Grillo teme un V-Day fiacco e lo irrobustisce con supercazzole economiche

Marianna Rizzini

Non si può sapere se una piazza sarà piena o mezza-piena, ma uno che neppure un anno fa riempiva con folle oceaniche le piazze del profondo nord e del profondo sud non può rischiare, domenica prossima, di ritrovarsi ridimensionato in casa, in quel di Genova. E infatti Beppe Grillo, in previsione del terzo V-Day (il primo dicembre), e visti anche i non-successi delle amministrative trentine e lucane, sta tentando di aggredire l'evento con un approccio a tre punte.

    Non si può sapere se una piazza sarà piena o mezza-piena, ma uno che neppure un anno fa riempiva con folle oceaniche le piazze del profondo nord e del profondo sud non può rischiare, domenica prossima, di ritrovarsi ridimensionato in casa, in quel di Genova. E infatti Beppe Grillo, in previsione del terzo V-Day (il primo dicembre), e visti anche i non-successi delle amministrative trentine e lucane, sta tentando di aggredire l’evento con un approccio a tre punte: un po’ presenza a sorpresa dove lo scontro sociale frigge (sempre a Genova, tre giorni fa, durante la sollevazione degli autisti Amt); un po’ “caciara” sul blog, con attacco simultaneo a chiunque lo critichi in tv, compreso Pippo Baudo che due giorni fa aveva ricordato l’imbarazzo dei notabili Rai nel 1986, ai tempi della battuta di Grillo sui “socialisti ladri”; un po’ sforzo di nobilitare l’ira funesta (spesso inconcludente) dei suoi con annunci e seminari su temi economici. “It’s the economy, stupid”, è il messaggio, veicolato anche con la promessa di “ospiti internazionali” che spieghino il mondo marcio (ma Serge Latouche, il teorico della decrescita felice che, nel marzo scorso, aveva speso parole di lode per Grillo, ha per ora declinato l’invito a parlare sul palco del V-Day con un “non vorrei espormi, non sono italiano, magari passo”).

    “It’s the economy, stupid”, e i Cinque stelle su quella puntano per far dimenticare gli scivoloni da setta casaleggiana in fase di difficile manutenzione. Tre settimane fa è stata la volta della lezione sull’euro di professori vari alla Camera, ieri invece andava in scena la guerra preventiva al voto di fiducia sulla Legge di stabilità: gli eletti di M5s, in conferenza stampa mattutina, illustravano la loro mozione a suon di racconti strappalacrime sugli anziani disperati (quello che ha rubato “noci e mele” per “un bottino di quattro euro”; quello che ha il “terrore” dell’Imu, quello che “non può comprare il regalo al nipotino”). “La nostra mozione perché i nonni abbiamo cinquecentodiciotto euro” in più, dicevano, alludendo contemporaneamente alla limatura delle pensioni d’oro. La fiducia alla Legge di stabilità è “uno schiaffo al Parlamento”, ripetevano; una manovra “per non perdere stipendio e poltrona”. E mentre il Grillo da caciara scriveva l’ennesimo post contro “Letta nipote” e contro la classe politica da cancellare a suon di “populismo rabbioso” (definizione di Letta adottata da Grillo), i Cinque stelle anticipavano la scaletta del V-Day: no agli euroburocrati, dàgli alla lobby nell’ombra, sostegno alle piccole e medie imprese, botte al Quirinale, prefigurazione di un futuro ancora più fosco. “L’anno prossimo andrà anche peggio, il governo sta impegnando il futuro dei nostri figli”, dicevano gli eletti grillini facendo prova generale di lotta dura al Fiscal compact mentre Silvio Berlusconi, alla vigilia del voto sulla decadenza da senatore, faceva appello agli M5s proprio in nome dei figli (“Non assumete una responsabilità che graverebbe per sempre sulla vostra storia personale… responsabilità di cui in futuro dovreste vergognarvi”, scriveva il Cav. La risposta della senatrice e stornellista a cinque stelle Paola Taverna era: “La sentenza è definitiva. Andiamo oltre”). Non a caso si chiama “Oltre” il terzo V-Day, e il titolo appare suo malgrado automotivazionale (oltre le figuracce, oltre gli streaming, oltre le riunioni a porte chiuse con strepiti, oltre la perdita di consenso nel bacino mediatico di riferimento, dal Fatto in giù).
    Tra i due primi “V-Day”, apoteosi dello sberleffo grillesco non ancora gravato dall’incontro con una realtà non proprio a misura di utopia formato Google, e quest’ultimo evento di marketing ex-post, c’è un abisso di aspettative. Peraltro già tradite.

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.