Ricevuta di ritorno
Al Qaida voleva uccidere l'ambasciatore iraniano a Beirut con due bombe
Le brigate Abdullah Azzam rivendicano il doppio attacco contro l’ambasciata iraniana a Beirut che ieri mattina ha ucciso 23 persone. E’ probabile che il piano originale delle brigate – che sono il volto libanese di al Qaida – fosse uccidere l’ambasciatore iraniano Ghazanfar Roknabadi, che sarebbe uscito in auto attraverso quello stesso cancello di lì a pochi minuti. Alle 9 e 20 è esplosa un’automobile nella strada e novanta secondi dopo un uomo in motocicletta e con una cintura esplosiva ha tentato di superare il posto di guardia, non ci è riuscito e si è fatto saltare in aria.
Le brigate Abdullah Azzam rivendicano il doppio attacco contro l’ambasciata iraniana a Beirut che ieri mattina ha ucciso 23 persone. E’ probabile che il piano originale delle brigate – che sono il volto libanese di al Qaida – fosse uccidere l’ambasciatore iraniano Ghazanfar Roknabadi, che sarebbe uscito in auto attraverso quello stesso cancello di lì a pochi minuti. Alle 9 e 20 è esplosa un’automobile nella strada e novanta secondi dopo un uomo in motocicletta e con una cintura esplosiva ha tentato di superare il posto di guardia, non ci è riuscito e si è fatto saltare in aria. Le esplosioni hanno distrutto finestre e balconi tutt’attorno, hanno danneggiato sei edifici e hanno ferito anche l’ambasciatore della vicina ambasciata yemenita.
Perché al Qaida in Libano vuole uccidere l’ambasciatore iraniano in Libano? All’inizio del 2013 la situazione in Siria per il presidente Bashar el Assad era molto poco buona, per usare un eufemismo. Il suo gruppo di consiglieri più fidati, la cosiddetta cellula di crisi che includeva generali e capi dell’intelligence, era già stata spazzata via da un attentato nel luglio 2013, l’esercito era indebolito dalle troppe defezioni e la ribellione aveva cominciato a stringere la capitale Damasco, occupando effettivamente quasi tutta la zona oltre la tangenziale della città. L’Iran si è messo alla testa delle operazioni per far rimontare gli assadisti e grazie alla presenza sul campo di centinaia di “consiglieri militari” iraniani e di gruppi di combattenti stranieri – come il libanese Hezbollah – la missione sta effettivamente riuscendo. L’esercito siriano ha appena cominciato le manovre per riprendersi il Qalamoun, un massiccio montagnoso tra Damasco e il confine libanese, e ancora una volta sarà guidato in battaglia dagli hezbollah libanesi, che già a luglio nella riconquista della città di Qusayr si sono dimostrati indispensabili.
Il fronte della guerriglia contro Assad, che include gruppi di al Qaida, ora combatte anche contro i libanesi di Hezbollah e contro l’Iran. La guerra resta dentro i confini nazionali siriani, ma al Qaida non è legata da queste barriere e colpisce l’ambasciatore iraniano a Beirut come simbolo di quell’asse Hezbollah-Assad-Iran con cui sta facendo la guerra pochi chilometri più a est.
Da tempo le brigate Abdullah Azzam si sono dichiarate nemiche di Hezbollah – e quindi anche degli sponsor iraniani. Prendono il nome da Abdullah Azzam, un predicatore palestinese che negli anni Ottanta girava il mondo perorando la causa del jihad contro i sovietici in Afghanistan e che assieme a Osama bin Laden organizzava il passaggio dei volontari islamici stranieri attraverso il Pakistan fino ai campi di battaglia. Prima della sua morte durante il raid ad Abbottabad degli incursori americani, Bin Laden aveva parlato della possibilità di cambiare il nome di al Qaida, ormai troppo compromesso con attentati e stragi di civili per essere l’avanguardia di un movimento politico islamista, e di sostituirlo con quello di brigate Abdullah Azzam. Ogni gruppo in ogni singolo paese avrebbe dovuto adottare il nome di un martire diventato celebre: in Iraq al Qaida si sarebbe così trasformata nelle “Brigate Abu Mussab al Zarqawi”, come il comandante ucciso dagli americani nel 2006; in Libano nelle “Brigate Ziad al Jarrah”, come l’attentatore suicida libanese dell’11 settembre (il nome Ziad al Jarrah in effetti talvolta compare, ma più spesso viene usato quello di Azzam per farsi capire meglio nella moltitudine di sigle).
L’attacco è avvenuto nella zona di Bin Hassan, nella parte meridionale di Beirut, vicino a Dahiye, il quartiere controllato da Hezbollah. Viene in mente uno slogan coniato di recente dallo “Stato islamico”, l’evoluzione più recente e potente di al Qaida: “Min Diyala ila Dahiye”, da Diyala, che è una provincia dell’Iraq che confina con l’Iran, fino a Dahiye, il quartiere sciita sul mare Mediterraneo. E’ il sogno di un grande Levante controllato interamente dagli islamisti sunniti.
L’attentato alla moschea e i servizi siriani
A Beirut c’era un allarme attentati preventivo per la festa sciita dell’Ashura, caduta la scorsa settimana. Tra sunniti pro rivoluzione e sciiti pro Assad si combatte una guerra a colpi di attentati. Il 23 agosto una bomba sulla porta di una moschea sunnita di Beirut esplose e uccise 60 persone. Le indagini del tribunale militare libanese sono arrivate a sette uomini che militano in un partito libanese – il Partito arabo democratico – che ha forti legami con l’intelligence siriana, e a un ufficiale dei servizi siriani. I ricercati abitano a Tripoli ma nessun arresto è stato eseguito.
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