Il leader che volevano santo

Maurizio Stefanini


In Italia si combatte sul Piave, quando il 18 luglio 1918 Rolihlahla Mandela nasce nel villaggio di Mvezo. Mussolini sta ponendo fine alla democrazia italiana quando a sette anni un insegnante della scuola metodista che frequenta gli cambia quell’impronunciabile nome di battesimo, che significa letteralmente “tirarami” e in senso traslato “piantagrane” o “rompiscatole”: forse per aver tirato troppi calci nella pancia di sua madre durante la gravidanza.

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    In Italia si combatte sul Piave, quando il 18 luglio 1918 Rolihlahla Mandela nasce nel villaggio di Mvezo. Mussolini sta ponendo fine alla democrazia italiana quando a sette anni un insegnante della scuola metodista che frequenta gli cambia quell’impronunciabile nome di battesimo, che significa letteralmente “tirarami” e in senso traslato “piantagrane” o “rompiscatole”: forse per aver tirato troppi calci nella pancia di sua madre durante la gravidanza. E così diventa Nelson, dall’ammiraglio vincitore di Abukir e Trafalgar di cui il maestro è un grande ammiratore. In Italia De Gasperi sta vincendo le elezioni del 18 aprile 1948 quando assieme all’amico Oliver Tambo il trentenne Nelson apre il primo studio di avvocati gestito da neri nella storia sudafricana. Muore Benedetto Croce in quel 1952 in cui guida la sua prima azione di disobbedienza civile e viene arrestato per la prima volta. Il suo quasi coetaneo John Kennedy si insedia alla Casa Bianca quando nel 1961 Nelson Mandela entra in clandestinità alla testa della nuova organizzazione armata Umkhoto we Sizwe: “Lancia della Nazione”. Ma dopo neanche un anno lo prendono, e riceve la prima condanna mentre Kennedy è impegnato con Kruscev nel braccio di ferro sui missili a Cuba. Quando esce, l’11 febbraio 1990, il Muro di Berlino è caduto, e in Germania Est è in corso la campagna elettorale per quelle prime e uniche elezioni libere che porteranno alla riunificazione con l’Ovest. Si insedia presidente del Sudafrica il 10 maggio 1994, proprio lo stesso giorno in cui diventa Presidente del Consiglio in Italia Silvio Berlusconi. Lascia la carica dopo un solo mandato il 14 giugno 1999, quattro giorni dopo la fine della guerra del Kosovo. Muore nel 2013: a quattro anni dall’ingresso di un nero alla Casa Bianca, dopo che il Sudafrica è stato ammesso nel club dei Brics, e mentre nel mondo dilagano le rivolte dell’antipolitica: dagli indignati alla Turchia e al Brasile passando per il grillismo.

    Padre di una Patria in cui non aveva più alcun ruolo ufficiale da 14 anni ma che si interroga nondimeno angosciata su cosa accadrà dopo la sua morte, Nelson Mandela se ne va a quasi 95 anni dopo aver attraversato due secoli, e non solo in termini cronologici. Il suo bisnonno, Sua Maestà Ngubengcuka, era il re del popolo Thembu prima della conquista coloniale britannica. Suo nonno si chiamava Mandela: nome che poi divenne il cognome di famiglia. Suo padre, Gadla Henry Mphakanyiswa, apparteneva a un ramo dinastico collaterale escluso dalla successione, ma era comunque il capo del villaggio, e un consigliere del sovrano. Nominato nel 1915 dopo che il suo predecessore era stato destituito da un magistrato bianco per allegata corruzione, anche Galda sarebbe stato però destituito nel 1936, per le stesse ragioni: anche se stando al figlio era in realtà quel magistrato che montava accuse pretestuose contro i “neri” non docili ai suoi diktat. Mamma Nosekeni Fanny, quella che prendeva i calci in pancia, proveniva da un clan potente, ma era sono la terza delle quattro mogli del capo, ognuna in un villaggio diverso. “Papà era poligamo”, ricorda con un lampo di malizia il Nelson Mandela interpretato da Morgan Freeman nel film “Invictus - L'invincibile”. Era anche un pagano, seguace di quel dio Qamata che nel mito xhosa è figlio del Sole e della Terra. Il cambio di nome da Rolihlahla a Nelson, in qualche modo, segna anche il passaggio dalla cultura pagana-poligamica-rurale del padre a quella metodista-monogamica-urbana nella quale vivrà il figlio, anche se ciò non sarà chiaro che qualche anno dopo. Orfano a nove anni per colpa della tubercolosi, Nelson era stato infatti preso sotto la tutela del reggente Dalindebo, in attesa di poter entrare nel Consiglio Privato a sua volta. Diplomato a 19 anni, va a studiare Diritto a Fort Hare, all’epoca unica università aperta ai neri di tutta l’Africa al sud dell’Equatore. Ma quando il tutore cerca di combinargli un matrimonio non di suo gusto rompe con la società tribale, e a 23 anni se ne va a Johannesburg. Tuttavia le antiche radici non saranno mai rinnegate: il soprannome Madiba si riferisce al clan xhosa cui appartiene.       

    Tra gli oltre 250 premi che Nelson Mandela ha preso nel corso della sua vita, spicca ovviamente il Premio Nobel per la Pace: che gli diedero nel 1993 assieme a Frederik Willem de Klerk, ultimo presidente “boero” del Sudafrica dell’apartheid, che quando si insediò lui stava ancora in galera, e che tra 1994 e 1996 gli avrebbe poi fatto da vicepresidente. Ma durante la sua lunga detenzione Amnesty International non l’aveva mai adottato come detenuto di opinione di cui chiedere la liberazione, proprio perché alla testa di un’organizzazione che propugnava la lotta armata. E forse più ancora di quel Nobel è significativo che sia l’unica persona al mondo che sia riuscita a ottenere sia la Presidential Medal of Freedon Usa che l’Ordine di Lenin e il Premio Lenin per la Pace. Quest’ultimo, tra l’altro, preso nel 1990 da un Urss moribonda mentre era ancora in carcere, sarebbe stato poi da lui ritirato nel 2002, 11 anni dopo la dissoluzione dell’Unione. “Il mondo è cambiato da allora e l’Unione sovietica con gli altri Stati socialisti allora esistenti sono scomparsi”, disse nel discorso di accettazione. “Non è compito nostro lamentare sviluppi che i popoli di questi Paesi hanno desiderato e acclamato. Ma non è neanche compito nostro negare il valore dell’appoggio che ricevemmo da quei Paesi o mascherare l’immenso apprezzamento che per questi Paesi avemmo”. Attenzione, però! Il 2002 fu anche l’anno in cui Nelson Mandela andò a ritirare la Medaglia Presidenziale per la Libertà da George W. Bush: peraltro, senza che a Washington si rendessero conto che il premiato stava però in una vecchia lista di sospettati di legami con il terrorismo, obbligati per entrare in territorio Usa a chiedere uno speciale permesso. Un’anomalia di cui si sarebbe accorta e avrebbe provveduto Condoleezza Rice solo nel 2008. 

    Non è un eclettismo della vecchiaia. Già chi negli anni ’50 si fosse recato a visitare Nelson Mandela nel suo appartamentino di Soweto avrebbe trovato sulla parete i ritratti di Franklin Delano Roosevelt, Winston Churchill, Stalin e Gandhi, più la presa del Palazzo d’Inverno a Pietrogrado. Aristocratico nipote di re imbrancatosi coi comunisti; capo guerrigliero formatosi sullo studio contemporaneo di Mao, Che Guevara, Clausewitz e Menahem Begin; avversario del potere boero che passò i suoi 27 anni di detenzione a imparare l’afrikaans e dichiara la sua ammirazione per i comandanti della guerra di Orange e Transvaal contro gli inglesi; Mandela al processo del 1960 si dichiarò disponibile al partito unico; in quello del 1962 lodò la monarchia tradizionale xhosa; nell’altro del 1964 celebrò il Parlamento inglese; diventato Presidente ha privatizzato a tutto spiano. In altri, un atteggiamento del genere risulterebbe irritante. In lui è diventata parte di quel mito che gli ha visto dedicare film, canzoni, francobolli e monete; costruire statue ancora vivo; veder perfino dare il suo nome al ragnetto Stasimopus mandelai. Probabilmente, perché solo un personaggio così eclettico avrebbe potuto tenere assieme senza sangue, e mantenendo al contempo i principi dell’”un uomo un voto” e del “più partiti” un Paese dalle quattro razze e dalle undici lingue ufficiali. Di etnia ufficialmente xhosa ma dai fortissimi tratti boscimani, molto più delle media di un’etnia comunque abbastanza miscelata, il suo stesso volto è un inno alla varietà del Paese Arcobaleno. Come è stato ribattezzato il Sudafrica del post-apartheid. Nell’intenzione era un attacco, ma probabilmente visto il pulpito da cui proviene potrebbe essere considerato un paradossale elogio, quel che di lui ha di recente detto il contestato presidente dello Zimbabwe Nelson Mugabe:  “Mandela è andato troppo oltre nel fare il bene alle comunità di non negri, in alcuni casi attuando contro i suoi stessi interessi”: “Mandela vuole essere santificato, troppo buono, troppo santo”.

    In realtà, non è che alla biografia di Mandela manchino le asprezze. Si è già detto della rottura con la società tribale, dopo la quale per sopravvivere è costretto a fare il guardiano di miniera con una paga misera. È allora che si affilia all’African National Congress, ed è grazie al partito che il principe minatore trova un posto da praticante avvocato. Ma ciò non gli impedisce di contestare la dirigenza. Fondato nel 1912 sul modello del Congresso nazionale indiano, che hanno conosciuto attraverso il famoso soggiorno di Gandhi in Sudafrica, il Congresso nazionale africano in questo momento è infatti guidato da una vecchia guardia di aristocratici tribali che va da anni avanti a base di inutili petizioni alla monarchia inglese e vuoti proclami, e che vedono come la peste i comunisti. “Hanno fucilato un sovrano, un nobile come noi!”, è un loro abituale commento sulle vicende della Rivoluzione Russa. Nelson subito dopo aver partecipato a 25 anni alla prima manifestazione si bitta invece decisamente a sinistra, e crea una Lega Giovanile fortemente critica verso la linea ufficiale del partito. Ma già qui fa capolino il suo eclettismo. Mandela è infatti chiaramente influenzato dai comunisti, di molti dei quali è diventato amico all’Università, e che gli hanno fatto conoscere i classici del marxismo. Ma il programma ufficiale della Lega Giovanile rifiuta il comunismo. Motivo: è un’“ideologia non africana”.

    Con lui cofondatore della Lega Giovanile è Oliver Tambo: colui assieme al quale poco dopo aprirà il suo studio legale. Abbiamo già ricordato come sia il primo nella storia del Sudafrica gestito da avvocati neri: una vera sfida, nel momento in cui la vittoria elettorale del 1948 consegna il potere al Partito Nazionale, con la sua ideologia di apartheid duro e puro. Il primo arresto arriva nel 1952, dopo aver iniziato una campagna di disobbedienza civile di tipo gandhiano, che porta al suo primo arresto. Il secondo arresto arriva nel 1956 con l’accusa di alto tradimento. Nel 1961 arriva un’assoluzione, ma nel frattempo il trascurare la famiglia per la politica ha creato un solco con Evelyn Mase: l’infermiera di quattro anni più giovane di lui che ha sposato nel 1944, e che gli ha dato due maschi e due femmine.. Anche lei xhosa e orfana in tenera età, in realtà anche lei sarebbe in teoria dentro la lotta fino al collo, come sorella di un noto attivista dell’Anc che le ha fatto in pratica da padre. Ma a un certo punto si stufa, si converte ai Testimoni di Geova, accusa Nelson di averla riempita di corna, e nel 1958 ottiene il divorzio. Si prenderà lei i bambini, e aprirà una frutteria. Il ritorno in libertà dell’ex-marito ne farà una star della stampa nazionale, che ricorrerà invariabilmente alle sue interviste quando le serve qualcuno che ne parli male. Pur sostenendo che “agli occhi di Dio” lei e Nelson sono ancora marito e moglie, lei nel 1998 si risposerà però un uomo d’affari di Soweto, morendo sei anni dopo. 

    È pure nel 1958 che Nelson sposa Nomzamo Winifred Zanyiwe Madikizela “Winnie”: una graziosa 22enne, a sua volta xhosa, che gli darà altre due figlie, e che invece è una militante dell’Anc arrabbiata. Anche lei gli darà gravi problemi, anche se di natura diversa da quelli della Testimone di Geova. Durante i lunghi anni della detenzione del marito, infatti, la procace e aggressiva Winnie lucrerà senza ritegno sul suo ruolo di  consorte sofferente del martire in prigione, cercando in più di spingere l’Anc su un terreno radicale esattamente opposto a quello su cui poi si orienterà il marito.  “Libereremo il Sudafrica a colpi di collari di fuoco”, dice nel 1986, in riferimento ai copertoni accesi infilati nel collo con cui venivano linciati i pretesi collaborazionisti. Soprannominata “Mother of the Nation”,  diventerà infine“Mudder of the Nation”, vergogna della nazione, quando poi proprio in concomitanza con la liberazione del marito salterà fuori un’immagine di satrapa violenta e corrotta, alla testa di una pretesa squadra di calcio che era in realtà una banda di pericolosi squadristi. Sono questi “calciatori”, in particolare, che nel 1989 uccidono il 14enne Stompie Moeketsi, accusato di essere un informatore della polizia. Condannata nel 1991 a sei anni per sequestro di persona e aggressione, Winnie si vedrà ridurre la pena in appello all’equivalente di 6000 euro attuali di multa  proprio grazie al nuovo clima politico. La scamperà poi del tutto con l’amnistia: solamente avrà un rimprovero di quella Commissione per la Verità e Riconciliazione che avrebbe poi derubricato tutte le possibili pendenze penali del tempo dell’apartheid, in cambio di confessioni. E diventerà anche first lady, oltre che viceministro nel governo del marito. Ma criticando ferocemente il suo moderatismo e cercando di aizzargli contro l’ala più radicale dell’Anc, dopo che d’altronde i due si erano già separati nel 1992. Il divorzio, nel 1996, coinciderà con il suo allontanamento dal governo, in cui non è più tornata. Ma non ha mai smesso di cercare la leadership del partito, appoggiandosi alle sue tendenze più radicali.

    Questa Winnie pericolosa, però, salterà fuori solo tra molti anni. Per il momento, è una brava moglie del guerriero che accetta senza problemi di essere salutata, mentre il marito entra in clandestinità. Nelson, come suo costume, fa le cose coscienziosamente. Mentre i guerriglieri fanno i primi attentati, lui gira per l’Africa a cercare appoggi. E frequenta pure corsi di addestramento militare: sempre al suo stile di par condicio,. sia nella filo-americana e feudale Etiopia del negus Hailè Selassiè che nell’Algeria socialista e filo-sovietica di Ahmed Ben Bella. Ma appena torna in patria subito lo prendono. È il 5 agosto 1962: la sua clandestinità è durata in tutto 17 mesi. Il 25 ottobre 1962 gli danno i primi cinque anni di prigione, per aver guidato uno sciopero e per espatrio illegale. Il 12 giugno 1964 per la sua attività di guerrigliero riceve l’ergastolo. Solo perché non vogliono farne un martire evita il capestro. Per ben due volte, nei 27 anni successivi, i servizi segreti sudafricani organizzeranno finte evasioni, apposta per avere la scusa di farlo fuori. Entrambe le volte Nelson fiuta la trappola.

    Chiuso nel terribile carcere di Robben Island, ora dal suo soggiorno trasfigurato in meta turistica e addirittura patrimonio dell’umanità dell’Unesco, Mandela passa i primi tredici anni ai lavori forzati. Ma intanto è divenuto un simbolo a livello mondiale, e nel 1976 il governo gli offre per la prima volta il rilascio, in cambio della rinuncia alla politica o almeno all’opzione della lotta armata. Lui rifiuta. Nel 1977 lo esentano dal lavoro manuale. Dal 1985 iniziano in modo riservatissimo negoziati politici veri. I frutti si vedranno quando nell’agosto del 1989 diventa presidente Frederik Willem de Klerk, in un momento in cui il collasso del blocco comunista rende ormai superate le vecchie paura su una sovietizzazione del Sudafrica in caso di morte ai neri. Dopo una prima raffica di provvedimenti che in pochi mesi abolisce l’apartheid e legalizza i partiti politici vietati, l’11 febbraio del 1990 Nelson Mandela torna in libertà. A 72 anni, il suo volto smagrito e dai capelli bianchi è ormai diverso da quello paffutello e con la barba delle foto di 27 anni prima, che hanno continuato a campeggiare in magliette e poster. Ma anche il suo linguaggio di moderazione e conciliazione è una sorpresa, sebbene i comunisti continuino a far parte dell’Anc come un’influente lobby interna, cui andranno ministeri importanti. Il 27 aprile 1994 si tengono le elezioni in cui il 62 per cento dei votanti deposita nella scheda il suo nome. Il 10 maggio 1994, a 76 anni, si insedia come primo presidente nero nella storia del Sudafrica. Come ricordato, in base agli accordi sulla transizione De Klerk, con cui l’anno prima ha condiviso il Nobel, è il suo Vice.

    Sotto molti punti di vista, i cinque anni della Presidenza Mandela sono piuttosto dimessi. Ma in fondo è una Presidenza memorabile proprio perché si sforza di non esserlo: preferendo una Commissione per la Verità a epurazioni giacobine; e l’empowerment per far crescere un ceto imprenditoriale nero a nazionalizzazioni o espropri; e una politica di amicizia con tutti. Soprattutto, spettacolare differenza rispetto a tanti eroi liberatori del Terzo Mondo poi metamorfosati in eterni satrapi, dopo il primo mandato rifiuta di ricandidarsi. Undici mesi prima di lasciare la Presidenza Nelson si è sposato per la terza volta: con Graça Machel, classe 1945, vedova di un presidente mozambicano morto in un incidente aereo 12 anni prima. Con la sposina, non bella ma colta e dai modi dolci, l’unica donna a essere stata first lady di due Paesi diversi, si godrà una lunga pensione da monumento vivente a sé stesso. Tutto sommato, malgrado i 28 anni di carcere nel periodo della maturità, una delle vite più belle e piene del XX secolo. Anche se adesso bisognerà vedere se davvero, come si diceva, i bianchi sudafricani avevano preparato le valige per partire tutti il giorno dopo il suo funerale.

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