Botte No Tav a Campo de' Fiori, con tutti i problemi di lessico e di sostanza
“Non è il lunedì a fare schifo, ma il lavoro: reddito per tutti”: il volantino gigante, un inno all’abulia più che alla lotta, viene passato di mano in mano in tante copie, nell’imminenza del sit-in dei No Tav e dei Movimenti per la casa a Campo de’ Fiori. (Poi il sit-in si farà tentativo di corteo contro il blocco di polizia a via dei Giubbonari, davanti alla storica sezione del Pd danneggiata a margine degli scontri – scontri con fioriere a far da barricate, bombe carta, fumogeni, feriti e una quasi-contemporanea azione di disturbo al Cipe e alla sede nazionale del Partito democratico, nemico per via del voto sul caso Cancellieri).
“Non è il lunedì a fare schifo, ma il lavoro: reddito per tutti”: il volantino gigante, un inno all’abulia più che alla lotta, viene passato di mano in mano in tante copie, nell’imminenza del sit-in dei No Tav e dei Movimenti per la casa a Campo de’ Fiori. (Poi il sit-in si farà tentativo di corteo contro il blocco di polizia a via dei Giubbonari, davanti alla storica sezione del Pd danneggiata a margine degli scontri – scontri con fioriere a far da barricate, bombe carta, fumogeni, feriti e una quasi-contemporanea azione di disturbo al Cipe e alla sede nazionale del Partito democratico, nemico per via del voto sul caso Cancellieri).
Chiedono lavoro, i manifestanti, ma il lavoro, dice quel poster, “fa schifo”. Forse è uno slogan riuscito male, si pensa lì per lì, quando ancora c’è soltanto un megafono a recitare invettive non nuove su diritti&lotte (“Ao’ che palle, questa è robba de’ tempi miei”, dice un fotografo post Sessantottino). E però, vista la massiccia diffusione del poster sul lavoro che fa schifo peggio del lunedì, il dubbio scompare: proprio quello intendono, “schifo”. Schifo il lavoro che in altre marce antagoniste è stato il bene prezioso “rubato” da banche e poteri nell’ombra. Boh. E’ un problema di lessico, ma soprattutto di sostanza, e la sostanza è la noia sorda travestita da rabbia sociale. “Assedio”, dicono i megafoni durante la manifestazione “pacifica”, e ci si chiede chi vogliano essere quei “pacifisti” intenti a parlare al cellulare con i compagni sparsi per Roma (conversazione captata: “Dai che semo pronti, mo’ famo casino”) e felici di annunciare con un ringhio: “Vi abbiamo beffato”. Ci saranno pure i soliti violenti che rovinano l’effetto finale, come si dice dopo ogni manifestazione anche violenta, ma il parterre di Campo de’ Fiori, prima degli scontri, non rimanda l’immagine che i No Tav vorrebbero dare di loro, tutta mamme, anziani e passeggini. Qualche anziano c’è, di passeggino se ne vede uno, e un antagonista in carrozzella cercherà di aprirsi un varco tra i poliziotti spingendo simbolicamente gli scudi a mani nude. Ma è l’umore della piazza a contraddire la favola dell’antagonista poveretto, gentile e industrioso, interessato soltanto a far emergere i cosiddetti “contenuti”.
L’umore è nero molto prima degli scontri, gonfio di insofferenza “a prescindere” che in alcuni casi ha voglia di esplodere contro il primo bersaglio, e negli altri casi è comunque ribollente di odio generico verso una controparte che contiene tutti e nessuno: il governo, la finanza, il Pd, la polizia, lo stato “burattinaio”. Giorni fa, in Val di Susa, la controparte era simboleggiata da un agente in tenuta antisommossa da baciare in segno di disprezzo, come ha detto Nina De Chiffre, militante milanese in Val di Susa (“prima gli ho leccato il casco, poi gliel’ho baciato, infine ho infilato le mie dita nelle sue labbra”). E pensare che la foto pareva, a un primo sguardo, una foto del Dopoguerra, il marinaio e l’infermiera, e invece Nina ha voluto specificare su Facebook e sulla Stampa che no, quello era un gesto per “umiliare”, un occhio-per-occhio in nome “di una compagna molestata e picchiata” in altra occasione, perché lei “questi porci schifosi” li “appenderebbe a testa in giù”, ha detto, felice di aver visto “il panico” negli occhi del giovane poliziotto che “non poteva reagire”. La lotta No Tav non c’entrava più nulla, come non c’entrava più nulla ieri, davanti alla sezione del Pd in cui entrare per coprire di spray le targhe care ai militanti storici (consolati prontamente da Gianni Cuperlo). Il problema di lessico e di sostanza, per i No Tav e per i pro-casa, si ripropone dopo ogni manifestazione con scontro: ci si può descrivere come fantasisti pacifici della protesta, ma non è così, perché l’umore è quello. La lotta No Tav diventa la sigla d’inizio, dopodiché tutto è permesso, nel gioco alla rivolta contro l’universo, condotto inneggiando al sussidio salvatutto (triste visione della vita che sbatte contro un muro: con quali soldi?).
Cupo ma fiacco, era ieri l’umore della piazza, all’inizio: molta gente si aggirava disorientata, risvegliata dal grido “merde!”, rivolto alle forze dell’ordine che bloccavano l’accesso a piazza Farnese nella giornata del vertice Italia-Francia sull’alta velocità (“si farà”, dirà poi il premier Enrico Letta). E c’erano le maschere di Anonymous indossate da ragazzini appena usciti da scuola, e c’erano molti immigrati russi, peruviani, rumeni, senegalesi e somali che si salutavano sorridendo (unici sorrisi del pomeriggio). Qualcuno, alla domanda “perché manifestate?”, alzava le spalle (“boh”). Qualcuno diceva: “Me l’ha detto un amico”. La maggior parte rispondeva con il volantino-equazione: “Un chilometro di Tav, mille case popolari”. Ma l’equazione funzionava solo finché nel gruppo No Tav non si decideva di forzare il blocco: a quel punto la maggioranza degli immigrati si allontanava. Tutto il resto era noia, ma noia con una voglia matta di menare le mani.
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