La crisi tra Australia e Indonesia parte da un tweet stupidamente porno

Giulia Pompili

Se sei un personaggio pubblico, soprattutto un politico, esistono almeno tre categorie di gaffe che puoi fare su Twitter. Secondo il Telegraph c’è il tweet imbarazzante, quello infame e quello stupido. I tweet di Anthony Weiner sono il caso di scuola: il sexting che compromette una carriera politica. Poi c’è chi, come David Cameron, cade nei tranelli della rete, e finisce col seguire un’agenzia di escort di alta classe e mettere tra i preferiti un tweet insultante nei confronti del ministro degli Esteri, William Hague.

    Se sei un personaggio pubblico, soprattutto un politico, esistono almeno tre categorie di gaffe che puoi fare su Twitter. Secondo il Telegraph c’è il tweet imbarazzante, quello infame e quello stupido. I tweet di Anthony Weiner sono il caso di scuola: il sexting che compromette una carriera politica. Poi c’è chi, come David Cameron, cade nei tranelli della rete, e finisce col seguire un’agenzia di escort di alta classe e mettere tra i preferiti un tweet insultante nei confronti del ministro degli Esteri, William Hague. Ma un tweet può anche aggravare le relazioni tra due paesi, facendoli sprofondare in una crisi diplomatica con tanto di bandiere bruciate e ambasciatori richiamati. L’Australia e l’Indonesia, per esempio, i cui rapporti sono generalmente cordiali e di cooperazione.

    Fino a quando non si è messo in mezzo l’ex dipendente dell’agenzia di spionaggio americana, Edward Snowden, e a Giacarta hanno scoperto che nel 2009 i cellulari del presidente Susilo Bambang Yudhoyono e di sua moglie venivano ascoltati quotidianamente dai funzionari di Canberra. Marty Natalegawa, ministro degli Esteri indonesiano, a nome di tutto il governo ha chiesto le scuse ufficiali di Canberra, mentre il presidente Yudhoyono andava in diretta tv a ordinare l’interruzione della cooperazione tra i due paesi, delle esercitazioni militari e soprattutto del pattugliamento delle coste. L’esodo di migranti che partono sui barconi dalle spiagge indonesiane per arrivare in Australia è da sempre uno dei problemi principali delle relazioni diplomatiche tra i due paesi.

    Un funzionario del governo australiano, Mark Textor, ha pensato bene ieri di fare su Twitter una riflessione che il Telegraph collocherebbe a metà tra i tweet stupidi e quelli infami. In traduzione libera, la fine posizione diplomatica di Textor sarebbe questa: “All’Australia vengono richieste delle scuse da un tizio che sembra un pornoattore filippino degli anni Settanta e che viene a fare la morale a noi”. Secondo i media indonesiani, la definizione di “pornoattore filippino” si riferirebbe proprio al ministro degli Esteri Natalegawa. Textor prima ha negato qualsiasi riferimento alle vicende diplomatiche con Giacarta, ma poi si è tradito nuovamente, cancellando il messaggio e postandone uno nuovo, questa volta di scuse: “Mi scuso con i miei amici indonesiani. Twitter non è il luogo adatto alla diplomazia”. Il primo ministro australiano, Tony Abbott, ieri alla Camera ha rassicurato il governo di Giacarta, dicendo che riceverà “tutte le risposte di cui ha bisogno” sul caso delle intercettazioni, “evitando d’ora in avanti certi commenti di cattivo gusto”, riferendosi evidentemente al tweet di Textor. Ma ieri, a Giacarta, almeno duecento persone hanno marciato verso l’ambasciata australiana, chiedendo le scuse ufficiali al governo di Canberra.

    • Giulia Pompili
    • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.