Il pacco di Varsavia. L'ennesima riunione sul clima e Haiyan

Piero Vietti

Da lunedì scorso oltre diecimila delegati dai governi di tutto il mondo sono riuniti a Varsavia per cercare l’ennesimo accordo sulla riduzione delle emissioni di gas serra con l’obiettivo dichiarato di fermare il riscaldamento globale che, ricordiamo, da più di dieci anni è “in pausa” senza che scienziati ed esperti di climatologia sappiano spiegarne il motivo. Riunioni come questa avvengono ormai da tempo nel quasi totale disinteresse di media e opinione pubblica.

    Da lunedì scorso oltre diecimila delegati dai governi di tutto il mondo sono riuniti a Varsavia per cercare l’ennesimo accordo sulla riduzione delle emissioni di gas serra con l’obiettivo dichiarato di fermare il riscaldamento globale che, ricordiamo, da più di dieci anni è “in pausa” senza che scienziati ed esperti di climatologia sappiano spiegarne il motivo. Riunioni come questa avvengono ormai da tempo nel quasi totale disinteresse di media e opinione pubblica. La colpa è del fatto che questi raduni, a parte produrre molte parole e di conseguenza molte emissioni di CO2, non portano mai ad accordi vincolanti per gli stati, i cui delegati per dieci giorni si dichiarano molto impegnati a salvare il mondo purché comincino a farlo prima gli altri. I negoziati di Varsavia, che termineranno venerdì prossimo, sembrano non fare eccezione.

    Il teatrino è il solito, con i paesi poveri che accusano i paesi ricchi di non fare abbastanza e i ricchi che si dichiarano disposti a fare di più, salvo poi rivedere al ribasso target e obiettivi. E’ il caso del Giappone, per esempio, che aveva promesso di ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 25 per cento tra il 1990 e il 2020 e che ieri ha annunciato di volere abbandonare questo obiettivo e di puntare a una riduzione del 3,8 per cento tra il 2005 e il 2020 per colpa dello stop dei reattori nucleari dopo l’incidente di Fukushima. Insomma, la messinscena dei colloqui sul clima va avanti ormai da diverse edizioni sempre con la stessa sceneggiatura: proteste degli ambientalisti, richieste dei paesi che si sentono più a rischio per colpa dei cambiamenti climatici, promesse roboanti e poi nulla di fatto.

    A far tornare sui giornali la riunione in Polonia, però, questa settimana ci ha pensato la tragedia delle Filippine, con il tifone Haiyan che ha raso al suolo una città e causato la morte di migliaia di persone. La reazione pavloviana di politici e sedicenti esperti è stata quella di collegare questo evento ai cambiamenti climatici causati, ça va sans dire, dalle attività umane nell’occidente turbocapitalista.

    Chi sostiene tale tesi però non ha letto bene l’ultimo report dell’Ipcc, il panel di esperti delle Nazioni Unite che da anni studia l’impatto dell’uomo sul clima. L’Ipcc, infatti, sebbene ritenga l’uomo responsabile del riscaldamento del pianeta (e glissi però sul motivo del mancato aumento delle temperature negli ultimi quindici anni), scrive chiaramente che “i dati attualmente in possesso non indicano tendenze significative nella frequenza dei cicloni tropicali” e neppure un aumento di tempeste, uragani e altri eventi estremi. Come se non bastasse, l’Ipcc sostiene che non ci siano evidenze scientifiche di un collegamento tra emissioni umane e tali eventi. Su siti e giornali in questi giorni si è letto quasi sempre il contrario, però (e qualcuno è arrivato a scrivere che per colpa dei cambiamenti climatici aumenteranno persino gli tsunami, che sono dei terremoti sottomarini), e si è arrivati ad affermare con certezza che “la potenza del ciclone Haiyan è stata sicuramente aumentata dai cambiamenti climatici”. Ci sono in realtà alcuni studi (citati in questi giorni anche dal sito Climate Monitor) che si riferiscono alla zona del Pacifico in cui il ciclone si è formato, i quali segnalano addirittura una diminuzione di questi eventi estremi negli ultimi decenni. Haiyan è stato eccezionale, ma non unico: da metà Settecento a oggi ci sono stati almeno altri dieci cicloni più distruttivi di questo, la maggior parte dei quali si sono manifestati molto prima che i gas serra raggiungessero i livelli attuali.

    La climatologia è scienza inesatta, e i governi hanno ormai capito che affidare il futuro a previsioni e calcoli smentibili è rischioso oltre che inutile. Ecco perché a Varsavia non verrà deciso, di nuovo, nulla.

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    • Piero Vietti
    • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.