Le due Lolite

Annalena Benini

Una mattina di fine estate del 1955 Vladimir Nabokov, che aveva lavorato per quattro anni a una storia sconvolgente in lingua inglese con dentro un uomo, una ragazzina e la madre di lei e non aveva trovato un editore americano disposto a pubblicare un libro tanto scandaloso, apre il New Yorker come di consueto e ci trova un racconto di Dorothy Parker, giornalista, americana, critica teatrale, letteraria e mondana, poetessa, scrittrice (mai di romanzi). Il racconto è intitolato “Lolita” ed è completamente diverso dagli altri racconti di Dorothy Parker.

    Una mattina di fine estate del 1955 Vladimir Nabokov, che aveva lavorato per quattro anni a una storia sconvolgente in lingua inglese con dentro un uomo, una ragazzina e la madre di lei e non aveva trovato un editore americano disposto a pubblicare un libro tanto scandaloso, apre il New Yorker come di consueto e ci trova un racconto di Dorothy Parker, giornalista, americana, critica teatrale, letteraria e mondana, poetessa, scrittrice (mai di romanzi). Il racconto è intitolato “Lolita” ed è completamente diverso dagli altri racconti di Dorothy Parker: questa Lolita non ha dodici anni, ma diciotto o diciannove e non è particolarmente bella. Ma ha una madre vedova, e piena di speranze, a caccia di un marito attraverso “piccole spirali di risate”: quando John, uomo solo sulla trentina, arriva in città, la vedova se ne innamora ma con sua enorme disperazione John sceglie Lolita. Passa a prenderla in auto, e in auto lei lo chiama Dad. Nabokov è sconvolto. Quella è la sua storia, è il suo romanzo, la sua Lolita che nessuno ha voluto pubblicare ma che in molti hanno letto a New York, sempre con mille raccomandazioni di segretezza e con la prudenza di portare i manoscritti a mano perché non finissero in mani sbagliate. Il direttore della fiction del New Yorker, cui Nabokov aveva consegnato il manoscritto, si irritava alle raccomandazioni: siamo abituati alla segretezza e siamo capaci di mantenere l’anonimato, rispondeva, non c’è da preoccuparsi. Non era ancora uno degli scrittori più importanti del mondo, lo si poteva trattare un po’ male. E spettegolare, chiacchierare, passarsi quei fogli di carta, farli leggere a mogli ed ex mogli, anche dire: è disgustoso, non lo pubblicherò, ma tu intanto leggilo. Mary McCarthy disse: non riesco a finirlo. Anche senza email, chat, anche senza il tasto inoltra dei telefoni, si riusciva benissimo a essere indiscreti, a sapere tutto. Ma quella mattina di fine agosto del 1955, quando lesse il racconto “Lolita” di Dorothy Parker (lei dichiarava di prendere i nomi dei suoi personaggi dai necrologi e dall’elenco telefonico, e di solito le sue ragazze si chiamavano Carol, Grace, Delia, Elinor), Nabokov quasi svenne: il suo romanzo stava per uscire in Francia, mancavano due settimane. Scrisse al New Yorker, sconvolto. Gli fu risposto, in tono molto difensivo, che si trattava certamente di una coincidenza, cose che succedono in continuazione e anzi era fortunato perché il romanzo usciva di lì a poco e nessuno avrebbe sospettato il plagio della Lolita da Dorothy Parker.

    Il New York Magazine ha raccontato la storia delle due Lolite, pubblicando le lettere di Nabokov, di sua moglie Vera, un estratto del racconto di Dorothy Parker e una ricostruzione del passaggio di pettegolezzi e di manoscritti. Con un po’ di cattiveria verso Parker, descritta come una scrittrice in crisi anche economica (lei l’ha dichiarato per tutta la vita), sempre in procinto di venire sfrattata, reduce da qualche flop e da qualche rifiuto, in difficoltà con le idee ma dotata di un orecchio speciale per le indiscrezioni. Dopo la pubblicazione in Francia di “Lolita”, Nabokov si trovò dentro guerre molto più grandi e disse che la Lolita di Dorothy Parker non aveva “alcuna importanza” (e in effetti non le cambiò la vita). Anni dopo, quando “Lolita” uscì in America, Parker lo recensì per Esquire, e scrisse che era un grande libro, scritto in una lingua meravigliosa. Del resto, ma questo non lo scrisse, le era piaciuto anche quando era un fascio di carta che nessuno voleva pubblicare.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.