Forza Eataly

Farinetti spiega perché Renzi deve costringere Letta a votare subito

Claudio Cerasa

Stiamo al gioco. Se è vero che il nuovo Pd ha così pochi punti in comune con il vecchio Pd da risultare agli occhi dell’osservatore come fosse, e lo diciamo con un sorriso, una sorta di Forza Eataly, se le cose stanno così si può dire che sulla tessera numero uno di questo nuovo partito si trova il nome di un imprenditore famoso, che negli ultimi anni è diventato uno degli azionisti di maggioranza del renzismo di lotta e di governo: Oscar Farinetti, inventore di Eataly.

Cerasa Pizzino segreto dei renziani spiega perché a marzo comincia il conto alla rovescia

    Stiamo al gioco. Se è vero che il nuovo Pd ha così pochi punti in comune con il vecchio Pd da risultare agli occhi dell’osservatore come fosse, e lo diciamo con un sorriso, una sorta di Forza Eataly, se le cose stanno così si può dire che sulla tessera numero uno di questo nuovo partito si trova il nome di un imprenditore famoso, che negli ultimi anni è diventato uno degli azionisti di maggioranza del renzismo di lotta e di governo: Oscar Farinetti, inventore di Eataly. Farinetti ha salutato con soddisfazione l’ascesa dell’amico Matteo al vertice del partito, ha osservato con curiosità la prima settimana del sindaco-segretario e ha seguito con sguardo fiducioso il disegno tratteggiato da Renzi domenica a Milano (Renzi voleva Farinetti in direzione, Farinetti ha chiesto a Matteo di tenerlo fuori). Ma alla fine della giornata, nonostante le grandi e sentite promesse di lunghi e prolifici accordi tra il sindaco e il presidente del Consiglio, la tessera numero 1 del Pd renziano ha colto i primi passi di un percorso che nei prossimi mesi non potrà che concludersi con un esito scontato: non una lunga convivenza, una lunga coabitazione ma più semplicemente – rullo di tamburi – con elezioni da convocare il prima possibile. “Io – dice Farinetti al Foglio – dico che il governo, ora più che mai, ha il dovere di fare una nuova legge elettorale, di creare i presupposti per offrire al paese un governo che abbia gli strumenti per stare in piedi per cinque anni. Dunque occorre dare rapidamente la parola agli elettori. Preciso: Letta in questi mesi si è comportato bene; il governo ha tamponato quel che doveva tamponare; la grande coalizione era l’unica soluzione per risolvere il nodo post elettorale. Ma oggi siamo in uno scenario diverso. E l’unico modo per combattere il populismo è sostituire la parola ‘stabilità’ con ‘omogeneità’”. Che intende? “Dire che il governo deve andare avanti ‘in nome della stabilità’ è una sciocchezza. In Italia le riforme non si fanno invocando ‘stabilità’ ma con governi di parte, omogenei. E in questo senso – dice Farinetti, similitudine spericolata – da oggi, anche grazie a Matteo, l’Italia, concedetemi la battuta, è passata dalla merda al letame. In che senso? Semplice”.

    Dice ancora Farinetti: “Dalla merda al letame, nel senso che se prima il nostro paese si trovava in una melma, in una sorta di grande oceano di sabbie mobili, con l’arrivo di Renzi il pantano ha cambiato natura ed è diventato fertilizzabile. Sempre un pantano resta, ma a differenza dello stato precedente se pianti qualcosa, ora, è possibile che un domani ti possa ritrovare un fiore. La mia impressione però è che questo governo, non per colpa di Letta, abbia iscritto nel suo Dna l’incapacità a coltivare fiori. Per fare il cambiamento occorrono maggioranze di parte che sappiano scontentare e non di compromesso. Per dire: se nel board della mia azienda avessi persone che la pensano l’una in modo opposto dall’altra, io, molto semplicemente, sarei già fallito”. Farinetti fa una pausa, risponde a un telefono, dà indicazioni a una giornalista sulle nuove aperture di Eataly (oggi apre a Firenze, qualche giorno fa ha aperto a Dubai, a Chicago e a Istanbul, nelle prossime settimane aprirà a Milano al teatro Smeraldo), poi termina la conversazione e ritorna a parlare di politica. “Ho ascoltato qualche giorno fa il ministro Saccomanni dire che l’Italia sta uscendo dalla crisi, che la crescita zero è un buon segnale, che la famosa luce in fondo al tunnel è lì che ci aspetta. Sinceramente sono rimasto sconvolto. Recessione finita? Crisi finita? Momentaccio passato? Dico, stiamo scherzando? In questi anni, purtroppo, ci siamo abituati a misurare la solidità della nostra economia andando a spulciare ogni giorno il nostro differenziale di rendimento sui titoli di stato. Indicatore utilissimo, per carità, ma se oggi ti ritrovi con dieci milioni di disoccupati, un debito pubblico che non la smette di salire, una pressione fiscale da far stramazzare i cavalli e un’Europa che non hai mai il coraggio di criticare, potrai promettere tutte le cose più belle, ma alla fine i risultati non cambiano: l’Italia è messa male, e per farla tornare a star bene non servono i piccoli aggiustamenti, serve una botta, serve uno schiaffo”. Sulla pressione fiscale che strozza gli imprenditori Farinetti propone un caso personale. “Quest’anno la mia azienda ha pagato un milione e duecento mila euro di Imu. Il 110 per cento rispetto allo scorso anno. Di questi soldi possiamo scalarne solo il 30 per cento dalla denuncia dei redditi. A me sembra una follia. E se a questo aggiungete il fatto – dice Farinetti citando un dato diffuso domenica dall’associazione industriale europea, Ert – che nel nostro paese avviare un’attività oggi costa in media 3.653 euro, contro i 162 del Canada, non mi stupisco che investire in Italia sia diventata una missione per pochi eletti, quasi impossibile”.

    L’Europa senza rottamare l’euro
    Per quanto riguarda il discorso sull’Europa, invece, Farinetti è critico con le posizioni di chi sostiene sia sufficiente rottamare l’euro per tornare a una ipotetica età dell’oro e sostiene che, anche qui, è necessario portare in Europa uno schiaffo che difficilmente un governo come questo sarà capace di indirizzare ai potentati del Continente. “La retorica della stabilità, declinata in chiave europea, rischia di fare danni al nostro paese. L’Italia, e in particolare la sinistra, deve trovare un modo per spiegare sia che l’Europa ha un bisogno matto e disperato dell’euro sia che ciò che si deve mettere in discussione è il vecchio e arrugginito Patto di stabilità. Mi chiedo: ma è così difficile capire che i parametri di Maastricht fanno parte di un’altra èra? E’ così difficile intestarci una battaglia per eliminare l’anacronistico tetto del tre per cento? E’ così difficile capire che il tre per cento è una pistola puntata alla tempia del paese”. Chiede il cronista: ma quindi, se è vero che in questa fase i temi europei sono centrali, ha ragione Letta quando dice che bisogna dare a questo governo la possibilità di giocare le sue carte durante il semestre europeo? Risponde Farinetti: “Non sono d’accordo. Il semestre è importante solo per voi giornalisti. Faccia un esperimento: chieda in giro se c’è qualcuno che sa chi è oggi alla guida del semestre europeo. Non scherziamo. Dire che non si può andare a votare perché c’è il semestre è una scusa per allontanare il voto. La verità è che si può votare quando si vuole. E il problema non è questo benedetto semestre europeo, su”. Prima di concludere la nostra chiacchierata, Farinetti torna sulle parole di Renzi, su due punti affrontati nella prima settimana da segretario, e propone due appunti. Il primo appunto riguarda la partita relativa al taglio della spesa pubblica. Il secondo la sfida lanciata a Beppe Grillo. “Ho sentito Matteo dire che la spending review deve portare subito in cassa qualcosa come un miliardo di euro. E’ un obiettivo giusto ma occorre essere sinceri e puntare più in alto. Noi abbiamo 750 miliardi di spesa  pubblica all’anno. Dire un miliardo deve essere un inizio. Perché l’obiettivo vero, dati alla mano, deve essere quello di tagliarne almeno trenta all’anno”. E Grillo? “Credo sia un segnale importante quello dato dal governo e da Renzi sul taglio dei finanziamenti pubblici ai partiti. Era ora, e continuare a cincischiare con questi temi, come purtroppo ha fatto una persona seria come Fabrizio Barca, è un errore di prima categoria. Io però dico di più. Dico che Matteo ha fatto bene a sfidare Grillo ma che quei soldi, quei 48 milioni di rimborsi elettorali presi quest’anno dal Pd, bisogna restituirli a prescindere. La politica si può fare anche senza l’aiuto dello stato. Si può fare con i privati. Si può fare con i singoli cittadini. E non capire questo significa non voler capire che per ridare nuova credibilità ai partiti, e anche ai politici, occorre fare dei sacrifici. E per farlo, semplicemente, bisogna ripartire da qui”.

    Cerasa Pizzino segreto dei renziani spiega perché a marzo comincia il conto alla rovescia

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.