Prima e dopo Ginevra
Provvisorio? L'accordo con l'Iran ha già effetti (su Israele e sui siriani)
L’accordo sul nucleare con l’Iran è provvisorio e durerà soltanto sei mesi, il tempo di lavorare a un vero patto, ma alcuni effetti laterali sono già definitivi. L’Amministrazione Obama e il governo israeliano hanno raggiunto la dissonanza più totale mai registrata nella storia delle relazioni tra i due paesi: domenica il segretario di stato, John Kerry, ha detto che l’accordo con l’Iran rende più sicuro anche Israele, il premier Benjamin Netanyahu lo ha definito “un errore storico” e il suo ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, “la più grande vittoria diplomatica della Repubblica islamica dai tempi della rivoluzione khomeinista”.
L’accordo sul nucleare con l’Iran è provvisorio e durerà soltanto sei mesi, il tempo di lavorare a un vero patto, ma alcuni effetti laterali sono già definitivi. L’Amministrazione Obama e il governo israeliano hanno raggiunto la dissonanza più totale mai registrata nella storia delle relazioni tra i due paesi: domenica il segretario di stato, John Kerry, ha detto che l’accordo con l’Iran rende più sicuro anche Israele, il premier Benjamin Netanyahu lo ha definito “un errore storico” e il suo ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, “la più grande vittoria diplomatica della Repubblica islamica dai tempi della rivoluzione khomeinista”. Ieri Netanyahu ha annunciato di avere parlato con il presidente americano Barack Obama e di stare per inviare un team di israeliani a Washington per lavorare assieme all’accordo permanente con l’Iran. Potrebbe essere il primo segno di un cambio diplomatico. L’inviato a Gerusalemme del Wall Street Journal, Charles Levinson, spiega che tra i leader israeliani adesso ci sono due “competing camps”, due scuole di pensiero in competizione tra loro. Una che approva la politica dei toni durissimi di Netanyahu, che però finora ha messo Israele e non l’Iran in un angolo e che il giornale Haaretz definisce “la politica della petulanza perenne”; un’altra che chiede di cambiare approccio e di tentare di avere più voce in capitolo sull’accordo finale con l’Iran, che è quello che conterà davvero.
Dopo la conclusione all’alba dei negoziati a Ginevra – giunta relativamente in fretta – sono arrivati due retroscena da Associated Press e dalla giornalista Laura Rozen del sito al Monitor. Entrambe sostengono che americani e iraniani hanno trattato in segreto almeno a partire da marzo e che l’elezione a presidente di Hassan Rohani a giugno (entrato poi in carica ad agosto) ha accelerato gli incontri. Molti dettagli si stanno aggiungendo di ora in ora, come per esempio che a guidare tutti gli sforzi dietro il sipario è stato William Burns, vicesegretario di stato. Uno dei punti che non sfugge a nessuno è che Washington trattava con l’Iran senza dirlo agli alleati, incluso Israele – ieri però Haaretz ha pubblicato un articolo che sostiene come l’intelligence israeliana fosse da mesi a conoscenza di questa diplomazia occulta.
“Ecco perché non ha colpito Assad”
I negoziati segreti tra America e Iran riguardano anche la questione siriana. L’inviata del Washington Post in medio oriente, Liz Sly riassume seccamente così su Twitter: “Nessuna meraviglia che l’America non abbia bombardato Assad, ora che si sa che stava negoziando con l’Iran”. Viene da chiedersi se l’Amministrazione Obama non abbia sempre considerato la Siria una partita minore che non doveva in alcun caso pregiudicare la partita più importante, il raggiungimento dello storico accordo sul nucleare. Il governo di Teheran si considera lo sponsor più importante del presidente siriano Bashar el Assad e l’intervento armato americano dopo la strage con le armi chimiche a Damasco avrebbe interrotto qualsiasi trattativa.
Sabato il Wall Street Journal ha pubblicato un articolo con informazioni micidiali sulla politica di Obama per quanto riguarda la Siria: l’Amministrazione era a conoscenza di attacchi limitati con armi chimiche da parte di Assad fin dal luglio 2012, ma ha sempre contato sul fatto che il presidente siriano fosse abbastanza furbo da non compiere stragi maggiori per non scatenare la possibilità di un intervento internazionale. L’intelligence americana intercettò anche gli ordini di attacco con armi chimiche contro la periferia di Damasco del 21 agosto – che fecero centinaia di morti – con tre giorni di anticipo, ma non li tradusse fino a quando non fu troppo tardi, proprio perché ormai era programmata su questa linea del “lasciamo correre”.
L’Arabia Saudita, che assieme a Israele è l’altro grande oppositore del patto con l’Iran, ieri dopo un giorno di silenzio ha detto che l’accordo ad interim di Ginevra potrebbe essere “un passo, se c’è buona volontà”. Il regno saudita sta facendo circolare la notizia assai meno laconica di un piano B: la sua uscita dal patto di non proliferazione e l’acquisizione di armi atomiche da parte del Pakistan, che si è dotato di un arsenale nucleare grazie all’aiuto saudita e si considera debitore strategico. Questo piano B è finito sulla Bbc a inizio novembre: è l’ennesimo avvertimento obliquo di Riad all’Amministrazione Obama.
Il Foglio sportivo - in corpore sano