Senza Thatcher non si diventa Blair

Paola Peduzzi

"God, she is so strong”, disse Tony Blair uscendo da un incontro con Margaret Thatcher, tre settimane dopo essere stato eletto per la prima volta primo ministro del Regno Unito, nel 1997. Le aveva telefonato per farsi dare consigli sulla Bosnia e sulla Nato, avevano fissato un appuntamento, e Blair era uscito dalla chiacchierata, ancora una volta, ammirato. Questo dettaglio è contenuto nei diari di Alastair Campbell, spin doctor di Blair e stratega del New Labour: la conquista del potere, raccontata giorno per giorno dall’indulgente Campbell, è anche la storia di come Blair ha maneggiato l’eredità dell’ex premier conservatore Margaret Thatcher.

    "God, she is so strong”, disse Tony Blair uscendo da un incontro con Margaret Thatcher, tre settimane dopo essere stato eletto per la prima volta primo ministro del Regno Unito, nel 1997. Le aveva telefonato per farsi dare consigli sulla Bosnia e sulla Nato, avevano fissato un appuntamento, e Blair era uscito dalla chiacchierata, ancora una volta, ammirato. Questo dettaglio è contenuto nei diari di Alastair Campbell, spin doctor di Blair e stratega del New Labour: la conquista del potere, raccontata giorno per giorno dall’indulgente Campbell, è anche la storia di come Blair ha maneggiato l’eredità dell’ex premier conservatore Margaret Thatcher. C’è un capitoletto che riguarda il maggio del 1995, quando Blair era capo del Labour ma al governo c’era il successore della Lady di ferro John Major, che parla della “nuova amica” di Blair: la Thatcher. La signora aveva rilasciato un’intervista al Sunday Times in cui elogiava il leader laburista, “probabilmente il più formidabile” dai tempi di Hugh Gaitskell (che è morto nel 1963). L’obiettivo dell’ira della Thatcher era Major, erede non all’altezza della sua storia, anzi già diventato rapidamente traditore di quell’epica, ma si risolse in un endorsement di Blair, della sua sincerità, del fatto che “c’è un bel po’ di socialismo tra i deputati laburisti, ma non in Blair. Penso che si sia mosso da lì”. I media impazzirono, i laburisti che erano stati al potere dopo Gaitskell inveirono frustrati, Major rispose con la sua incurabile acidità. Campbell riporta: “Tony chiese: è una buona cosa o una brutta cosa che lei oggi sia sui media a dire bene di noi? Buona, direi. Esatto, e avrà anche un’idea sulla Bosnia che dovremmo ascoltare”.

    Così è iniziata la storia di Blair erede unico della Thatcher. La storia è stata contrastata all’interno di entrambi i partiti, dai laburisti furiosi per quella sintonia fuori natura e dai conservatori che stavano realizzando quanto quella razzia ereditaria li avrebbe potuti spazzare via dal governo per anni. Ma la storia è stata coccolata dai due protagonisti: la Thatcher avrebbe detto – così tramandano – che la sua eredità migliore era il New Labour e che sperava che Blair vincesse le elezioni del 1997 (lo disse a un giornalista del Times, ma poi smentì sempre: lei lavorava per Major, non era una traditrice come i suoi compagni di partito, intendeva dire). Blair, che è stato un leader furbo, intuitivo e fortunato, ha saputo cogliere il meglio della stagione turbolenta che l’aveva preceduto, nell’architettura politica del suo laburismo, nonché nel lancio della “Cool Britannia”, che altro non è se non il thatcherismo con correzioni “social oriented” (sia detto: correzioni decisive per definire il blairismo) ammantato di Oasis, Blur, Damien Hirst e Spice Girls. C’è chi si è spinto oltre: lo storico Paul Johnson sostenne che ci fosse un’attrazione tra la Thatcher e Blair e che fosse, al fondo, un’attrazione sessuale. “La Thatcher è incapace di avere una relazione con un uomo politico senza qualche sottile elemento sessuale”, scrisse sul Daily Telegraph nell’aprile del 1997. Blair non era il suo tipo, la Lady di ferro preferiva personaggi più rudi (scrisse “rough trade boys”, Johnson, che più che rude vuol dire violento), come Michael Portillo (politico e giornalista conservatore di cui si ricorda tendenzialmente soltanto la ruga in mezzo agli occhi), ma secondo lo storico, la Thatcher aveva fatto apprezzamenti fisici espliciti su Blair, le piaceva soprattutto che Blair fosse “così curato”.

    Ormoni a parte, quell’attrazione fu immediata ma politicamente complicata, perché era osteggiata da tutti. Sempre nei diari di Campbell, si trova una conversazione piuttosto significativa tra lo stesso Campbell e Neil Kinnock, leader storico del Labour negli anni del thatcherismo che perse le elezioni del 1992, le prime senza la Thatcher. Era il luglio del 1995, Blair aveva già incassato l’endorsement della Thatcher ma era immerso in un’altra liaison altrettanto pericolosa: era andato fino all’isola di Hayman, in Australia, a trovare Rupert Murdoch, un viaggio che era stato visto come un pellegrinaggio per ottenere una benedizione che in quegli anni spostava parecchi voti nel Regno Unito. Kinnock aveva visto da vicino l’effetto: il giorno delle elezioni del 1992, quelle che avrebbe dovuto vincere tanto per capirci, il Sun di Murdoch uscì con un titolo a tutta pagina che diceva: “Se oggi vince Kinnock, l’ultimo che lascia il paese per favore spenga la luce”. Quando arrivò la vittoria dei conservatori, Kinnock disse che quel titolo era tra le cause principali della sua sconfitta. Si può immaginare quindi con che animo Kinnock parlò con Campbell, il quale peraltro era stato un suo adepto, c’era molta confidenza tra i due, e rispetto. Kinnock fece qualche battuta, ma poi esplose: “Oh, Margaret Thatcher, non è così male sai, non è una persona cattiva, certo radicale, ma che determinazione, e che leadership – questo è ciò che quel cazzo di leader dice” (si riferiva a Blair). “Per ora, per ora”, cercò di calmarlo Campbell. “Non dirmi per ora, per ora, glielo dico io, cazzo – un po’ radicale stocazzo. Quella donna ha ammazzato delle persone, lui s’è svenduto tutto prima ancora di cominciare”. “Svenduto cosa?”, chiese Campbell. “Tutto, tasse, sanità, istruzione, sindacati, immigrazione, razzismo, tutto. S’è svenduto tutto. E per cosa? Cosa siamo qui a fare? Non importa se vinciamo, i banchieri e i finanzieri ci hanno già preso per le nostre cazzo di palle, e si stanno ammazzado dalle risate”. Per concludere, Kinnock aggiunse: “Blair ha fatto il giro di mezzo mondo per lubrificare Murdoch”. “Non gli abbiamo dato assolutamente niente”, disse Campbell. “Lo farete”, rispose Kinnock.

    L’ira dell’ex leader laburista era l’ira di buona parte del partito. Poi di fronte alla possibilità di vittoria piena dopo anni e anni di reiterate sconfitte i meno schizzinosi si levarono tutti i dubbi, ma con il passare del tempo gli antichi rancori tornarono. Anzi, per alcuni a sinistra Blair è stato ancora più Thatcher della Thatcher: più guerrafondaio (lei invase “solo” le Falkland, lui ha spedito soldati britannici in Kosovo, in Sierra Leone, in Afghanistan e soprattutto in Iraq) e devastante per la forza lavoro a causa delle sue politiche dell’immigrazione chic e metropolitane volte a creare una società multi-culti. Anzi, ancor più devastante perché il processo di trasformazione del Regno Unito da paese manifatturiero a paese dei servizi e della finanza iniziato dalla Thatcher è stato accelerato da Blair (tra il 1979 il 1990 l’incidenza della manifattura sul pil passò dal 25,8 al 22,5 per cento; tra il 1997 e il 2007 passò dal 20 al 12,4 per cento). Per di più Thatcher era figlia di un droghiere, sapeva bene quali fossero i sogni e i desideri della middle classe: Blair pensava soltanto ai ricchi, liberandosi la coscienza con investimenti illogici nel welfare, e intanto ha distrutto l’industria inglese. I più radicali col tempo sono diventati quasi più tolleranti nei confronti della Thatcher che nei confronti di Blair, e non appena l’ex premier si è fatto da parte, il partito s’è ripiegato su se stesso, ha cercato di accantonare quell’èra felice seppellendo alla prima occasione il “New” messo prima di Labour.

    Blair non si è mai sentito in colpa per essere stato considerato l’erede della Thatcher, perché aveva capito che il liberalismo era capace di sparigliare, in politica, rendeva “swing” tutto quello che fino ad allora era stato statico. Sapeva che il thatcherismo andava addolcito, nella forma se non in parte anche nella sostanza, e lo fece a suo modo – che poi fu principalmente il modo della vittoria nelle urne. Thatcher lo conquistò definitivamente quando lo mise in guardia dall’amico-nemico Gordon Brown, in tempi ancora insospettabili (anche se ora che tutti si sono messi a chiacchierare, pare che tempi insospettabili non ci siano mai stati: Blair e il suo cancelliere dello Scacchiere si sono detestati fin dall’inizio): “E’ insensibile e arrogante”, gli disse la Thatcher, stai attento. E anche quel consiglio Blair l’ha preso sul serio, non ha abbassato la guardia mai, e Brown, del blairismo, s’è preso soltanto le briciole.

    Quando Thatcher è morta nell’aprile scorso, Blair ha pronunciato uno dei discorsi più ammirati tra tutti gli esponenti politici: “Sono pochi i leader che riescono a cambiare non soltanto il panorama politico del loro paese ma il mondo intero. Margaret era questo leader. Il suo impatto sul mondo è stato enorme. E alcuni dei cambiamenti che ha fatto nel Regno Unito, almeno sotto certi aspetti, sono stati mantenuti dal governo laburista del 1997, e sono stati attuati da molti esecutivi in giro per il mondo. Era una persona gentile e generosa e mi è sempre stata di grande sostegno quando ero primo ministro, anche se eravamo di partiti opposti. Pure se eri in disaccordo con lei, come spesso lo sono stato io, su alcune cose e a volte in modo molto forte, non potevi non avere rispetto per il suo temperamento e per quel che ha dato alla vita del Regno Unito”. E’ così che Blair ha rimarcato il suo essere erede unico della Thatcher, ringraziandola per quel “formidabile” che gli appioppò nel 1995, che sembrava un bacio della morte e invece fu trasformato in una visione politica di cui già si sente la mancanza.

    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi