Renzi, lo scasso e il piano b

Claudio Cerasa

Sergio Staino ha inquadrato alla perfezione la condizione particolare in cui si troverà Matteo Renzi con una formidabile vignetta pubblicata due giorni fa sull'Unità. “Renzi comincia già a dare ordini, eh”. “Sì, da segretario sarà più difficile però”. Ecco. A cinque giorni dalla convocazione dei gazebo del Pd il paradosso di Staino non è una semplice battuta ma è una situazione precisa in cui si troverà Renzi da segretario del Pd qualora il governo Letta-Napolitano dovesse riuscire a disinnescare tutte le bombe che il Rottamatore metterà sotto le fragili fondamenta che sostengono le piccole intese.

Leggi la lettera di Civati Perché con Renzi le larghe intese non finiscono più e la lettera di Zingaretti Perché il Pd non è pronto a sfidare la nuova destra

    Sergio Staino ha inquadrato alla perfezione la condizione particolare in cui si troverà Matteo Renzi con una formidabile vignetta pubblicata due giorni fa sull’Unità. “Renzi comincia già a dare ordini, eh”. “Sì, da segretario sarà più difficile però”. Ecco. A cinque giorni dalla convocazione dei gazebo del Pd il paradosso di Staino non è una semplice battuta ma è una situazione precisa in cui si troverà Renzi da segretario del Pd qualora il governo Letta-Napolitano dovesse riuscire a disinnescare tutte le bombe che il Rottamatore metterà sotto le fragili fondamenta che sostengono le piccole intese.

    E in fondo il problema quello è. Perché, sì, tu Renzi lo guardi, lo segui, lo leggi, lo studi, lo analizzi ma alla fine della fiera, dovendo immaginare come andranno a configurarsi i nuovi equilibri del Pd e i nuovi rapporti di forza nel centrosinistra, il punto resta sempre uno: come farà il sindaco a conciliare la voglia di sprigionare la sua energia con la necessità probabilmente forzata di tenere l’energia dentro quella pentola a pressione chiamata governo? Dopo mesi (un po’ soporiferi) di campagna elettorale e dopo mesi (un po’ confusi) passati a spiegare che il modo migliore per far finire le larghe intese è scegliere Renzi (salvo poi dire che le larghe intese che finiranno con Renzi saranno le prossime e non queste) si può dire che il percorso che si presenta di fronte al Rottamatore presenta elementi di forza ma anche elementi di criticità.

    Abbiamo messo insieme, sine ira ac studio, i puntini che compongono il profilo politico del sindaco e abbiamo provato a indagare sul senso della corsa di Renzi e sulla sua possibile direzione. Intanto: ma cos’è che esattamente vuole fare Renzi? Vuole davvero far cadere il governo? Vuole davvero convivere con Letta? Vuole davvero fare il segretario per un anno? E perché poi, se è convinto che le larghe intese si andranno presto a schiantare contro un Tir, ha deciso di ricandidarsi a sindaco? Al di là della retorica e delle forzature di fine campagna elettorale, il vero pensiero di Renzi sul suo rapporto con il governo è questo. Seguiamo il filo.

    Dunque. Il sindaco di Firenze vorrebbe andare a votare a marzo e per questo, un secondo dopo la probabile vittoria alle primarie, inizierà ad alzare l’asticella, comincerà a chiedere quasi l’impossibile al governo, lo metterà alle strette sulla legge elettorale, sulle riforme costituzionali, sui provvedimenti economici, sulle norme sul lavoro, sul fisco, darà una scadenza di qualche mese per veder realizzate alcune riforme e infine proverà a inchiodare il caro amico Enrico alla possibile realtà: io ti ho chiesto di fare delle cose, tu non le hai fatte, quindi non posso che toglierti la fiducia. Per fare questo, Renzi, che sa perfettamente che di fronte a un governo del presidente il suo vero e principale interlocutore è più il presidente della Repubblica che il presidente del Consiglio, ha deciso di puntellare il caro amico Enrico utilizzando, diciamo così, alcune cartucce napolitaniane. In che senso? Semplice: prendendo il formidabile discorso con cui Re George, lo scorso 25 aprile, giorno del suo reinsediamento, ha sculacciato tutto il Parlamento – quello in cui ha accusato di scarso riformismo il centrodestra e il centrosinistra, quello in cui ha denunciato lo stallo fatale delle passate legislature, quello in cui ha chiesto ai partiti di superare le sordità del passato e quello in cui ha espressamente vincolato il mandato del futuro governo (e anche il proprio) alla realizzazione delle riforme costituzionali – per utilizzarlo contro il caro amico Enrico e inchiodarlo di fronte alle sue possibili responsabilità. Senso della tattica: caro presidente, se Letta non fa le riforme subito non sono io che gli devo chiedere di andare a casa, dovrebbe essere lei. Renzi però, in cuor suo, crede che sia molto, molto, molto complicato che questo governo possa cadere prima della fine del prossimo anno (ed è per questo che ha promesso che si ricandiderà a sindaco) e ai suoi collaboratori ha confessato che il termine fisiologico per tentare di rottamare Letta è la fine di gennaio: poi diventa tutto troppo complicato. Un dramma la durata del governo Letta? Forse sì, forse no. Nel caso in cui le piccole intese dovessero andare avanti, nella testa di Renzi la logica è quella del win-win: se Letta non fa le cose che gli chiedo, vinco io perché si torna a votare; se Letta invece fa le cose che gli chiedo, vinco ugualmente perché il governo fa le cose che servono e io dimostro di fronte al paese la mia responsabilità e il mio essere non solo un rottamatore ma anche un costruttore. Il pensiero di Renzi, dunque, è piuttosto lineare (queste sono le mie idee; o le fa Letta o le faccio io) ma la capacità di Renzi di imporre la sua linea al Pd e, soprattutto, vedremo perché, ai gruppi parlamentari, dipende da tre fattori.

    Fattore numero uno: se Renzi riuscirà a superare il cinquanta per cento dei consensi (sotto il cinquanta per cento, infatti, lo statuto del Pd prevede che il voto debba essere confermato dagli iscritti dell’assemblea nazionale del partito, il che sarebbe uno smacco non da poco per il “messia” del centrosinistra).

    Fattore numero due: se Renzi riuscirà ad avere un distacco importante dal secondo arrivato (obiettivo minimo è il sessanta per cento, altro che il cinquanta per cento, e qualsiasi risultato al di sotto di questa soglia rischia di trasformare Renzi in un ostaggio dell’apparato che lo sostiene, in primis della corrente Area dem guidata da Dario Franceschini, particolarmente valorizzata nelle liste appena presentate per la prossima assemblea nazionale).

    Fattore numero tre: quante persone andranno a votare domenica alle primarie (e a dire il vero, anche se saranno due milioni, risultato minimo che Renzi si augura, saranno comunque un milione di elettori in meno rispetto al 2009, quando i candidati erano Bersani e Franceschini, e un milione e mezzo in meno rispetto al 2007, quando alla segreteria arrivò Veltroni). Renzi, dopo l’inaspettato successo ottenuto tra gli iscritti (46,7 per cento contro il 38,4 per cento di Cuperlo), è ottimista sul risultato; ma dai territori, qua e là, arrivano segnali allarmanti che mostrano come la preoccupazione per un risultato non all’attesa delle aspettative esista davvero tra i sostenitori del sindaco.

    Le due classi di renziani
    I veri numeri che però preoccupano Renzi, più che quelli dei sondaggi incontrollati che girano in queste ore (“i miei sondaggi mi danno vincitore!”, ha addirittura detto ieri mattina ad “Agorà” Pippo Civati), sono altri e sono quelli che, presi uno a uno, spiegano bene qual è il vero punto cruciale della lotta futura tra Matteo Renzi e la coppia Enrico Letta e Napolitano. Renzi ha detto che una volta comunicati i nomi che faranno parte della squadra della sua segreteria (dovrebbe farlo a quanto pare già il prossimo nove dicembre, se davvero vincerà le primarie) convocherà i gruppi parlamentari e spiegherà loro la nuova linea d’attacco del Pd. Problema: ma i gruppi parlamentari del Pd risponderanno più al presidente del Consiglio (e al suo protettore quirinalizio) o più al neo segretario del Pd? Renzi sostiene che dovranno rispondere a lui ma la questione in realtà è delicata e vale la pena spenderci alcune righe per spiegare il motivo. Punto primo: la radiografia dei gruppi. La composizione dei gruppi del Partito democratico (398 parlamentari tra Camera e Senato) riflette ancora il vecchio patto di sindacato del Pd (Bersani, Letta, Franceschini) e la maggioranza assoluta è dunque tecnicamente ancora in mano al presidente del Consiglio. Punto secondo: il vero numero di renziani presenti alla Camera e al Senato. Renzi, come è noto, non ha preteso che nelle ultime liste dei parlamentari presentate alle elezioni il 40 per cento ottenuto alle primarie fosse rappresentato in modo proporzionale al numero di voti conquistati e così, subito dopo il 25 febbraio, si è ritrovato con un piccolo piatto di lenticchie pari a 51 parlamentari. Nel corso dei mesi, poi, il numero di sostenitori di Renzi, tra Camera e Senato, è cresciuto in modo considerevole fino a raggiungere quota 189 parlamentari nel giorno della presentazione della mozione Renzi. Quel numero però è un numero pericoloso, e in parte gonfiato, per una semplice ragione: un conto sono i parlamentari direttamente legati al sindaco di Firenze; un altro sono i parlamentari che sostengono Renzi. Sul primo numero si può dire che tra Camera e Senato, oltre ai 51 di partenza, si sono avvicinati all’universo del Rottamatore circa trenta bersaniani pentiti (prevalentemente quelli di rito emiliano-romagnolo e marchigiano, anche grazie all’ingresso nell’orbita renziana di Stefano Bonacini, segretario regionale dell’Emilia Romagna). Mentre per gli altri la storia è diversa. Dei 189 parlamentari che appoggiano Renzi, infatti, una sessantina sono quelli offerti in prestito dalla corrente Area dem di Dario Franceschini. Mentre cinque sono quelli vicini a Enrico Letta (Anna Ascani, Francesco Sanna, Gianni Dal Moro, Franco Frigo, Francesco Boccia. Molti altri, invece, sosterranno Cuperlo, come probabilmente farà lo stesso Enrico Letta nel segreto dell’urna). Ne consegue che, a voler essere generosi, oggi, tra Camera e Senato, sono poco più di un centinaio le truppe di cui dispone Renzi. Il che vuol dire un quarto delle truppe totali. Naturalmente, a questi numeri potrebbero aggiungersi, in nome del “rinnovamento”, anche alcuni dei famosi giovani turchi che sostengono Cuperlo (una cinquantina) e i sostenitori di Civati (che nei gruppi parlamentari però sono una manciata, non arrivano a cinque). Ma di fatto, a meno di rivoluzioni epocali, i numeri dicono che il presidente del Consiglio, sulla carta, dispone della maggioranza nei gruppi del Pd. E non è un caso che, con molta malizia, gli anti renziani del Pd (lettiani in primis) suggeriscano spesso al cronista di conservare nel cassetto alcune agenzie dello scorso 12 ottobre. Quel giorno il Pd doveva scegliere il candidato all’Agcom e quel giorno il candidato proposto dal renziano Paolo Gentiloni (Antonio Sassano) ha perso contro il candidato proposto da Letta e compagnia (Antonio Nicita). E sui numeri ci siamo: 80 voti Sassano, 130 Nicita (quel giorno però gli assenti erano molti).

    A Palazzo Chigi, anche per questo, sono convinti che sarà sufficiente resistere per il primo mese e mezzo della segreteria Renzi per costringere il Rottamatore a diventare davvero l’azionista di maggioranza del governo. E in fondo, conversando con molti renziani, è perfettamente percepibile tra loro l’umore di chi vorrebbe far precipitare tutto ma di chi si ritrova da questo punto di vista con le mani legate: e con le mani di chi per forza di cose dovrà sostituire la parola rottamazione con la parola costruzione. I teorici della resistenza al renzismo, D’Alema in primis, sono convinti che per Renzi l’allungamento dei tempi coinciderà con una progressiva autorottamazione del Rottamatore e che per alcuni versi (ma qui siamo proprio al gufaggio puro) le prossime europee, dovessero andare male, potrebbero avere per Renzi una ricaduta pesante. Chissà. Ma per tornare alla domanda di partenza – Che cosa farà Renzi? Punta davvero allo showdown? – la risposta è sì: il sindaco di Firenze, nei primi cento giorni, se davvero diventerà segretario, proverà a imporre al governo un ritmo che difficilmente il governo potrà sopportare; tenterà in tutti i modi di provocare Letta; di far perdere le staffe ad Alfano; di sfidare Napolitano; e di utilizzare la legge elettorale come un ordigno da piazzare sotto le fragili piccole intese. Riuscirà a far cadere il governo? Difficile, quasi impossibile, dice ai suoi lo stesso Renzi. E così quando il Rottamatore si renderà conto che la rete di protezione di cui dispone questo governo è più forte del previsto (rete che parte dal Quirinale, arriva nelle principali cancellerie europee e si irradia nelle stanze che contano dell’establishment italiano) comincerà lui a cambiare verso e a ricalibrare il suo progetto di rottamazione spostando più in là la data delle elezioni. Conviene a Renzi? Il sindaco, forte dei suoi 38 anni, è convinto che il tempo giocherà a suo favore. Gli anti renziani, forti della loro dimestichezza con gli ingranaggi del partito, sono convinti che il tempo invece giocherà a suo sfavore e sono convinti che da qualche parte nei prossimi mesi si troverà un “superman” capace di sfidare Renzi. Difficile dire come finirà. Facile invece dire che da lunedì cominceranno due partite. La prima è quella che Renzi giocherà con Letta (dal 9 dicembre, in pratica, cominceranno nuove primarie). La seconda è quella che Renzi (38 anni) giocherà con Napolitano (88 anni). Due sfide parallele. Ma non c’è dubbio che nei primi cento giorni di Renzi saranno loro, Letta e Napolitano, gli obiettivi veri nella nuova èra della rottamazione renziana.

    Leggi la lettera di Civati Perché con Renzi le larghe intese non finiscono più e la lettera di Zingaretti Perché il Pd non è pronto a sfidare la nuova destra

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.