Il mondo di Milani, pieno di uomini che piangono per niente

Piero Vietti

Carlo Barcellesi (che poi sarebbe Maurizio Milani) scrive tutto a mano. Centinaia, forse migliaia di pezzi ancora non pubblicati stanno uno sull’altro su una mensola della redazione romana del Foglio. Per esaurirli tutti bisognerebbe fare un quotidiano solo di “Innamorato fisso”, la rubrica che da anni è ospitata in quarta pagina. Milani è troppo veloce. Non ha finito di leggere una notizia che già sta scrivendo la sua lettura del fatto. Guarda continuamente quello che succede, e sa cogliere come pochi gli aspetti paradossali, comici e surreali che la realtà quotidianamente regala.

    Carlo Barcellesi (che poi sarebbe Maurizio Milani) scrive tutto a mano. Centinaia, forse migliaia di pezzi ancora non pubblicati stanno uno sull’altro su una mensola della redazione romana del Foglio. Per esaurirli tutti bisognerebbe fare un quotidiano solo di “Innamorato fisso”, la rubrica che da anni è ospitata in quarta pagina. Milani è troppo veloce. Non ha finito di leggere una notizia che già sta scrivendo la sua lettura del fatto. Guarda continuamente quello che succede, e sa cogliere come pochi gli aspetti paradossali, comici e surreali che la realtà quotidianamente regala. Scrive su fogli A4 sottili come carta velina, poi li invia in redazione dal fax di un negozio vicino a casa sua. Oppure li piega e spedisce via lettera. Per mesi sono arrivate tutti i giorni lettere (molto complete) con su quattro o cinque francobolli di Papa Francesco. Altre volte manda delle buste con francobolli talmente belli che sarebbe un peccato buttarle via. Non è su Twitter né su Facebook, non usa l’email né smartphone o tablet, eppure non si perde nulla di quello che succede nel mondo, e forse è proprio questo suo essere “fuori” a permettergli di raccontare così bene il “dentro” delle cose, delle persone e delle situazioni.

    Di Maurizio Milani sono usciti molti libri, ma non sempre chi li ha pubblicati ha saputo cogliere il filo apparentemente invisibile che lega un racconto stralunato sull’Uomo putrella a una triste storia sull’ultima scusa che la morosa ha trovato per lasciarlo. Rizzoli pubblica “Uomini che piangono per niente” (267 pp., 18 euro), riuscendo a cucire bene insieme qualche inedito, i migliori pezzi usciti quest’anno sul Foglio più altri apparsi su Libero.

    Entrare nel mondo di Maurizio Milani equivale a perdersi tra passeggiate nella bassa piacentina, innamoramenti folli per donne bellissime e stronze, storie di circhi, uomini che bevono e gite in giornata da Milano a Parigi solo per il gusto di mangiare un panino sugli Champs Elysées (naturalmente in un fast food americano). Aldo Grasso ha scritto che a Milani “basta un niente per far emergere l’assurdo del nostro relazionarci”. E a ben pensarci nelle sue storie non c’è (quasi) nulla di così assurdo da non potere effettivamente succedere. Il suo genio sta in questo: creare dal nulla un mondo impossibile e verosimile insieme, nel quale si viene a sapere della vendita dell’Inter a Thohir da Fausto Bertinotti durante un concerto dei Depeche Mode a San Siro; in cui un imprenditore chiude la sua ditta perché spera che un talk show mandi la bella inviata davanti ai suoi capannoni a intervistarlo; o ancora in cui un bambino che va allo zoo a offendere gli orsi diventa un cantante lirico di successo negli Stati Uniti.

    Mariarosa Mancuso ha scritto che Milani andrebbe promosso nella serie A degli scrittori perché “ha  i due requisiti che servono: un mondo e una lingua”. La lingua di Milani è quella parlata del bar sotto casa sua, piena di anacoluti che dicono più di quanto potrebbe una consecutio ben costruita, ricca di immagini come una chiacchierata tra amici, di salti logici come una discussione tra famigliari. Non bara mai, Milani, neppure quando racconta, come in questo pezzo inedito, di avere falsificato lui i biglietti dell’Atac a Roma e le tessere del Pd di Gibilterra. Sappiamo che non è così, ma potrebbe benissimo esserlo. A uno che sa raccontare la realtà in questo modo non si può non voler bene.

    • Piero Vietti
    • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.