Il Joker del Cav.

Marianna Rizzini

La carta da gioco con l’anima di metallo affilato, il fiore che spruzza acido, il sigaro esplosivo, il fluido che lascia sul volto delle vittime un sorriso inquietante: sono le armi di Joker, il cattivo intelligente dei fumetti, il folle-non folle con gli occhi bistrati di nero e il ghigno bianco e rosso che improvvisamente si fa sorriso stupefatto di bambino, l’incubo di Batman a Gotham City. Ma una carta da gioco con cuore di metallo e un fiore che lancia acido potrebbero stare benissimo anche nella valigetta dell’ex ministro e professore Renato Brunetta, capogruppo alla Camera del Pdl, prima, e della nuova Forza Italia, poi, e Joker perfetto per la Gotham City delle larghe intese in fase di adattamento all’arrivo di Matteo Renzi.

    La carta da gioco con l’anima di metallo affilato, il fiore che spruzza acido, il sigaro esplosivo, il fluido che lascia sul volto delle vittime un sorriso inquietante: sono le armi di Joker, il cattivo intelligente dei fumetti, il folle-non folle con gli occhi bistrati di nero e il ghigno bianco e rosso che improvvisamente si fa sorriso stupefatto di bambino, l’incubo di Batman a Gotham City. Ma una carta da gioco con cuore di metallo e un fiore che lancia acido potrebbero stare benissimo anche nella valigetta dell’ex ministro e professore Renato Brunetta, capogruppo alla Camera del Pdl, prima, e della nuova Forza Italia, poi, e Joker perfetto per la Gotham City delle larghe intese in fase di adattamento all’arrivo di Matteo Renzi. E anzi Brunetta, di questi tempi (da quando è uomo d’opposizione post scissione), pare addirittura un cattivo dei fumetti al cubo, quanto a piglio e vis urticante, ma un cattivo che stupisce e a volte convince i nemici di sempre, anche quelli seduti giovedì nello studio di Michele Santoro a “Servizio pubblico”, dove Brunetta martellava di domande il leader dei Forconi Mariano Ferro (“Lei si è candidato ad Avola? Quanti voti ha preso? Risponda. Lei si è candidato e non è stato eletto”) e non dava tutti i torti alla linea anti Napolitano di Marco Travaglio. Sembra scappato di mano al disegnatore di Gotham City, Brunetta, tanto sul suo volto (e nelle sue parole) si mescolano, fino a diventare indistinguibili, l’euforia per la caccia allo scalpo, il gusto della battuta un po’ sadica che ammazza e la meraviglia burlona del Joker che a un certo punto si volta e dice “non fatelo a casa, bambini” (ed è il momento in cui il cattivo-geniale mostra il lato più enigmatico: ma è pazzo o no?, si chiedono con angoscia i lettori-spettatori, incapaci di rispondere, ma comunque ammirati per la performance). E se Brunetta, a un casting per Joker, avrebbe forse sbaragliato persino il prescelto Jack Nicholson, i cultori di stregoneria, davanti all’ultimo Brunetta, si chiedono quale mago possa mai aver creato un simile prodigio di energia esplosiva (o distruttiva, a seconda dei punti di vista) lanciata contro bersagli che disturbino i suoi obiettivi a portata di superuomo: spalancare le porte all’avvento della meritocrazia in Italia, diceva Brunetta da ministro della Pubblica amministrazione nel quarto governo Berlusconi, incarico mai dimenticato e sempre rimpianto in cui si era buttato con intenti bellicosi contro i cosiddetti “fannulloni”. “Rivoluzione culturale”, diceva davanti ai risultati dovuti all’effetto-annuncio (poi messo in pratica) sull’intensificazione delle visite fiscali e sulla decurtazione degli stipendi nei primi dieci giorni di malattia, paragonandosi a Padre Pio per doti taumaturgiche man mano che gli assenteisti si assottigliavano fin quasi a dimezzarsi, per poi ricomparire magicamente all’allargamento delle maglie sulle visite fiscali, motivo per cui Brunetta tornava in tutta fretta alla carica a suon di obblighi di tornello, controlli incrociati e campagna di terrore contro le impiegate dedite al supermercato in orario di lavoro (cosa che gli attirò le critiche dell’allora ministro delle Pari opportunità, Mara Carfagna). Ma un Brunetta anche più implacabile s’affaccia ora alla Camera: “Enrico Letta fantasma arrogante… Enrico Letta fantasma che parla del nulla e non sa quale sia il suo futuro perché Renzi non gliel’ha ancora scritto”, ha detto l’altro giorno prima di negargli la fiducia. Ed era come se il Joker si fosse girato cercando la complicità del pubblico che di solito tifa per Batman – tanto che giovedì, sulla Stampa, la Jena, alias Riccardo Barenghi, ex direttore del Manifesto, scriveva: “Un po’ mi vergogno, ma confesso che ieri ero d’accordo con Brunetta”.

    “Unghiette di elefante, sputo di rospo, coda di topo e polvere di Brunetta”, deve aver declamato il mago di fronte all’alambicco, se oggi ci si ritrova con un capogruppo e membro della Vigilanza Rai al fulmicotone nel bene e nel male (Daniela Santanchè, pur dalla stessa parte dell’ex Pdl, non sempre gradisce): un Brunetta che farebbe impallidire persino il Brunetta di ieri, quello che litigava sul rigorismo con l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti, non proprio un suo fan (“io sono un economista, Tremonti no”, era il Leitmotiv brunettiano). Più volte i due si beccarono, più volte sembrò abbozzare Brunetta – ma il senno del poi mostra un Brunetta-Nemesi che tra sé e sé è come se dicesse: caro Tremonti, chi è che ha vinto? Celebre rimase, comunque, il fuorionda messo online nell’estate del 2011 da Repubblica, un bisbiglìo da una conferenza stampa in cui Brunetta parlava e sfornava cifre e Tremonti ridacchiava sotto i baffi, come a scuola, dandosi di gomito con Maurizio Sacconi (“E’ scemo, eh?”) e con alti funzionari statali dall’aplomb britannico (Vincenzo Fortunato e Mario Canzio). E c’era Tremonti che si metteva le mani tra i capelli e c’era Sacconi che, svicolando, diceva “non sto seguendo” e soprattutto c’era Brunetta che a un certo punto lo citava, Tremonti – al che Tremonti, in un climax fatale, definiva il discorso del collega “tipico intervento suicida” e poi se ne usciva con un “è proprio un cretino” (riportato su tutti i media). Finì con Tremonti che abbracciava Brunetta, scusandosi, e con Brunetta che in corner dava lo schiaffo morale: “A me questi fuorionda sembrano tanto intercettazioni illegali, non li considero”, diceva. Non meglio andò a Sacconi, imbarazzatissimo per il fuorionda, visto anche il suo ruolo di testimone di nozze di Brunetta, qualche giorno dopo, in quel di Ravello – nozze con la fidanzata Titti e nozze “catacombali”, come dissero scherzando alcuni invitati, alludendo all’orario notturno e alla suggestiva cripta scelta per evitare l’assedio dei manifestanti inferociti col ministro (per alcune sue uscite sui precari “privilegiati”, messi nella Pubblica amministrazione dai soliti “giri romani”). In ogni caso il “nemico” Tremonti non si morse la lingua a lungo, se è vero che, entrando un giorno in un’aula ministeriale e trovandosi al cospetto di Brunetta e di Guido Crosetto (agli antipodi di Brunetta per stazza e fisiognomica) disse, arrotando la celebre “r”: Ma cos’è, il bavvv di Guevve Stellavi?”.
    Fatto sta che il Brunetta di oggi è un Brunetta temprato dalle guerre di ieri, reduce dalla già leggendaria (per i cultori del genere) lotta interna per la carica di capogruppo: narrano le leggende del Transatlantico che l’ex ministro, a un certo punto del post elezioni, si fosse addirittura sdraiato per terra nella stanza dell’ennesima riunione con il Cav., determinato a non rialzarsi fino a quando il Cav. non avesse detto “o sì o no” al Brunetta capogruppo. Né Brunetta si placa per ottenimento della posizione: sempre la leggenda narra che, nei giorni dell’imminente scissione alfaniana, Brunetta si aggirasse tormentato e molto disturbato dalla telefonata dell’altro ex ministro Raffaele Fitto (lo sai che Alfano mi ha chiesto di fare il capogruppo?). Secondo alcuni fu questa la prova definitiva (per Brunetta) della necessità di rompere con Angelino.

    Sia come sia, dal Brunetta anti fannulloni è uscito il Brunetta no-Imu e il Brunetta terrore di Viale Mazzini, impegnato da sei mesi nella campagna “Raiwatch” (c’è anche l’omonimo sito) per la lotta contro la Rai dei presunti e non presunti sprechi e disequilibri a sinistra (perché non fa la stessa cosa a destra?, gli dicono i detrattori, ma lui prosegue imperterrito e l’Agcom in molti casi gli dà ragione). Il presidente grillino della Vigilanza, Roberto Fico, riceve esposti brunettiani su questo o quel programma a getto continuo, e non passa giorno che Brunetta non trovi occasione di smascherare il “finto pauperismo” di chi, in Rai, “vuole pontificare con la saccoccia rimpinzata”, come ha scritto su questo giornale in articoli di critica televisiva e invettiva. I suoi nemici giurati provano a fargli le pulci sui suoi, di redditi. Ci ha provato pure Milena Gabanelli, beccandosi una rispostaccia sul “metodo Gabanelli” che “azzanna solo i politici di piccola taglia” e “non setaccia il catasto dei potenti”.

    Dove c’è un presunto “pensiero unico” arriva Brunetta (“capire i Forconi”, è ora il suo intento, nonostante il dibattito da Santoro con il leader dei Forconi: “Dobbiamo accettare solo le proteste della Cgil?”, è la domanda retorica con cui Brunetta bastona “l’opportunismo inaccettabile e un po’ schifoso” di chi giudica i “fenomeni sociali” a seconda di “come gli conviene”). Ed è un Brunetta, questo, che contiene anche la testa d’ariete anti Quirinale e pro voto anticipato: “La moda delle elezioni era dannata solo nel mondo sovietico”, ha mandato a dire il capogruppo di Forza Italia bis al presidente della Repubblica, non prima di aver definito “illegittimo” il Parlamento su cui è piovuta la sentenza della Consulta sul porcellum. Ed è la seconda volta, dopo le comuni polemiche su Fabio Fazio, che Brunetta si trova a competere sul tempo con Beppe Grillo sullo stesso argomento e con la stessa curvatura, ma è la prima volta che si trova a gareggiare con Matteo Renzi sull’orario di inizio del briefing mattutino: Renzi alle sette, Brunetta alle otto, con i collaboratori costretti a ragionare lucidamente sulla confezione del Mattinale, bollettino-rassegna stampa, Baedeker della linea secondo Brunetta (coadiuvato da Davide Giacalone e Renato Farina) a uso dei parlamentari. Qualcuno all’inizio sbuffava (tutta ’sta roba dobbiamo leggere?), ma ora pare che il plico sia diventato una sorta di Bibbia che riduce la fatica da preparazione ai talk-show (altro che corsi di Gianroberto Casaleggio).

    Se non sono gli sprechi, se non è “la marchetta da cinque milioni di euro l’anno” (l’annunciata assunzione di 120 nuovi dipendenti pubblici per la gestione di fondi Ue), a far imbrunettire Brunetta è la mancata trasparenza sul trattamento economico dei conduttori della tv pubblica. “C’è la mia legge da applicare”, dice nelle trasmissioni in cui viene invitato magari per compensazione chiesta dall’Agcom, ché nessun conduttore sano di mente si sottoporrebbe volontariamente, forse, al fuoco di fila di “ma perché non si informa?”, “ma perché fa domande così banali?” che il Brunetta ospite spara come intercalare (per esempio da Fabio Fazio, attaccato sull’alto stipendio – “legittimo”, per carità, era la premessa del Brunetta paladino del libero mercato – ma non divulgato in pubblico dall’azienda pubblica). Sotto tiro per il compenso sono finiti anche Giovanni Floris e, un anno fa, Michele Santoro (che non essendo dipendente Rai e neanche dipendente de La7 molto si adirò, in diretta, con il Brunetta caterpillar della tv-verità anche bancaria). A forza di gridare “alla Rai, alla Rai!”, Brunetta ha bloccato in corsa la firma del contratto di Maurizio Crozza.

    E guai a dare di prezzolati ai manifestanti pro Cav. che, nella giungla d’asfalto d’agosto, si erano assiepati a sostenere il leader del centrodestra a rischio decadenza dal Senato (“un abominio”, dirà poi di quel voto Brunetta). Ma proprio questo fece Roberto Benigni, dal palco di Santa Croce a Firenze: dare di prezzolati ai manifestanti pro Cav. Seguì ira funesta ma fredda di Brunetta (“un buon motivo per non andare all’inferno è l’idea di trovarci Benigni che ripete la sua solfa uccidendo Dante anche là”).
    Sotto tiro, tutti i giorni, ma per altri motivi, finisce pure il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni (“è meglio se fa il tecnico”; “parli il meno possibile, lei non è a capo di un partito, non è a capo di niente”). “La Legge di stabilità è sbagliata” e “fa male agli italiani”, dichiara Brunetta nei momenti in cui, alla Camera, decide di farsi intendere con scontrosità di medio livello, ché, quando è al massimo livello, la scontrosità diventa dispettosa (come nel giorno in cui una bella giornalista di Sky dovette abbassarsi sui tacchi per poter carpire le parole di un Brunetta che sussurrava la notizia del giorno, probabilmente di proposito). E non importa che Saccomanni, secondo il Fatto quotidiano, non parli benissimo di Brunetta durante le sue cene private in Toscana: quando lo scontro si fa duro Brunetta rintuzza, riscrive, puntualizza. Capitò due mesi fa in tv da Lucia Annunziata, quando l’intervista di Saccomanni al Corriere della Sera suscitò in Brunetta la voglia matta di dire che il titolo del Corriere (“Saccomanni pronto a lasciare”) era “sbagliato” e che Saccomanni non aveva detto “che era impossibile coprire l’Iva per il 2013” ma semplicemente “che sarà riformata dal 2014”. Ma come?, diceva Lucia Annunziata, ora è il Corriere che ha capito male? E siccome Brunetta, davanti ai conduttori di Rai 3, non resiste alla battuta sul compenso come il dottor Stranamore non resisteva all’impulso di alzare il braccio, ecco che l’accenno ai “radical chic” che vivono di stipendi pubblici diventava per lui imprescindibile. Ma per una volta il confronto sullo stipendio finì senza vincitori né vinti, con Annunziata che si definiva “metalmeccanica dell’informazione” e con Brunetta improvvisamente gentleman che si descriveva come “un piccolo borghese”. Perché capita anche questo: che a Brunetta passi improvvisamente il ghiribizzo di combattere, così, come fosse un felino già sazio. Ha visto dove poteva arrivare ed è pago? Si è già divertito abbastanza? L’interlocutore urla più forte? Chissà, ma tanto la tregua dura poco (ne sa qualcosa Angelino Alfano, oggetto del grido “che tristezza, che tradimento”, rivolto da Brunetta al vicepremier e capo del Nuovo centrodestra durante l’ultimo dibattito sulla fiducia: “Da oggi, come dice Renzi, il governo è un monocolore pd”). Renzi non era ancora uscito vittorioso dalle primarie che già Brunetta stuzzicava a morte le larghe intese (“se Renzi ci sta, la legge elettorale si può fare in sette giorni”; “ Renzi non può accettare quel residuato bellico del governo Letta”).

    Stanare, provocare, mettere all’angolo: “Brunetta a fare il suo lavoro si diverte”, dice Brunetta quando lo intervistano a Rai 3. Gli altri, nel centrodestra, si divertono meno, infatti l’ex ministro non è uomo di cordata né di potere in senso classico del termine, ma non per la forza pazza da rompiballe, piuttosto per il suo essere irregolare – l’irregolarità di toni e l’irregolarità di vedute di chi è figlio di venditore ambulante veneziano e ha studiato di notte per andare al “liceo dei siori”, e poi si è laureato e ha avuto giovanissimo la sua revanche. Solo che neanche quella può bastare a calmierare un’energia che temeva di non poter esplodere: al Brunetta self-made, che da piccolo vendeva gondolette ai turisti e che da adulto ha tentato per due volte invano di diventare sindaco della sua città, non è bastato diventare professore, non è bastato diventare “enfant prodige” del socialismo (come braccio destro di Gianni De Michelis), non è bastato diventare europarlamentare e neanche diventare ministro. Potevo avere il premio Nobel, disse una volta, scherzando (ma anche no), a Enrico Mentana, e quella sì era una boutade: l’immobilismo del premio ottenuto non si addice psicologicamente al Brunetta mobile che non voleva veder scorrere la vita dalla finestra: “Io, non bello e non ricco, ho fatto il culo al mondo: sono la Lorella Cuccarini del governo”, diceva da ministro, e ora che non è ministro c’è un altro mondo a cui far vedere di che pasta è fatto il prof. Brunetta. Uno che piace ma sfianca. Che non piace ma diverte. Che incuriosisce ma respinge. Chi è davvero Brunetta?, si chiedono quelli che lo vedono all’opera durante riunioni (con lo staff) che alla seconda mezz’ora già virano in teatro: Brunetta legge qualcosa che non gli va giù, Brunetta avverte in qualche sottosegretario o ministro o burocrate una resistenza, Brunetta alza il telefono e davanti a tutti chiama e mette in riga, o almeno così sembra – ma che abbia davvero messo in riga oppure no lo sa soltanto lui, è un mistero.

    “Se mi lasciano lavorare”, era il ritornello dell’ex castigatore di scansafatiche, quello che voleva giudicare con “emoticon” (le faccine del web) i dipendenti pubblici e mettere alla berlina, nell’ordine, il “gruppettarismo”, i poliziotti “panzoni” che dovevano, a suo dire, tornare in strada (ma i soldi per la benzina non ci sono, rispondevano loro), l’Antimafia “simbolo ideologico”, il nuovo “culturame”(gli rispose piccato Citto Maselli), le “élite irresponsabili che preparano un colpo di stato” e la “sinistra permale” che poteva pure “andare a morire ammazzata”. Dove c’è aria di ipocrisia (ma pure di diplomazia), Brunetta piomba. Esce dal fumo della pozione e colpisce, abbatte, immobilizza. A che pro non sempre s’intende, ma fa niente: l’importante è fare.

    Si commosse in pubblico soltanto davanti a un’ovazione al congresso Pdl, Brunetta, da allora ancora più convinto di essere tutto sommato una persona affettuosa. Ma nessuno riesce a togliergli la maschera del Joker – e capita persino che Brunetta scompaia nel nulla, come per incantesimo: Brunetta è lì e poi qui e poi da nessuna parte, e una serpentina impazzita di telecamere lo segue con le sue volute che girano e rigirano, come davanti all’Auditorium della Conciliazione nei primi giorni della nuova èra dei Club del Cavaliere. E alla fine la serpentina continua a muoversi, coda di drago senza testa, mentre lui, Brunetta, è già chissà dove.

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.