Ci sono dei buchi nelle ispezioni dell'Opcw all'arsenale chimico di Damasco

Daniele Raineri

Martedì una lettera del segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon al Consiglio di sicurezza è diventata pubblica. Doveva essere riservata, ma è stata messa da un reporter sul sito del canale arabo al Hurra e poi è stata confermata come autentica da alcuni diplomatici dell'Onu. La lettera di Ban Ki-moon è datata 27 novembre e descrive le attività dell'Opcw in Siria tra il 23 ottobre e il 26 novembre.

    Martedì una lettera del segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon al Consiglio di sicurezza è diventata pubblica. Doveva essere riservata, ma è stata messa da un reporter sul sito del canale arabo al Hurra e poi è stata confermata come autentica da alcuni diplomatici dell’Onu.

    La lettera di Ban Ki-moon è datata 27 novembre e descrive le attività dell’Opcw in Siria tra il 23 ottobre e il 26 novembre. L’Opcw è l’organizzazione per il controllo delle armi chimiche che quest’anno ha vinto il premio Nobel per la Pace e che si sta occupando del delicato piano di smantellamento dell’arsenale chimico controllato dal governo del presidente siriano Bashar el Assad. La distruzione di quell’arsenale è il frutto di un accordo arrivato dopo una strage con armi chimiche in cui il 21 agosto morirono 1.400 civili alla periferia di Damasco e che dopo un ripensamento dell’Amministrazione Obama risparmiò ad Assad un intervento armato da parte di America e Francia.

    Dalla lettera si scopre che il lavoro dell’Opcw in Siria ha dei buchi. L’Opcw è sul posto con 15 esperti e 48 persone di staff, ma gli spostamenti e le ispezioni sono difficili perché nel paese c’è una guerra civile mescolata a un’infestazione di terrorismo islamista e a una crisi umanitaria di dimensioni storiche, e il tutto è complicato dall’intervento militare degli alleati di Assad.

    La cosiddetta Fase II si occupa delle ispezioni che l’Opcw sta compiendo per verificare le dichiarazioni del governo siriano. Ma sui 23 siti dichiarati da Damasco tre non erano raggiungibili dagli ispettori internazionali per ragioni di sicurezza. In due di questi siti sono stati mandati siriani del governo con alcune telecamere sigillate e dotate di Gps – provviste loro dall’Opcw – per filmare i luoghi e produrre almeno delle prove video con la certezza che si trattasse proprio delle basi da ispezionare. Non è chiaro se questo metodo garantisce piena affidabilità. Resta un sito non ispezionato, che il governo di Damasco ha dichiarato abbandonato ma che gli esperti non hanno potuto vedere nemmeno in video: lo faremo, dicono nella lettera, quando le condizioni di sicurezza lo permetteranno.

    Probabilmente si tratta del sito di al Safira, vicino Aleppo, definito nei rapporti sul programma chimico siriano “uno dei siti più grandi e importanti, dove il gas nervino è prodotto e caricato su armi” utilizzabili sul campo di battaglia. La commissione dell’Opcw non è riuscita ad andare nell’area di Homs – è scritto nella lettera trapelata – per verificare la completa distruzione delle munizioni di categoria 3. Appartengono a questa categoria tutti quegli ordigni progettati specificamente per l’uso e la dispersione di armi chimiche – come i razzi con serbatoio lanciati ad agosto sulla periferia di Damasco. Anche in questo caso, nota l’Opcw, è tutto rimandato a quando le condizioni lo permetteranno.

    Ban Ki-moon è preoccupato per la sicurezza della missione e dalla Fase III, che prevede lo spostamento delle 1.200 tonnellate di sostanze chimiche verso il porto di Latakia. Da lì, secondo gli ultimi piani, dovrebbero essere caricate a bordo di navi danesi e norvegesi e distrutte da un impianto speciale sulla nave americana Cape Ray. Il problema è che alcune strade che dovrebbero essere usate per il transito delle sostanze sono bloccate dai combattimenti, e non c’è possibilità di prevedere se cesseranno o si sposteranno. La situazione potrebbe diventare più semplice o più complicata (trattandosi di Siria, verrebbe da puntare sulla seconda possibilità).

    Se tutto andasse per il verso giusto, scrive il sito specializzato The Trench, gli americani riceverebbero dall’Onu il via libera alla distruzione delle armi chimiche in mare il 27 dicembre, al più tardi. La nave Cape Ray dovrebbe salpare da Norfolk, arrivare nel Mediterraneo e poi lavorare per circa 60 giorni – comunque in tempo per la scadenza del 31 marzo.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)