Se Checco Zalone è berlusconiano, Renzi è Fonzie o l'ispettore Callaghan?

Mario Sechi

Happy days, sono giorni felici per la settimana politica italiana: un paio di scissioni, congressi da ring, Renzi di qua e Renzie di là, parole parole parole che neanche Mina e Alberto Lupo dei bei tempi andati saprebbero interpretare, pur con quell’incipit da racconto Harmony: “Cara, cosa mi succede stasera, ti guardo ed è come la prima volta”. Risponde il paroliere, Renzi: “Vivacchiare non serve a nulla e a nessuno” (16 novembre, dal sabato facebucchista).

    Happy days, sono giorni felici per la settimana politica italiana: un paio di scissioni, congressi da ring, Renzi di qua e Renzie di là, parole parole parole che neanche Mina e Alberto Lupo dei bei tempi andati saprebbero interpretare, pur con quell’incipit da racconto Harmony: “Cara, cosa mi succede stasera, ti guardo ed è come la prima volta”. Risponde il paroliere, Renzi: “Vivacchiare non serve a nulla e a nessuno” (16 novembre, dal sabato facebucchista). Dall’altro capo del filo, un lamento: “Di tutti gli altri non mi interessa, lo consideravo come un figlio…”, è Berlusconi sullo scissionista, Alfano. Arriva domenica (17 novembre), e la canzone è sempre là che gira sul piatto: “Che cosa sei, che cosa sei, che cosa sei”. Nessuno lo sa. Il ministro dell’Economia Saccomanni è sintonizzato e debortolizzato: “Basta liti su tutto” (intervista al Corriere della Sera). Facile a dirsi, ma se Renzi (rieccolo) afferma “noi siamo avanti” e Cuperlo ribatte “dai dati in nostro possesso siamo noi avanti”, se Bondi e Repetti dicono che “c’è lo zampino di Napolitano” (gioco delle coppie a “In mezz’ora” di Lucia Annunziata) e Cicchitto risponde con un sobrio “esagitati e grotteschi stalinisti”, si capisce che la saccomannata è vuoto a perdere. Tutti a nanna, mentre Mina cinguetta: “Non cambi mai, non cambi mai, non cambi mai”. E infatti il lunedì (18 novembre) è la fotocopia dei giorni precedenti. Ecco Massimo D’Alema artigliare Renzi prima in versione inglese con il vecchio detto brit “The proof is in the pudding”, la prova è nel budino e poi con la clava degli Antenati stampata sul mento del sindaco di Firenze: “Ignorante”.

    “Superficiale”. “Mente”. “Tardo-blairista”. “Vecchio”. “Falso Messia”. “Falso Santone” (in diretta da “Agorà”, mentre Gerry Greco sorride). E’ mattina, la giornata è appena iniziata, ma il dj cambia colonna sonora, per far suonare il ritornello di Fred Buscaglione: “Che notte, che notte quella notte! Se ci penso mi sento le ossa rotte”. Sono quelle di Cuperlo che ha perso e anche quelle di Renzi che vince ma si ritrova il partito spaccato come il parmigiano sul banco del supermercato. Sintesi cuperliana: “L’impianto che Matteo Renzi propone, non apre una fase nuova, ma riproduce il ventennio che vorremmo lasciarci alle spalle” (Agenzia Agi, ore 17 e 22). “Li stendo, li conto, son sei, poi li riconto perché non si sa mai”, Fred canta e sembra la biografia di Renzi che martedì su Twitter prende la Colt: “Se vinco niente vice. Niente incarichi di consolazione. Pd o non Pd i loschi li facciamo sloggiare”. Ispettore Callaghan. Nel frattempo Letta si toglie la stella di latta e batte il pugno sul tavolo del Pd: o il partito vota la fiducia alla Cancellieri o me ne vado. Apparecchiata così la faccenda, Annamaria Cancellieri mercoledì 20 novembre si presenta a Montecitorio, ribadisce la sua versione sul caso Ligresti (“nessuna giustizia di classe”) Renzi e i renziani fanno pippa, la mozione di sfiducia dei pentastellati di Grillo viene respinta con 405 voti e il ministro della Giustizia resta al suo posto.

    Resta il tempo di scrivere due note epocali sul taccuino. La prima è che Berlusconi non andrà alla convention del Nuovo centrodestra alfaniano (precisazione dell’ufficio stampa di Forza Italia, ore 16 e 27); il secondo è un fatto de curtura sul Mattinale, il bollettino azzurro teleguidato da Renato Brunetta, dove appare un endorsement di Checco Zalone: “Qualcuno l’ha notato? Siamo prudenti nel dirlo perché non vorremmo iniziasse un boicottaggio come quello contro i pompelmi degli israeliani. Il film ‘Sole a Catinelle’ di Checco Zalone esprime in pieno la filosofia positiva, generosa, anticomunista, moderata, serena di Berlusconi e di Forza Italia”. Sdoganata la corrente filosofica dello zalonismo e preso atto dell’asse della disoccupazione (l’unica cosa che hanno in comune) tra Letta e Hollande a Villa Madama, si va a nanna e ci si risveglia il giovedì (21 novembre) con il canto del paroliere: “La Cancellieri ha detto che il vecchio Pd l’avrebbe difesa. Ha ragione: il nuovo Pd non la difenderà così, per questo voglio che il Pd cambi” (Matteo Renzi a “Uno Mattina”). Il Pd che non l’ha votato viene dipinto come in una scena cantata da Buscaglione: “Buck la Pasta, Jack Bidone coi fratelli Bolivar / mentre, sotto ad un lampione / se la spassa Billy Carr”. A metà mattina arriva un fatto concreto, o meglio, un rinvio: slitta il decreto che abolisce la seconda rata dell’Imu. Coperta corta, bisogna trovare i soldi per finanziare il taglio fiscale. All’ora di pranzo arriva un intervento di Giorgio Napolitano che chiosa perfettamente il clima: “E’ un periodo di incognite e amarezze” (ore 12 e 44, mentre il presidente riceve la medaglia d’oro dell’Università Lateranense). Letta poco più tardi (ore 13 e 52) prova a tirarsi su il morale: “La seconda rata dell’Imu non sarà pagata dai cittadini, questo impegno sarà rispettato”.

    Renzi fa ancora il rumorista, alcuni deputati Pd non digeriscono il piano di privatizzazioni del governo, schizzi di Ruby dal tribunale di Milano, Prodi risponde a Marine Le Pen dicendo che non bisogna uscire dall’euro, c’è il lutto nazionale per le vittime dell’alluvione in Sardegna. Minuto di silenzio. E’ venerdì, cribbio, si ricomincia. Sempre da lui, fresco impatinato da Vanity Fair: “D’Alema era convinto di vincere. Lo hanno chiamato la mattina stessa in cui ha saputo di aver perso e di essere stato sconfitto da un ignorante e superficiale come me”. Una voce in tv, è Renzi su “Agorà”. Vai con la sigla: “Sunday, Monday, happy days…”.