Quella patrimoniale sui risparmi nel paese dei tartassati

Alberto Brambilla

La retorica pro ceti bassi del governo di Enrico Letta, a parole sostenitore delle fasce deboli e dell'equità, stride con la Legge di stabilità in discussione da ieri in commissione Bilancio della Camera. Così com'è stata votata dal Senato, infatti, la manovra 2014 aggrava il peso del fisco sui risparmiatori italiani, che dall'inizio dell'anno sono tornati a stivare denaro con l'intento di ricostruire la propria ricchezza, corrosa dalla doppia recessione degli ultimi cinque anni e tuttora in corso.

    La retorica pro ceti bassi del governo di Enrico Letta, a parole sostenitore delle fasce deboli e dell’equità, stride con la Legge di stabilità in discussione da ieri in commissione Bilancio della Camera. Così com’è stata votata dal Senato, infatti, la manovra 2014 aggrava il peso del fisco sui risparmiatori italiani, che dall’inizio dell’anno sono tornati a stivare denaro con l’intento di ricostruire la propria ricchezza, corrosa dalla doppia recessione degli ultimi cinque anni e tuttora in corso. Per la prima volta dall’inizio della crisi, quest’anno la quota di reddito disponibile destinata a prodotti di risparmio è aumentata del 9,1 per cento, tornando sui livelli del 2010, dice un rapporto di Gfk Eurisko e Prometeia, centro di ricerca economica fondato dal “padrino politico” di Letta, Beniamino Andreatta.

    Nel 2013 gli italiani hanno fatto come le formiche riducendo i consumi, complice la congiuntura incerta e un quadro fiscale non chiaro. Una tendenza diametralmente opposta a quella della Gran Bretagna dove, nel giro di un anno, sono stati ritirati 23 miliardi di sterline dai conti bancari: “Il crollo più consistente degli ultimi quarant’anni”, titolava ieri il Telegraph. Gli analisti britannici ritengono che le finanze liberate abbiano sostenuto i consumi incentivando la ripresa, sebbene il governo ora chieda agli inglesi  di tornare a preservare la ricchezza. In Italia, dove all’opposto si incrementa il risparmio, ci vorranno dieci anni affinché il potere d’acquisto torni ai livelli del 2007 e per giunta, come ha scritto ieri il Corriere della Sera, il ceto medio viene tartassato (sono quei 4 milioni di contribuenti con un reddito da 2 mila euro mensili che hanno versato la metà dell’Irpef nazionale). Ora chi ha investito in fondi comuni, titoli e altre attività finanziarie vedrà aumentare l’imposta di bollo dall’1,5 per mille al 2.

    Introdotta da Monti, l’imposta ha generato nel 2013 un gettito di 4 miliardi; aumenterà di 940 milioni nel 2014. Una tassa giudicata regressiva da alcuni osservatori perché grava sui patrimoni più bassi (dai 17 mila euro in giù) e incentiva a parcheggiare denaro sul binario morto dei conti correnti, tassati con un’imposta forfettaria per depositi da 0 a 5.000 euro e di 34 euro fissi oltre quella soglia. “Questa è una patrimoniale ‘ongoing’ di cui non c’era bisogno e che per giunta ci riporta a un’intermediazione del risparmio da anni ’80, quando la finanza era in fase embrionale”, dice Alberto Foà presidente di AcomeA Sgr, società di gestione del risparmio.

    A questa patrimoniale “perpetua” si aggiunge poi la minaccia di un’altra patrimoniale sulla fetta più ricca della popolazione. Viene evocata di nuovo ora che l’abolizione della seconda rata dell’Imu ha diffuso incertezza tra i sindaci che avevano maggiorato l’aliquota nel 2013 rispetto al livello base e ora non hanno direttive su come verranno trovati i 400 milioni necessari a coprire tale scompenso e recuperare i crediti vantati nei confronti dello stato. “Era più semplice fare pagare una quota al 10 per cento ai più abbienti, ne avremmo ricavato 1,2 o 1,4 miliardi”, ha detto il ministro per gli Affari regionali, Graziano Delrio, già presidente Anci, l’associazione dei comuni italiani.

    La patrimoniale è stata spesso invocata dai dirigenti del Partito democratico e non è stata esclusa nemmeno dai tre candidati che si contendono la segreteria del partito: il favorito Matteo Renzi non ha messo veti; per  Pippo Civati sarà necessaria una anagrafica dei patrimoni prima di procedere, in caso, con un’imposta progressiva; Gianni Cuperlo invece vorrebbe una patrimoniale per “redistribuire la ricchezza e non per colpirla”. Comunque la si guardi la ricchezza dei privati, usata dai governi di fronte ai commissari di Bruxelles come fattore attenuante dell’enorme debito pubblico italiano, è sempre nel mirino del fisco.

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.