Benedetti siano i farmacisti, con le loro vetrine in cui la Natività è rappresentata come Cristo comanda

Camillo Langone

Benedetti farmacisti. Non avevo capito la valenza cristiana della categoria fino a quando non ho chiesto agli amici di Facebook di mandarmi, scopo pubblicazione in bacheca, le foto dei presepi ammirati nelle vetrine cittadine. Non presepi pubblici ma presepi nei locali pubblici, negli esercizi commerciali, a testimoniare una devozione personale esplicitata con qualche piccolo rischio in un tempo di apostasia e anticristianesimo.

    Benedetti farmacisti. Non avevo capito la valenza cristiana della categoria fino a quando non ho chiesto agli amici di Facebook di mandarmi, scopo pubblicazione in bacheca, le foto dei presepi ammirati nelle vetrine cittadine. Non presepi pubblici ma presepi nei locali pubblici, negli esercizi commerciali, a testimoniare una devozione personale esplicitata con qualche piccolo rischio in un tempo di apostasia e anticristianesimo. Pensavo fosse la solita battaglia che ingaggio al solo scopo di salvarmi l’anima, una battaglia perduta quindi, e invece sono stato sepolto da fotine scattate nei centri storici e perfino nei centri commerciali che uno si immagina senza Dio, anzi contro Dio siccome aperti la domenica e affollati da individui in fase di deominizzazione. Il presepone dei Gigli, cattedrale della spesa edificata nell’intasato niente tra Firenze e Prato, mi ha sorpreso, quasi rincuorato (non c’entrerà nulla però mi viene in mente che si chiama Natalini, il nient’affatto malvagio progettista del centro). Maniaco di liste e cataloghi mi sono messo subito a ordinare la massa di presepi secondo vari criteri. Quello geografico non mi ha spiegato granché, la distribuzione sembra piuttosto omogenea, forse appena più densa all’estremo Nord (Alto Adige) e all’estremo Sud (Sicilia), o in quei luoghi dove esiste una specifica tradizione ossia nella Napoli di San Gregorio Armeno e nell’Umbria di San Francesco, colui che il presepe l’ha genialmente inventato. Ma nessun scostamento così rilevante da poterci fare dei discorsi sopra. Il criterio estetico mi è servito a concordare con Chesterton: se vale la pena fare una cosa, vale la pena farla male. La maggioranza dei presepi si situa esteticamente fra il male e il malissimo, con punte di quel kitsch che secondo Gillo Dorfles starebbe a significare una perdita di fede religiosa mentre secondo me sta più che altro a dire una totale assenza di senso estetico (penso a certi presepi realizzati con tappi o con panini o con cioccolato). Mi danno forse più fastidio i presepi infantilizzanti alla Thun, con quei pupazzi a misura di bambino televisivo: quando invece la Madonna era una donna, San Giuseppe un uomo, e l’asino e il bue animali creati da Dio e non da Disney… Resta che ne vale sempre la pena e che i presepi belli non mancano: la palma spetta a quello di Dolce & Gabbana in via della Spiga a Milano, allestito con pezzi della Scarabattola. E’ un presepe costoso, si capisce, ma tanti che si potrebbero permettere le produzioni della somma bottega presepistica napoletana, o della palermitana Angela Tripi, o dei cartapestai leccesi Antonio Papa e Roberto Martella, spendono invece in alberi pagani che sono un biglietto per l’inferno di Odino. Il criterio merceologico mi ha fatto capire molto di più. Presepi vengono esposti nelle vetrine di qualunque negozio, articoli sportivi, ferramenta, lavanderie, ottici, giustamente nelle panetterie e nelle falegnamerie che col racconto evangelico hanno molto a che fare, e poi nei bar e nei ristoranti, due dei quali mi riprometto di visitare prossimamente perché la stella di Betlemme mi attira molto più della stella Michelin: Arnaldo a Rubiera e Pinocchio a Borgomanero. Ma la tipologia più rappresentata è senza dubbio quella delle farmacie e vorrà pur dire qualcosa. Forse che il settore non è ancora stato asfaltato dalla grande distribuzione, da quelle catene che sono la fine del libero commercio e del libero presepe (qualcuno riesce a immaginarsi una Sacra Famiglia nella vetrina di Foot Locker o di Tezenis?). Forse che i farmacisti hanno a che fare con l’essenziale ovvero con la vita e con la morte, e non con la moda, che della morte è sorella ma lo sa soltanto chi ha letto le “Operette morali” di Leopardi. Forse che sono al servizio dei clienti e non servi dei clienti essendo meno esposti alla concorrenza di quanto lo siano i venditori di mutande. Viceversa qual è la tipologia meno rappresentata nel mio album di presepi in vetrina? Manco a dirlo quella delle librerie. Il culturame si sa quanto è saccente, snobba pecorelle e angeli, pensa che la luce possa provenire da Michele Serra o Eugenio Scalfari. I libri agli italiani fanno un effetto che può sembrare paradossale solo a chi ignora Matteo 11,25: li rendono superbi, quindi atei. Ecco perché niente Natività nelle vetrine Feltrinelli, solo la mortalità di Carofiglio e Ozpetek, Piccolo e Bianchini, Mazzantini e Dan Brown.
    Pertanto cosa fa un uomo che si commuove davanti a Gesù Bambino? Compra le medicine in farmacia e i libri su Ibs.

    • Camillo Langone
    • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).