Governo Leopolda
Il day after è un ciclone di un milione e seicentomila voti che arriva a Palazzo Chigi alle diciassette e trenta dopo una conferenza stampa scoppiettante, un messaggio politico d’attacco, una discontinuità ostentata anche con il profilo delle persone scelte per la segreteria, che poi è una squadra di governo di Renzi, e una tentazione irresistibile – la vedi nei gesti, nelle parole, nei sorrisi, nelle battute e nelle risposte ai cronisti – di far pesare il trionfo alle primarie come fosse la certificazione di un nuovo rapporto di forza con il governo.
Il day after è un ciclone di un milione e seicentomila voti che arriva a Palazzo Chigi alle diciassette e trenta dopo una conferenza stampa scoppiettante, un messaggio politico d’attacco, una discontinuità ostentata anche con il profilo delle persone scelte per la segreteria, che poi è una squadra di governo di Renzi, e una tentazione irresistibile – la vedi nei gesti, nelle parole, nei sorrisi, nelle battute e nelle risposte ai cronisti – di far pesare il trionfo alle primarie come fosse la certificazione di un nuovo rapporto di forza con il governo. Un rapporto di forza in nome del quale, grazie al 68 per cento ottenuto alle primarie, i quasi tre milioni di elettori portati ai gazebo, il vero presidente del Consiglio da oggi si chiama Matteo Renzi. E un rapporto di forza in nome del quale Enrico Letta, di conseguenza, dovrà comportarsi come fosse il vicepremier con deleghe all’Economia del governo Leopolda. Esageriamo. Ma il senso del colloquio avuto ieri dal nuovo segretario Pd con il capo del governo si può riassumere anche così: caro Enrico, o si fa come ti dico io oppure ciao. L’atteggiamento di Renzi, e la sua voglia naturale di viaggiare con il vento in poppa, dovrà fare i conti con quello che sarà il primo esplosivo che il sindaco avvicinerà al governo Letta-Napolitano: la legge elettorale. Non si scappa, tutto gira attorno a questo tema. Che si fa? La partita presenta molte incognite, molte trappole e molte domande legate alle vere intenzioni del sindaco di Firenze: farà cadere il governo, farà un accordo con Letta, vuole votare, vuole durare, vuole prendere tempo, ha capito che non ha fretta, vuole davvero convivere con Letta? La sfida sulla legge elettorale si gioca su un piano che prevede due strade d’accesso. La prima, più scontata, è quella governativa. La seconda, più complicata, è quella extra governativa.
Graziano Delrio, ministro renziano, capo delle colombe rottamatrici, sostiene che Renzi e Letta riusciranno a trovare un accordo. Ma il passaggio è più complicato e rischioso di quanto si voglia far credere e il messaggio consegnato ieri dal sindaco-segretario a Palazzo Chigi è tosto ed è più o meno questo: io voglio fare la legge elettorale con la maggioranza che compone questo governo, se voi però fate melina, guardate che io ci metto un attimo a trovare un accordo con Forza Italia e andare subito va al voto. L’ipotesi B, in realtà, seppure sia un’arma che i falchi renziani, quelli cioè che vogliono il voto subito, accarezzano con eccitazione (convinti cioè che far pressione subito su Letta e Alfano per ottenere una legge elettorale sia come convincere il tacchino a partecipare al giorno del ringraziamento), al momento è una pistola che il sindaco ha poggiato sul tavolo per far capire che se il governo non fa quello che dice Renzi la strada per andare a votare esiste, eccome se esiste. In questo senso, la mediazione cui punta Renzi per lavorare con il governo consiste nel costringere Letta a presentare subito una legge che garantisca il maggioritario e ad approvarla definitivamente non oltre il 25 maggio, e non necessariamente al termine del cantiere delle leggi costituzionali. Senso della strategia: caro Enrico, io non voglio che questo governo cada, ma tu non puoi pensare di tenermi a bada solo con il trucco che non si può votare perché c’è una legge elettorale che non mi piace. “Terremo il governo appeso a un filo – racconta al Foglio un renziano di ferro – e il dialogo con Berlusconi non è solo una questione retroscenistica ma è un’opzione vera. Matteo e Berlusconi hanno un rapporto, un accordo lo trovano, e se Letta non fa come diciamo noi, subito, c’è spazio per andare a votare in primavera”. A Palazzo Chigi, però, il presidente del Consiglio è convinto che l’accelerazione di Renzi, e la possibilità di scrivere una riforma con Berlusconi, sia il bluff di una lunga partita a poker. Letta sostiene che per il nuovo segretario sia impossibile difendere un’alleanza con Berlusconi ed è convinto – complice il protettorato di Napolitano – di avere il coltello dalla parte del manico: nessuna accelerazione, nessuna modifica transitoria dell’attuale legge elettorale, patto a gennaio con Renzi e poi governo per tutto il 2014. Ieri Renzi ha promesso di voler stare al gioco ma nelle prossime ore, quando il Cav. potrebbe tendere la mano e mostrare a Renzi la strada delle urne anticipate, per il sindaco, se non riceverà indicazioni precise e convincenti sulla legge elettorale, la tentazione di portare il Pd sulla via delle elezioni anticipate potrebbe essere qualcosa di più di una semplice tentazione.
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