Disastro strategico
In Siria Obama non ha più un interlocutore. Il più presentabile è in fuga
A ottobre il Foglio ha chiesto al massimo esperto di Siria dell’Amministrazione Obama – Frederic Hof, ex consigliere speciale del presidente americano – se l’America si può fidare di un leader della ribellione. A chi potete credere ancora? A chi dareste aiuto e armi? “Al generale Selim Idriss”. La settimana scorsa però il generale è scappato dalla Siria perché il suo quartier generale è stato attaccato non dalle truppe del governo – si trova lontano dalla prima linea e vicino al confine – ma da un altro gruppo di ribelli, il Fronte islamico, che voleva impadronirsi delle armi e dell’equipaggiamento – in parte donato dagli americani.
A ottobre il Foglio ha chiesto al massimo esperto di Siria dell’Amministrazione Obama – Frederic Hof, ex consigliere speciale del presidente americano – se l’America si può fidare di un leader della ribellione. A chi potete credere ancora? A chi dareste aiuto e armi? “Al generale Selim Idriss”. La settimana scorsa però il generale è scappato dalla Siria perché il suo quartier generale è stato attaccato non dalle truppe del governo – si trova lontano dalla prima linea e vicino al confine – ma da un altro gruppo di ribelli, il Fronte islamico, che voleva impadronirsi delle armi e dell’equipaggiamento – in parte donato dagli americani. Idriss è fuggito prima in Turchia e poi domenica è volato in Qatar, due paesi che hanno sostenuto la ribellione contro il presidente Bashar el Assad (anche se secondo una versione successiva non era presente al momento dell’attacco, era già in Turchia, dove passa la maggior parte del tempo). Ci può essere un episodio che spiega meglio cosa sta succedendo? La Casa Bianca s’illude di avere ancora un interlocutore dentro l’opposizione in Siria e quello invece deve scappare via dal paese inseguito da altri ribelli.
Negli ultimi otto mesi, stima per difetto, l’Amministrazione Obama ha scelto di dare la priorità alla diplomazia con gli iraniani e di congelare la questione siriana (il governo di Teheran è alleato di Assad, qualsiasi azione avrebbe potuto interrompere il filo dei negoziati). Così l’America non ha dato aiuti militari ai ribelli per il timore che finissero in mano ai gruppi jihadisti, ha ignorato fino a quando ha potuto l’uso delle armi chimiche da parte dell’esercito siriano e quando non ha più potuto fare finta di nulla – per la morte di 1.400 civili nel giro di poche ore – ha evitato l’intervento promesso contro Assad grazie a un accordo all’ultimo momento con i russi sulla distruzione completa dell’arsenale chimico siriano (per ora lo smantellamento è fermo alla fase uno: verifica dell’inventario).
Washington insiste sull’idea di una Conferenza di pace – chiamata “Ginevra 2” – a cui far sedere il governo siriano e l’ala politica dell’Fsa. La data prevista è il 22 gennaio (in realtà l’inizio dei lavori era fissato per lo scorso giugno, poi la data ha cominciato a spostarsi in avanti e non è detto che non lo farà ancora). Il problema è che l’Fsa conta sempre meno: all’inizio dell’anno era in cima alla classifica dei gruppi più potenti dell’opposizione siriana, ora è scivolato sul fondo. Se anche gli esuli siriani invitati a Ginevra 2 prendessero delle decisioni, non è per nulla chiaro quanti ribelli si adeguerebbero dentro la Siria. Pochi: è la risposta più ottimistica.
Per rimediare, l’Amministrazione sta tentando di rivolgersi al Fronte islamico, un grande rassemblement di sei gruppi ribelli guidato da un settimo gruppo, Ahrar al Sham. Più di quarantamila uomini, forse sessantamila. Il Wall Street Journal ha raccontato in un articolo che ci sarebbero dei contatti in corso e in effetti in questi giorni l’ambasciatore americano in Siria (che ora agisce da fuori) Robert Ford è in Turchia per provarci. Ma due giorni fa il comandante militare del gruppo ha smentito qualsiasi contatto e ha detto che non parlerà con gli americani, con un video annuncio trasmesso anche dal canale tv al Jazeera.
Il legame con al Zawahiri
Ahrar al Sham è davvero un piano B difficile da ingoiare per gli americani che vedono dissolversi la ribellione da loro favorita. Combatte in nome della sharia islamica, arruola combattenti stranieri, compie attacchi suicidi. Inoltre, secondo alcune fonti del Foglio nel jihad, il vero capo di Ahrar al Sham non è come tutti credono Abu Abdullah al Hamawi, ma Abu Khalid al Suri. Se la notizia fosse confermata sarebbe interessante. Chi è al Suri? A maggio c’è stato uno scontro tra i due gruppi di combattenti in Siria ritenuti più pericolosi, Jabhat al Nusra e lo Stato islamico (diverso dal Fronte islamico). Il capo di al Qaida, l’egiziano Ayman al Zawahiri, nominò un arbitro per regolare la lotta di potere e quell’uomo era Abu Khalid al Suri. Risultato: gli americani vorrebbero contattare un gruppo guidato occultamente da un fiduciario di Zawahiri. Quest’ultima notizia su al Suri è per ora impossibile da confermare, ma rende l’idea della giungla in cui l’Amministrazione si è persa. I ribelli del 2011 e 2012 sono in ritirata, fagocitati e rimpiazzati da altri gruppi (il principe Turki al Faisal, ex capo dei servizi sauditi, domenica ha rimproverato “la slealtà e la debolezza dell’America con gli alleati”). La guerra nel frattempo continua in condizioni abbrutenti, sotto la neve, e domenica i bombardamenti aerei del governo su Aleppo hanno ucciso più di settanta civili.
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