Tra agenda e calendario

Le cartucce che sparerà Renzi per buttar giù il muro di Letta e Nap.

Claudio Cerasa

Sono le quindici e trenta, siamo a Roma, a due passi da Montecitorio, e un esponente importante del Pd vicino a Dario Franceschini sintetizza con una frase fulminante quello che sarà il destino, e insieme il paradosso, di Renzi alla guida del Pd. “Matteo, con Enrico, vorrebbe essere pure leale. Ma il punto è un altro: non è che non vuole, semplicemente Matteo non può”. Visto sotto questa lente di ingrandimento, la corsa del sindaco verso la conquista della leadership democratica (le primarie sono l’otto dicembre) offre molti indizi utili a capire le ragioni per cui la segreteria a trazione renziana non potrà che avere un effetto ruspa sulla famosa e indecifrabile stabilità del governo.

    Sono le quindici e trenta, siamo a Roma, a due passi da Montecitorio, e un esponente importante del Pd vicino a Dario Franceschini sintetizza con una frase fulminante quello che sarà il destino, e insieme il paradosso, di Renzi alla guida del Pd. “Matteo, con Enrico, vorrebbe essere pure leale. Ma il punto è un altro: non è che non vuole, semplicemente Matteo non può”. Visto sotto questa lente di ingrandimento, la corsa del sindaco verso la conquista della leadership democratica (le primarie sono l’otto dicembre) offre molti indizi utili a capire le ragioni per cui la segreteria a trazione renziana non potrà che avere un effetto ruspa sulla famosa e indecifrabile stabilità del governo. Il Rottamatore – probabilmente anche per alzare il livello di interesse intorno alle soporifere primarie che rischiano di far registrare un significativo calo di partecipazione, simile a quello già visto durante la prima fase del congresso, quella dedicata agli iscritti (ha votato più o meno lo stesso numero di tesserati che nel 2007 voto al congresso dei Ds) – negli ultimi giorni ha detto in modo esplicito che dal 9 dicembre ci sarà una nuova agenda che il governo dovrà seguire, e se Letta non farà quello che chiede Renzi, non solo i rottamatori si “arrabbieranno”, ma Letta potrà anche considerare concluso il suo mandato a Palazzo Chigi.

    Il caso Cancellieri, in realtà, dimostra che la vera partita che s’indovina dietro la battaglia delle primarie non è tra Renzi e Letta o tra Renzi e Cuperlo ma è piuttosto quella succosa che si sta giocando tra Renzi e Napolitano. Una battaglia che, dopo la questione indulto, ha avuto il suo secondo momento di tensione qualche giorno fa, quando Renzi ha scelto di non far pesare nei gruppi parlamentari del Pd la sua volontà di sfiduciare la Cancellieri, anche dopo aver ricevuto una tosta e decisa telefonata dal centralino della presidenza della Repubblica (anche il presidente del Consiglio, che pure in cuor suo aveva confidato ad alcuni ministri di essere pronto a sacrificare il ministro della Giustizia, alla fine sulla vicenda Cancellieri ci ha messo la faccia soprattutto perché spinto dalle richieste di Re Giorgio).

    I renziani, come è comprensibile, vivono la fase che li separa dalla (probabile) conquista del Pd con lo sguardo insieme eccitato e preoccupato di chi sa che con Matteo alla segreteria “ci si comincerà a divertire” e si farà di tutto per accelerare la decadenza del governo. Ma anche con l’atteggiamento di chi è consapevole – qui a parlare è un deputato Pd vicino al sindaco – “che fino a quando Napolitano farà muro contro di noi, per noi, dannazione, non c’è alcuna speranza di andare a votare”. Naturalmente, Renzi è cosciente di correre un rischio grande così nell’essere lì a recitare la parte di chi vuole farla finita con le larghe intese, senza avere però la forza necessaria di disattivare la calamita che tiene insieme – a volte misteriosamente – i vari tasselli del governo.

    Il problema della chioma di Sansone
    Nel Pd si dice che la capacità e la legittimità che avrà il Rottamatore di incalzare e di “asfaltare” il governo dipenderà soprattutto dallo scarto di voti che avrà rispetto a Cuperlo e dal numero di persone che andranno a votare (la partecipazione delle primarie sta a Renzi come la chioma sta a Sansone). Ma andando a investigare nell’universo renziano già da oggi si intuiscono quelli che saranno i temi con i quali il sindaco proverà a inchiodare il carissimo amico Enrico. Il Rottamatore sa che il futuro del governo passa dai primi cento giorni della sua segreteria, sa che per tentare di tornare al voto bisognerà muoversi entro il 15 aprile (l’ultima finestra utile, arzigogolano gli esperti, prima del semestre europeo è quella delle Amministrative, mentre sulla possibile coincidenza tra Europee e Politiche vi è una disputa tra costituzionalisti) e per questo ha già cominciato a ragionare su quali potranno essere le battaglie da combattere per sfidare la Grande coalizione ed eventualmente inchiodarla sulle sue inefficienze. I piani da prendere in considerazione sono due. Il primo riguarda la legge elettorale (e qui ci sono sorprese in arrivo). Mentre la seconda riguarda il piano economico renziano. Di “Matteonomics” si è scritto molto e alcuni ingredienti dell’agenda Renzi sono già delineati nella sua mozione congressuale. Quello che però il sindaco farà nei primi suoi cento giorni dal punto di vista economico non è ancora chiaro. Il Foglio ha indagato e ha individuato due piani differenti: da un lato c’è il Fisco e dall’altro  il Lavoro. Di che si tratta? Proviamo a seguire un filo.

    Sul primo fronte il sindaco sta raccogliendo i suggerimenti non solo di Yoram Gutgeld ma anche di Enrico Morando e di Giorgio Tonini, che nei prossimi giorni pubblicheranno, proprio in riferimento all’agenda Renzi, un libro che verrà distribuito da Europa. L’idea di Renzi – anche per ricominciare a farsi voler bene da quell’elettorato di centrodestra che un tempo era affascinato da Renzi e che oggi invece osserva con meno entusiasmo e più sospetto la corsa del “Nuovo Romano Prodi” – è quella di intestarsi il tema della diminuzione delle tasse sia per quanto riguarda la questione Irpef sia per quanto riguarda il cuneo fiscale. Sul fronte Irpef uno dei primi provvedimenti che Renzi spingerà sarà legato a una forte riduzione del prelievo fiscale sulle donne. Sul fronte cuneo, invece, il sindaco tenterà di rilanciare una sua vecchia idea: aumentare i soldi in busta paga a chi guadagna meno di duemila euro al mese e finanziare l’operazione intervenendo sulle spese pazze dell’amministrazione pubblica.

    Quanto ai temi del lavoro, infine, Renzi, che da qualche tempo ha riallacciato i rapporti anche con il senatore Pietro Ichino (Scelta civica, un tempo renziano), e sta ragionando su un paio di soluzioni con cui poter semplificare il salto culturale che la sinistra dovrebbe compiere: ovvero, su questo punto, che ciò che conta non è la tutela del posto di lavoro ma è la tutela del lavoratore nel mercato del lavoro. Traduzione: graduali modifiche alla legge Fornero per arrivare alla creazione di un contratto unico. In concreto significa che Renzi chiederà che il modello snello e flessibile del “Contratto di inserimento” a cui sta lavorando il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, in vista dell’Expo di Milano (contratto che prevede la possibilità di estendere il periodo del contratto a termine dai 12 mesi previsti dalla legge Fornero ai 24 mesi) sia un modello non solo transitorio ma da cui ripartire per riscrivere, appunto, la legge Fornero.

    Lavoro e fisco, fisco e lavoro. Con un’attenzione particolare a far sentire il fiato sul collo al governo (in pratica nel momento stesso in cui sarà segretario, Renzi si muoverà come se stesse virtualmente combattendo nuove primarie per la premiership contro Letta) ma stando anche attenti a non finire nel mirino di alcuni alleati d’establishment vicini a Letta che Renzi sogna di sfilare al presidente del Consiglio: il mondo confindustriale. Su questi temi Renzi proverà dunque a dimostrare di poter sopravvivere alla contraddizione potenzialmente letale di chi (da un lato) sembra fatto apposta per arrivare alla segreteria del Pd e far crollare il fragile castello delle larghe intese e (dall’altro lato) sa che la rete di protezione del governo potrebbe intrappolarlo e trasformarlo in una versione politica del mitico “Django Unchained” di Quentin Tarantino.

    E quindi che fare per non soffocare?
    L’arma più affilata che Renzi sostiene di avere in mano per puntellare il governo fa ancora rima con legge elettorale. Il sindaco, si sa, ha promesso che entro fine mese presenterà la sua proposta alla Camera (ci lavora Roberto D’Alimonte con il suo confindustriale Centro italiano studi elettorali) e ha scelto come strategia di utilizzare il tema legge elettorale per dimostrare un assunto finora difficile da contrastare: Letta e Napolitano vogliono far durare le larghe intese per molto tempo, e per questo puntano su una legge proporzionale; io invece non voglio più le larghe intese, e per questo voglio una legge ultra maggioritaria. Bene. La data del 3 dicembre, giorno in cui la Consulta si esprimerà (probabilmente solo sull’ammissibilità) in merito alla costituzionalità della legge Calderoli, si avvicina inesorabilmente: ma il governo sta studiando un piano preciso per disinnescare l’arma del Rottamatore. Il piano, come ha in parte svelato ieri il ministro Gaetano Quagliariello, prevede due passaggi. Il primo verrà esplicitato martedì prossimo in Consiglio dei ministri, quando il governo presenterà il suo disegno di legge costituzionale per la riduzione del numero dei parlamentari e il superamento del bicameralismo perfetto. Per approvare il disegno di legge ci vorranno almeno sei mesi, ma quando il ddl arriverà in prima lettura alla Camera il piano di Letta (ecco qui il secondo passaggio) è quello di esplicitare il tipo di riforma sul quale il governo punterà. Di che legge si tratta? Il modello è quello suggerito tempo fa da Luciano Violante: doppio turno di coalizione. Una legge praticamente identica a quella a cui sta lavorando Renzi. Il messaggio politico è chiaro: caro Matteo, noi ti promettiamo che faremo una legge elettorale come piace a te, e che sia in grado di superare il tripolarismo parlamentare, e anche di disinnescare Grillo, ma per avere questa legge devi darci il tempo di fare le riforme costituzionali che servono. Se il piano funzionerà è difficile dire, anche perché Renzi ama il doppio turno di coalizione ma non condivide l’idea che il premio di maggioranza debba scattare con una soglia fissata al 40 per cento (e chissà se è per questo che ieri mattina ad “Agorà” ha accennato alla possibilità di passare a un Mattarellum con premio di maggioranza).

    Di sicuro però, al termine di questa indagine, si può dire che Renzi vive una situazione di questo tipo: sa che non potrà essere troppo leale con Letta; ma sa anche che mostrare un’eccessiva fretta di voler tornare a votare rischia di essere un autogol se di fronte a te c’è un muro invalicabile di nome Napolitano. Un muro che ogni giorno mostra ai suoi avversari quanto sia in salita e quanto sia quasi impossibile la strada per far cadere il governo. Il sindaco ne è consapevole. Così come è consapevole che dare per troppo tempo testate al muro, senza riuscire a farlo cadere, è il modo migliore per farsi cuocere a fuoco lento. E’ il nodo di Renzi. Un nodo che se il sindaco non scioglierà in fretta rischia di strozzare in culla il grande sogno della rottamazione.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.