Islam illegale

Paola Peduzzi

C’erano tre piccole bombe ieri mattina in un’aiuola vicino ai palazzi che ospitano i dormitori dell’Università al Azhar al Cairo. Una è esplosa, mentre passava un autobus: ci sono stati cinque feriti, l’area è stata subito isolata, mentre la tv di stato riprendeva le forze dell’ordine che maneggiavano gli altri due ordigni, con una folla intorno, piccola ma vociante, che inneggiava al generale Abdel Fattah al Sisi, l’uomo più potente e più popolare d’Egitto.

    C’erano tre piccole bombe ieri mattina in un’aiuola vicino ai palazzi che ospitano i dormitori dell’Università al Azhar al Cairo. Una è esplosa, mentre passava un autobus: ci sono stati cinque feriti, l’area è stata subito isolata, mentre la tv di stato riprendeva le forze dell’ordine che maneggiavano gli altri due ordigni, con una folla intorno, piccola ma vociante, che inneggiava al generale Abdel Fattah al Sisi, l’uomo più potente e più popolare d’Egitto. L’attentato non è stato rivendicato, ma l’episodio fornisce soltanto un altro elemento di instabilità dopo quel che è avvenuto tra il 24 e il 25 dicembre. Martedì c’è stato un attacco suicida sul Delta del Nilo, a Mansoura, contro il quartier generale della polizia locale che ospita altre agenzie per la sicurezza dell’Egitto: un’intera parte del palazzo è venuta giù, ci sono stati almeno 16 morti e 130 feriti. Il giorno seguente, giorno di Natale, il governo ad interim, sostenuto dai militari, ha accusato i Fratelli musulmani dell’attentato e soprattutto ha messo in atto l’ultimo punto del suo piano di estromissione della Fratellanza dalla vita del paese: l’ha dichiarata un’organizzazione terrorista. Chiunque abbia a che fare con i Fratelli musulmani rischia il carcere, soprattutto ogni attività finanziaria collegata agli islamisti sarà controllata e chiusa, comprese le centinaia di organizzazioni che costituiscono il welfare di fatto di gran parte delle zone rurali. Chi fa parte della Fratellanza rischia cinque anni di carcere: per chi fornisce armi c’è la pena di morte (ieri ci sono già stati 18 arresti). La Fratellanza ha fatto sapere su Twitter che il decreto di “un governo illegale” non ha efficacia, ma si sa che in questo scontro, che da luglio – cioè dalla deposizione del presidente islamista Mohammed Morsi – ha fatto più di 1.500 vittime, non è la legalità a contare. Conta che i Fratelli musulmani più in vista sono stati messi in carcere e centinaia tra loro sono stati ammazzati. Conta che almeno 350 tra soldati e poliziotti sono stati uccisi in attacchi islamisti, soprattutto in Sinai: era dalla guerra del 1973 che l’esercito egiziano non subiva tante perdite.

    Il rais Hosni Mubarak è stato cacciato nel gennaio di tre anni fa. Da allora ci sono stati: un governo dei militari, un’elezione, la vittoria dei Fratelli musulmani, un presidente islamico per poco più di un anno, un golpe (anche se definirlo così è considerato inesatto persino dagli americani), un governo che si vuole espressione della società civile ma che è il laboratorio con cui il generale al Sisi tiene calmo l’occidente e prepara la sua incoronazione. E’ lui il regista dello scontro violento contro la Fratellanza, è lui che sta predisponendo Costituzione e istituzioni per garantirsi un potere quasi illimitato, è lui che si propone come il garante della transizione ma compare su tutti i manifesti come padre di una patria che vuole dimenticare la parentesi dell’islam al potere (parentesi fallimentare, certo: ma ora Morsi è coinvolto in un processo in cui rischia la pena di morte) e vuol tornare al suo status di regime-che-garantisce-stabilità-nella-regione. La prudenza è la caratteristica principale di al Sisi, ed è per questo che ancora si discute su quel che il generale farà una volta che sarà fissata la data delle elezioni previste per il 2014. Il mensile Revue l’ha messo in copertina con il titolo “Sisi imperatore”, che incarna il motto dell’esercito che rappresenta: “Silenzio e pazienza”. Dove il silenzio è quello degli americani che dopo aver sbagliato tutto, negli ultimi tre anni, ora non riescono nemmeno a nominare un ambasciatore di peso al Cairo (è saltata, secondo fonti di Foreign Policy, la candidatura di Robert Ford, già emissario americano in Siria). La pazienza invece è quella di Sisi.

    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi