Morte per acqua

Mario Sechi

“Tutto a posto?”. “… sì, tranquillo, qui è a posto, altrove piove l’inferno”.  Clic. Anche quando sei uomo e non più bambino e il cielo piange e lancia saette, la mamma ti rassicura e fa niente se “babbo sta controllando i pozzi in cortile, tirano bene” e “a Uras hanno bisogno d’aiuto”. A Cabras l’acqua è sempre stata vita e morte, siamo abituati a darle del lei e mai del tu, a diffidarne, a lasciare che si sfoghi, ma lontano da noi. Il primo cadavere della mia vita lo vidi che ero bambino, un pescatore dello Stagno, affogato in una notte fradicia e tempestosa insieme a un compagno. Non l’ho mai dimenticato.

Pompili “Perché quel ponte è crollato?”. Il mostro burocratico che uccide in Sardegna - Editoriale L'Italia alluvionata

    “Tutto a posto?”. “… sì, tranquillo, qui è a posto, altrove piove l’inferno”.  Clic. Anche quando sei uomo e non più bambino e il cielo piange e lancia saette, la mamma ti rassicura e fa niente se “babbo sta controllando i pozzi in cortile, tirano bene” e “a Uras hanno bisogno d’aiuto”. A Cabras l’acqua è sempre stata vita e morte, siamo abituati a darle del lei e mai del tu, a diffidarne, a lasciare che si sfoghi, ma lontano da noi. Il primo cadavere della mia vita lo vidi che ero bambino, un pescatore dello Stagno, affogato in una notte fradicia e tempestosa insieme a un compagno. Non l’ho mai dimenticato. Morte per acqua. Scorre nelle immagini del presente, pixel, bit e clic ossessionante e narcotizzante. La foto di una bisarca carica d’automobili attraversa una galleria tra i flutti, sulla fiancata c’è una scritta gialla, beffarda: “Tirso”. E’ il nome del più importante fiume della Sardegna, dove da ragazzini andavamo a tuffarci, troppo piccoli per immaginare la piena che nel 1918 travolse San Vero Congius.

    Spazzato via. E’ una Sardegna remota che va e viene nelle sue disgrazie, un’eco lontana che riemerge dal passato, sono le grida strazianti dei sanveresi che arrivano fino al paese vicino di Zerfaliu. Il Tirso è generoso. Trasforma la terra in oro. E morte per acqua. A Uras quella terra che fu palude oggi torna acquitrino, melma e sabbia mobile in una notte dove tutto è liquido e contagioso, anche le carcasse degli animali, rovesciate, come in un macabro banchetto della natura, sacrificati sull’altare de Su Maimone, il demone che in Sardegna governa la pioggia, eredità del tempo fenicio, presenza da pregare e temere, riverire e scacciare, divinità terribile che governa la fertilità breve della terra e il tempo lungo della siccità. Terra arida, sabbiosa, argillosa, granitica. Ora i nuraghi sono isole nell’Isola, emergono da un lago che il giorno prima non c’era. Quando questa maledizione sarà evaporata, le loro pietre ci saranno ancora: testimonianza di un tempo in cui gli uomini costruivano per durare millenni. Al telefono un amico si sfoga: “Mario, un ponte inaugurato due mesi fa è andato giù, è una vergogna…”, è il presente di cartapesta, travolto dalla storia, una severa maestra che qui non riesce a trovare buoni alunni.  La Gallura non dorme. I contadini del Campidano asciugano lacrime di fango. Cagliari si specchia nella spiaggia sottomarina del Poetto. Siamo qui. Ci serve un giaciglio per la notte, aprite le case, siamo quasi tremila a cercare un letto e un fuoco acceso. Abbiamo il freddo nelle ossa, scaldateci con un abbraccio e una parola, “fratelli”. Morte per acqua. E’ il sinistro dejà vu del tambureggiante dibattito. “Abbiamo avvisato delle criticità”. “Il sistema di allertamento nazionale ha fatto il suo dovere”.

    “Emessi avvisi e bollettini”. “Il Consiglio regionale è riunito”. Ah, che sollievo. Memorie di un bimbo. Se pioveva a lungo, se gli argini stavano per cedere, se il fiume si gonfiava e lo Stagno ruggiva, non c’erano scartoffie che passavano tra le scrivanie, ma si sonanta is campanas e si ghettada grida, si suonavano le campane e lanciavano “le grida”.  Dov’erano le grida e chi ha suonato le campane la notte scorsa? Si interviene dopo. Parole d’ordine e liturgia del pronto soccorso. “Liberate le linee wi-fi”, “stiamo arrivando”, “abbiamo deliberato ieri lo stato di calamità”. Stop. Tanto prima della punizione biblica bisogna solo compilare ordinanze che nessuno legge, carta utile per i magistrati che accerteranno l’irresponsabilità senza sanzione perché “è un’alluvione millenaria”. E’ un girone di burocratica crudeltà che va così perché da sempre così va. E’ la pratica del governo di Roma che stanzia  l’aiuto e grazie, mille grazie di tanta generosità, l’offerta per curare la calamità sofferta. Che gelido presente, battuto a tavolino da un fatalismo che ha la potenza della divinità. Nella memoria brillano tracce di una cantilena antica della mia terra, il sacrificio di un uomo in un pozzo: “S’abba no naschet si sambene non paschet”, l’acqua non nasce se il sangue non pasce. Nella piena rotolano uomini, donne, bambini, animali. E’ tornato Su Maimone con il suo spettacolo: la morte per acqua.

    Pompili “Perché quel ponte è crollato?”. Il mostro burocratico che uccide in Sardegna - Editoriale L'Italia alluvionata