Ma che noia

Annalena Benini

Non basta dire: che noia. Non basta fare quella faccia, con gli angoli della bocca un po’ all’ingiù, le palpebre che si abbassano e gli occhi che guardano altrove. Bisogna specificare da che tipo di noia si è afflitti in questo preciso momento, spiegare con quanta frequenza accade e quanto tempo, insomma, investiamo nell’annoiarci. Secondo uno studio tedesco appena pubblicato, raccontato dal New York Magazine, esistono cinque categorie di noia (ed è molto probabile che nello stesso soggetto possano coesistere tutte e cinque).

    Non basta dire: che noia. Non basta fare quella faccia, con gli angoli della bocca un po’ all’ingiù, le palpebre che si abbassano e gli occhi che guardano altrove. Bisogna specificare da che tipo di noia si è afflitti in questo preciso momento, spiegare con quanta frequenza accade e quanto tempo, insomma, investiamo nell’annoiarci. Secondo uno studio tedesco appena pubblicato, raccontato dal New York Magazine, esistono cinque categorie di noia (ed è molto probabile che nello stesso soggetto possano coesistere tutte e cinque): la prima è la noia indifferente, cioè uno stato rilassato e leggermente positivo di noia, che riflette una generale indifferenza per il mondo esterno, e prevede giornate trascorse ad abbuffarsi, a sonnecchiare, senza particolare acredine verso l’universo.

    La seconda è la noia misurata, caratterizzata da pensieri vaganti e da una generale apertura a comportamenti che possano cambiare la situazione (mettersi a giocare a candy crush invece di ascoltare la conferenza, anche mettersi a giocare a candy crush invece di ascoltare la fidanzata che sta parlando al tavolo del ristorante).

    La terza categoria di noia è quella inquieta: l’annoiato inquieto diventa molesto, perché cerca continuamente il modo di cambiare la propria condizione, manda lo stesso messaggio a tutto il gruppo di amici: dov’è la festa stasera, che si fa, quando andiamo?, vuole risposte immediate, vuole distrazioni, chiacchiere, emozioni, novità che lo strappino al suo torpore e non si dà pace (è, di solito, terribilmente annoiato da se stesso).

    La quarta categoria è quella della noia reattiva: l’annoiato reattivo può diventare aggressivo, perché ha deciso di schivare tutte le situazioni che gli provocano noia (ricorrenze, appuntamenti, concerti di musica jazz) e soprattutto è deciso a evitare tutte le persone che lui ritiene colpevoli  del suo stato (“non sopporto più le persone che mi annoiano anche pochissimo, che mi fanno perdere anche un solo secondo di vita”, diceva Goffredo Parise).

    La quinta categoria, e più pericolosa secondo gli studiosi, è  la noia apatica: si è talmente annoiati che non si può fare nulla di nulla, e non si ha alcun sentimento a riguardo; finisce una trasmissione notturna e non si ha nemmeno la forza di cambiare canale o di spegnere e si resta lì, con il telecomando in mano, a non pensare a niente. Sono  condizioni in cui forse sembra di esserci trovati almeno una volta, ma bisogna specificare che se abbiamo più di venticinque anni no, non può essere, perché non abbiamo più alcun diritto di annoiarci.

    Gli studiosi hanno esaminato e suddiviso in classi soltanto la noia giovane, quella degli studenti, universitari e di scuola superiore (registrando come si sentivano sei volte al giorno e scoprendo che si annoiavano per il trentanove per cento del tempo), e hanno abolito la noia degli altri, forse perché la noia dei vecchi non conta. In quale modo potrebbe mai divertirsi un essere umano, passati i venticinque anni? Cancellata la possibilità di una vita allegra e attiva per raggiunti limiti di età, la noia appare come una condizione piuttosto irrilevante: romanzi, persone, film al cinema, conversazioni, occupazioni, ristoranti, teatri, figli, amanti, suocere, fidanzate, niente ci può annoiare perché niente ci può davvero appassionare. Questa discriminazione è inaccettabile perché la noia è un diritto fondamentale, e allora bisognerà ricordarsi di  dire, anche a centovent’anni, quando la domenica mattina ci lanceremo con il paracadute: uh, ma che noia.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.