Alla contesa del credito
Banchieri insoddisfatti di Letta, Visco scontento delle banche
Monta il malcontento tra le banche per i risvolti della Legge di stabilità e per la flemma riformatrice del governo Letta. E allo stesso tempo gli istituti sono criticati dalla Banca d’Italia per il loro immobilismo. Gli effetti della rivalutazione delle quote di Bankitalia non compensano l’aumento dei prelievi fiscali sugli istituti, al punto che gli interessati “non escludono il ricorso alla Corte di Giustizia europea”, scriveva ieri MF/Milano Finanza.
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Monta il malcontento tra le banche per i risvolti della Legge di stabilità e per la flemma riformatrice del governo Letta. E allo stesso tempo gli istituti sono criticati dalla Banca d’Italia per il loro immobilismo. Gli effetti della rivalutazione delle quote di Bankitalia non compensano l’aumento dei prelievi fiscali sugli istituti, al punto che gli interessati “non escludono il ricorso alla Corte di Giustizia europea”, scriveva ieri MF/Milano Finanza. Adeguare le quote detenute dalle banche al patrimonio di Bankitalia garantisce plusvalenze miliardarie ai principali istituti, Intesa Sanpaolo e Unicredit in primis, e rafforza il loro patrimonio in vista degli stress test europei. La stampa parla di “regalo” ai banchieri, il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni di un provvedimento loro gradito. Eppure si ritengono penalizzati da altre tasse previste nella manovra.
Lo stato incasserà circa un miliardo dalla tassazione delle plusvalenze (meno di quanto preventivato perché l’aliquota è stata abbassata) e nel frattempo punta a recuperare altri 1,5 miliardi dall’aumento dell’Ires dal 27,5 al 36 per cento e l’anticipo dell’acconto Ires 2013 per banche e assicurazioni, secondo la Legge di stabilità approvata dal Senato. Insomma, quanto basta per abolire la seconda rata dell’Imu sull’abitazione principale. Le lobby bancarie la considerano una “stangata” perché il sistema bancario italiano è il più tassato d’Europa. L’ha spesso ripetuto Antonio Patuelli, presidente dell’Associazione bancaria italiana (Abi), già insoddisfatto dalla scelta del governo di ridurre da 18 a 5 anni i tempi di deduzione dei crediti deteriorati in pancia alle banche anziché azzerarli, come accade ad esempio in Francia. Resta però da vedere che ne sarà della portabilità gratuita dei conti correnti, prima annunciata, poi annacquata in Senato, come denunciano le associazioni dei consumatori, e infine mantenuta nel maxiemendamento e ora all’esame della Camera. Evitarla, questo sì, sarebbe un rischio scampato per le banche. Al netto dei provvedimenti normativi, il mondo degli affari italiano mugugna, sottolineava il Wall Street Journal lunedì riferendo di businessman preoccupati dall’inazione del governo Letta che “porterà il paese al cimitero”. Idea con cui concorda Guido Rosa, presidente dell’Associazione italiana banche estere, che oltre alla penalizzazione fiscale (“disincentivante per tutte le attività imprenditoriali”) critica l’immobilismo della politica: “Se questo paese non vuole implodere, il nostro sistema politico deve attuare riforme radicali e rivoluzionare, dalla burocrazia al fisco alla giustizia. Basta con i piccoli passi e le piccole correzioni di norme precedenti in maniera confusa. E’ il nostro rating come paese che ci rispecchia e senza riforme resteremo sempre a un basso livello”, dice al Foglio.
Se i banchieri sono insofferenti nei confronti del governo, è la Banca d’Italia che dovrebbe essere indispettita dalle banche riluttanti a modernizzarsi. L’Istituto centrale guidato da Ignazio Visco ha pubblicato i risultati di un’indagine sul sistema di governo di 43 banche chiamate ad autovalutarsi. Il risultato mostra che la governance non è in linea con gli standard italiani delle società quotate e con quelli dei concorrenti internazionali per presenza femminile, età media, accountability e agilità decisionale. La rappresentanza femminile nei board è scarsa (il 93 per cento sono uomini) e nessuna donna ricopre ruoli apicali. “Un forte disallineamento” rispetto agli intermediari esteri che, però, l’81 per cento delle banche non considera un aspetto da correggere. L’età media dei consiglieri supera i 60 anni, sopra la media europea. Il ricambio generazionale è minimo dal momento che l’incarico dura in media 6,2 anni (con picchi di dieci). I consiglieri delle banche cumulano incarichi in varie aziende, in media 6. Il 72 per cento dei componenti dei cda, infine, è da considerarsi non esecutivo (con incarichi non attinenti alla gestione bancaria), il che è sintomo di “un’insufficiente attenzione alla distinzione e valorizzazione di ruoli e responsabilità”, dice la Banca d’Italia.
Ad avere suscitato le critiche di Visco ultimamente è soprattutto la Banca Popolare di Milano. La spesso invocata trasformazione in spa pare allontanarsi e Visco, con una lettera, ha sferzato Bpm. I sindacati e i soci/dipendenti s’oppongono al cambio della governance in difesa del modello cooperativo, da più parti considerato anacronistico, col rischio peraltro di ritardare un aumento di capitale necessario a rimborsare i prestiti statali ricevuti. Una resistenza pericolosa: per Lamberto Dini, in un primo momento coinvolto nel riassetto successivo al ribaltone che ha portato alle dimissioni dell’ad e del presidente, ciò potrebbe comportare la “perdita di indipendenza”, ovvero il commissariamento o un intervento per legge.
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