Caro Squinzi, è troppo comodo criticare le aziende pubbliche
Un’analisi del Centro studi della Confindustria “denuncia” che le 8 mila imprese pubbliche costano alla nostre casse 24 miliardi annui, pari all’1,4 per cento del pil. E’ uno studio economico, quello di Confindustria, che merita uno studio politico (da parte mia). Sembra che si tratti di un’autodenuncia del patto neocorporativo che lega la Confindustria coi sindacati nazionali. Infatti lo “studio” in sé rileva una cosa già emersa dalla “agenda Giavazzi” riguardante i risparmi nella spesa pubblica.
Un’analisi del Centro studi della Confindustria “denuncia” che le 8 mila imprese pubbliche costano alla nostre casse 24 miliardi annui, pari all’1,4 per cento del pil. E’ uno studio economico, quello di Confindustria, che merita uno studio politico (da parte mia). Sembra che si tratti di un’autodenuncia del patto neocorporativo che lega la Confindustria coi sindacati nazionali. Infatti lo “studio” in sé rileva una cosa già emersa dalla “agenda Giavazzi” riguardante i risparmi nella spesa pubblica. Certo, l’economista bocconiano puntava l’indice sulle sovvenzioni alle imprese, ma accanto a quelle statali metteva quelle private. Viale dell’Astronomia invece tralascia questa parte e amplia il perimetro dei risparmi di spesa aggiungendo alle sovvenzioni alle imprese pubbliche sul bilancio del settore statale quelle nei bilanci degli enti locali. I dati sono pressappoco quelli delle “Relazioni” della Corte dei Conti e degli studi fatti quando si discusse la privatizzazione dell’acqua e si inventò la strana tesi che si tratta di un “bene pubblico” e se ne dedusse che essa deve essere offerta da imprese (interamente) municipali. Il silenzio che sinora la Confindustria ha tenuto su costi e sprechi delle imprese pubbliche che non vengono messe sul mercato, e che riguarda sia le tre big statali Ferrovie, Poste e Anas sia la miriade di quelle regionali, provinciali e comunali, aveva una sua logica derivante dal fatto che per ridurre questi “sprechi” bisogna licenziare personale in esubero e chiudere le imprese che non servono. Ed è, appunto, ciò che il Centro studi della Confindustria suggerisce. Ora nel patto neocorporativo fra Confindustria e Cgil, con legami con Cisl e Uil, il principio cardine è: “Tu dai una cosa a me e io do una cosa a te; lo stato (ossia il contribuente) paga tutte e due e il governo che sigla il patto ha il nostro consenso”.
Lo “studio” fa scricchiolare il patto: mostra che la Confindustria è delusa. Infatti sino a ora ha “dato al sindacato” e non ha ricevuto (quasi) niente in cambio: il governo per la riduzione del cuneo fiscale riguardante i costi del lavoro delle imprese stanzia pochi spiccioli mentre dà parecchio ai sindacati, ad esempio assumendo i precari della Pubblica amministrazione, rifinanziando la cassa integrazione in deroga e riducendo l’Irpef sui bassi redditi da lavoro dipendente. Inoltre la Confindustria si sente danneggiata dalla “minipatrimoniale diffusa” sul risparmio in azioni e obbligazioni attuata mediante l’aumento della cedolare secca sulle rendite finanziarie, la Tobin tax e le tasse di bollo sui conti bancari. Ma questa “denuncia” di Viale dell’Astronomia è troppo comoda: riguarda solo i vizi dei partner, non i propri. L’agenda Giavazzi, come dicevo, non si riferisce solo alle sovvenzioni alle imprese pubbliche ma anche a quelle private. E accanto alla cassa integrazione in deroga, nei recenti provvedimenti ci sono le prolungate casse integrazioni straordinarie per le imprese private. E ci sono le continue sovvenzioni per sistemare gli “esodati”, che nascono da un’ipocrisia. Quella per cui fu Elsa Fornero che aveva sbagliato i calcoli circa i pre-pensionati, i quali, con la sua riforma delle pensioni, rimanevano nel limbo e quindi bisognava provvedere. In realtà le imprese avevano fatto prepensionamenti che andavano annullati perché attuati per svuotare preventivamente la riforma delle pensioni dai suoi effetti. E ha fatto comodo riversare sullo stato gli esuberi tramite questi prepensionamenti. Sergio Marchionne ha dichiarato che la Fiat vuole libertà per i contratti di lavoro aziendali e in cambio rinuncia ai tradizionali favori “da ora in poi”. S’attende dunque uno studio dettagliato della Confindustria sulle sovvenzioni alle imprese private a carico dell’erario, indicando quali vanno tagliate.
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