenere il suo costoso castello di Liezen.

    La storia narra del resto che De Villiers cominciò a lavorare ai suoi romanzi dopo la morte improvvisa di Fleming, nel 1964, invogliato da un editore che aveva capito quale spazio si apriva per un personaggio che raccogliesse il testimone dell’agente 007, rimasto orfano del suo creatore. Fu così, con il romanzo “S.A.S. a Istanbul”, che debuttò una delle più longeve e meglio vendute serie popolari di tutti i tempi.
    Le attitudini dell’agente della Cia Malko Linge, unite ad alcune dichiarazioni in favore del Front National di De Villiers, collaborarono anni fa alla definitiva espulsione della serie “S.A.S” dalle librerie “vere”, a vantaggio (e che vantaggio) di edicole, stazioni e supermercati. Proprio lì, magari nascosto da un paio di occhiali neri, immaginiamo l’intellettuale più scamiciato e capelluto di Francia, Bernard-Henri Lévy, pagare in fretta (per una volta sperando di non essere riconosciuto) per portarsi a casa “La via di Damasco” o “Libano rosso sangue”, “Il disertore di Pyongyang” o “L’ostaggio dei talebani”, tanto per citare alcuni tra i più recenti titoli di “S.A.S” (l’ultimo in assoluto, il duecentesimo, si intitola “La vendetta del Cremlino”). Libri imbarazzanti a cominciare dalle copertine (solita donna discinta e invitante, armi in primo piano), che BHL confessava di non rinunciare a leggere, pur sapendo che si trattava di un “piacere colpevole” (in Italia, chi volesse coltivare un analogo piacere può contare sull’apposita collana “Segretissimo SAS”, Mondadori).

    Forse in omaggio a quella sua vena decisamente atlantista e così poco francese – a parte l’argot –, il magazine del New York Times, all’inizio di quest’anno, aveva dedicato a Gérard de Villiers un articolo poco meno che apologetico, firmato da Robert F. Worth e intitolato “The Spy Novelist Who Knows Too Much”. Perché la caratteristica più sorprendente di Gérard de Villiers, e anche il motivo del suo successo, è stata fin dall’inizio della sua avventura di romanziere la capacità profetica, riguardo a fatti che vanno dall’uccisione di Sadat nel 1981 fino – arriviamo al 2012 – a certi avvenimenti della crisi siriana: “La cosa più impressionante –  scrive il Nyt –  è che egli ricostruisce un attacco contro un centro di comando del regime siriano, situato in prossimità del palazzo presidenziale di Damasco, e questo un mese prima che un attentato avvenisse precisamente lì, e provocasse l’uccisione di molti alti responsabili del regime”.

    Ma l’atout di Gérard de Villiers non era solo la fantasia o un’improbabile sfera di cristallo. Nato in una famiglia borghese di origini aristocratiche, padre drammaturgo di un certo successo con lo pseudonimo di Jacques Deval, il futuro creatore di “S.A.S” ebbe il suo battesimo nel mondo spionistico in Tunisia, negli anni Cinquanta, mentre faceva il giornalista per France Soir. Raccontò di aver accettato di fare un favore a un ufficiale dei servizi segreti francesi, per poi scoprire di essere stato solo una pedina nell’organizzazione di un omicidio. Da allora, sviluppò un irrestistibile amore per l’intrigo che lo portò, racconta ancora Robert F. Worth sul New York Times, a trascorrere “gran parte della vita a coltivare le sue relazioni con spie e diplomatici che sembrano divertiti a vedersi rappresentati con i loro segreti (sotto nomi accuratamente camuffati), in una fiction popolare; e si trovano sistematicamente nei suoi libri informazioni totalmente inedite su complotti terroristici, operazioni di spionaggio e di guerra”. Solo una volta c’è stato un increscioso incidente. Quando De Villiers – costretto per tre mesi in un letto d’ospedale dopo un grave problema all’aorta ma deciso a mantenere il ritmo di quattro-cinque libri l’anno – conservò per errore in un manoscritto il vero nome di un agente della Cia. Licenziato e imbufalito, naturalmente, con grande rammarico e pubbliche scuse di De Villiers. Incerti di un mestiere che, a differenza di altri scrittori popolari come John Le Carré et Tom Clancy, non si è mai accontentato di ambientare i romanzi nella realtà, condendoli con gergo spionistico, ma che ha preteso, spesso riuscendoci, di anticipare l’attualità.

    Il quotidiano americano fa un altro esempio di questa singolare “preveggenza”. All’inizio del 2012, De Villiers “pubblicò un romanzo sulla minaccia rappresentata dai gruppi islamisti nella Libia post rivoluzionari. Si concentrava in particolare ai combattenti di Bengasi e agli sforzi della Cia per contrastarli. ‘I Folli di Bengasi’ uscì sei mesi prima della morte dell’ambasciatore degli Stati Uniti, J. Christopher Stevens, e contiene dettagli (all’epoca del tutto confidenziali) sul centro di comando della Cia a Bengasi, che in seguito sarebbe stato al cuore della polemica sulla morte dell’ambasciatore”.
    Non era, come si è già detto, il primo colpo del genere messo a segno da De Villiers. Nel 1980, nel romanzo intitolato “Il complotto del Cairo”, a essere raccontato un anno prima che avvenisse nella realtà fu l’assassinio di Anwar-al Sadat da parte di un militante del  Jihad islamico egiziano. All’intervistatore del New York Times, che gli aveva chiesto come avesse potuto prevederlo, l’allora ottantaduenne De Villiers aveva risposto “con un’alzata di spalle tipicamente francese: ‘Gli israeliani sapevano che stava per succedere ma non fecero nulla’”.

    Non è strano che il successo dei romanzi di De Villiers abbia un effetto urticante sull’intellighenzia francese. E’ sempre Robert F. Worth a raccontare che, entrato in una libreria parigina e avendo chiesto un titolo di “S.A.S”, si è sentito rispondere: “Siamo desolati, ma non vendiamo quel genere di cose”. Anche se a Gérard De Villiers, racconta il giornalista Jean-Baptiste Daoulas, che lo aveva intervistato nel 2010 per la rivista erotica l’Imperfaite, negli ultimi anni era stata riconosciuta “una sorta di immunità mediatica, quella di un vecchio zio deliziosamente infrequentabile di cui non si ricordavano che le battute, mostrando di aver dimenticato i pensieri nauseabondi”.

    Lo spione aristocratico che indulge a un erotismo violento e descritto crudamente,  nel quale imperversano ninfomani e dominatrici trasformate in dominate, può far dimenticare che le sue avventure sono state da sempre e sempre di più, nel tempo, attentamente seguite da personaggi autorevoli. L’ex ministro socialista Hubert Védrine, titolare degli Esteri nel governo di Lionel Jospin dal 1997 al 2002, è tra i pochi che ha ammesso di apprezzare oltremodo “S.A.S”, al punto di averne voluto conoscere il creatore, da lui invitato personalmente a colazione al Quai d’Orsay. “Ho pensato a uno scherzo. Se non altro perché Vedrine è di sinistra e io non lo sono affatto”, rievocò De Villiers nell’intervista sul New York Times: “Quando arrivò all’appuntamento, Védrine lo aspettava nella sala da pranzo privata con vista sulla Senna: ‘Sono lieto di incontrarvi, ma ditemi, perché volevate vedermi?’, chiese il romanziere al ministro. Védrine sorrise lo invitò a sedersi: ‘Volevo parlarvi perché ho capito che noi due abbiamo le stesse fonti’”. Ma anche negli Stati Uniti, ha spiegato al Nyt un vecchio agente della Cia che vuole rimanere in incognito, e che racconta di aver conosciuto De Villiers decenni fa, si continua a consigliare agli analisti dell’agenzia di leggere i suoi libri, che spesso contengono informazioni attendibili.

    Rimane da capire, profezie a parte, perché tutto quel mondo, il mondo delle spie, abbia confidato tanti segreti a un autore di “romanzi da stazione”. Al giornalista americano che gli poneva questa inevitabile domanda, De Villiers – seduto a un tavolo nel salone della sua casa parigina nell’elegante avenue Foch, circondato da improbabili statue in acciaio con donne nude che imbracciano mitra e da bottiglie di scotch mescolate a munizioni da mitragliatore, con uno dei suoi gatti d’angora sulle ginocchia, come un “cattivo” alla Ian Fleming – rispose che “c’è sempre una buona ragione. Vogliono che queste informazioni escano. E sanno che i miei libri sono letti da molte persone e da tutte le agenzie informative”.

    Il suo “S.A.S.” numero 201 doveva essere dedicato ai retroscena dell’attentato di Lockerbie. Come ha scritto Slate.fr, nel raccontare come l’“impresentabile” De Villiers fu riabilitato dal New York Times, “tutti hanno ritenuto responsabile Gheddafi, ma Malko Linge seguiva un’altra pista. Sarebbero stati gli iraniani, veri mandanti della distruzione dell’aereo nel 1988, ad aver persuaso il dittatore libico a rivendicare l’atto terroristico. Tesi cospirazionista già conosciuta e, a voler dar credito al New York Times, non totalmente bizzarra”.