Quanti bambini hanno mangiato i comunisti prima che arrivasse Renzi

Stefano Di Michele

Fatto fuori il cappone, sbriciolato il torrone, smaltito il panettone – se un buco resta, se un languorino persiste, prima del caffè si può buttare giù un pargolino. Un bimbino. Una creaturina. Bambino e forchetta, pranzo perfetto. Non è stagione e non è modo, si capisce – soprattutto quando il Bambino nasce a Betlemme, e accorrono angeli e magi e pastori, mica clienti e avventori. Ma a stomaco pieno, forse, della torva leggenda meglio si ragiona. “Madre! Salva i tuoi figli dal bolscevismo!”, recitavano i manifesti della Dc nel Dopoguerra, mentre le rosse bandiere ghermivano due giustamente spaventatissimi pargoli.

    Fatto fuori il cappone, sbriciolato il torrone, smaltito il panettone – se un buco resta, se un languorino persiste, prima del caffè si può buttare giù un pargolino. Un bimbino. Una creaturina. Bambino e forchetta, pranzo perfetto. Non è stagione e non è modo, si capisce – soprattutto quando il Bambino nasce a Betlemme, e accorrono angeli e magi e pastori, mica clienti e avventori. Ma a stomaco pieno, forse, della torva leggenda meglio si ragiona. “Madre! Salva i tuoi figli dal bolscevismo!”, recitavano i manifesti della Dc nel Dopoguerra, mentre le rosse bandiere ghermivano due giustamente spaventatissimi pargoli. “Spaventoso elenco di preti colpevoli di atti osceni sui bimbi”, titolava vistosamente l’Unità il 25 maggio 1950. Ma qui siamo, più o meno, allo scontro ideologico (orrendo, va da sé, ma verbale), più che al ditino da rosicchiare, al piedino da gustare, alla costoletta da rosolare. Il pasto dei bimbi – a opera, si capisce, dei ferocissimi comunisti, a datazione stalinista, dell’Urss – è stato costantemente evocato, per molti decenni, nel secolo scorso (e anche il Cav., tra ispirata denuncia e precisione di dettaglio di attività ai fornelli, con solitaria sollecitudine in passato il fronte ha battuto: “Nella Cina di Mao li bollivano per concimare i campi”, disse – e da oriente il Dragone ruggì in direzione di Arcore). C’era anche questa storia, dentro il cupo dipanarsi del Novecento.

    Non che qualcuno statualmente banchettasse col tenero cosciotto – a parte i casi di certi psicopatici al potere – ma pure la feroce leggenda affonda dentro l’ancora più feroce realtà, come per i casi di cannibalismo che si verificarono in Unione sovietica durante la grande carestia degli anni Venti e Trenta, quando “i cadaveri umani già vengono usati come alimento… i fanciulli morti vengono fatti a pezzi e messi nella pentola” (il commissario bolscevico Antonoff Ovsenko a un congresso dei soviet, secondo il comitato Socialisti rivoluzionari russi profughi in Europa: insomma, un po’ c’è da fidarsi, un po’ mica tanto). Però il più affidabile Arthur Koestler, dopo aver visitato il Caucaso nel ’32, scrive che “il cannibalismo non è poi così lontano dalla civiltà quanto comunemente si crede”. E poi la tragica, coinvolgente annotazione del grande Vasilij Grossman quando parla della carestia in Ucraina: “Ogni affamato è in un certo senso un antropofago. Mangia la propria carne, solo gli ossi rimangono, succhia il suo grasso fino all’ultima briciola. Poi gli si oscura la ragione: anche il cervello si è mangiato. Ha divorato tutto se stesso”. Si intitola “I comunisti mangiano i bambini. Storia di una leggenda”, il libro di Stefano Pivato (il Mulino) dove vengono messe insieme testimonianze, propaganda, riproduzioni di vecchi manifesti, paure e ombre su questa pratica tragica e immaginaria. Che appunto si mutò in propaganda negli anni della guerra e persino e più in quelli del Dopoguerra. “I nostri ragazzi deportati in Russia”, titola la Stampa nel dicembre del ’43: 750 bimbi imbarcati in Sicilia per essere usati come cavie, e qui “il racconto sui comunisti che divorano i bambini si trasferisce in Italia”.

    E’ un crescendo, che si alimenterà, sostiene Pivato, ancor di più nei decenni di Guerra fredda, con lo scontro tra comunisti da una parte, organizzazioni cattoliche e Dc dall’altra. Quelli che raccontavano di bambini che rifiutavano il cibo offerto dalle organizzazioni cattoliche convinti che fosse avvelenato, “perché i preti uccidevano i bambini per spedirli in paradiso”. E magari i bimbi piangenti ospitati da organizzazioni comuniste, “c’avevano detto che qua c’erano i comunisti che mangiavano bambini”. Storiacce come quella di Pozzonovo, canzoni blasfeme, terrori e bugie da una parte e dall’altra, persino nel caso di sciagure come per l’alluvione del Polesine. Ma sempre, è l’Orco comunista a prevalere nell’immaginario – lì la leggenda si solidificò. Poi, quando D’Alema arrivò a Palazzo Chigi, ebbe in dono da Cossiga un bambolotto di zucchero, “così non interromperai la tradizione dei comunisti che mangiano i bambini”. E cantava Giorgio Gaber: “Qualcuno era democristiano perché i comunisti mangiavano i bambini”. E giunse Renzi, sbucato dalle cucine lasciate sguarnite: e gli antichi divoratori, ancora satolli, finirono a tavola. Stavolta come portata.