I titoli di coda del 2013 scorrono sui cassonetti (pieni) del salva Roma
Salva Roma. Crac. “Il governo ha preannunciato nella conferenza dei capigruppo di Montecitorio che non procederà alla conversione del decreto Salva Roma”. Sono le 13 e 14 di venerdì 27 dicembre, la tempesta di Natale si sta diradando, ma sulla Capitale restano i nuvoloni e il bilancio del Campidoglio piange, metafora di una nazione che va rigorosamente a rotoli e a debito. E’ l’epilogo di un pasticciaccio brutto di governo e malgoverno, con una pezza di riparazione inserita nel Milleproroghe che già nel nome evoca lo scasso con destrezza di bilancio.
Salva Roma. Crac. “Il governo ha preannunciato nella conferenza dei capigruppo di Montecitorio che non procederà alla conversione del decreto Salva Roma”. Sono le 13 e 14 di venerdì 27 dicembre, la tempesta di Natale si sta diradando, ma sulla Capitale restano i nuvoloni e il bilancio del Campidoglio piange, metafora di una nazione che va rigorosamente a rotoli e a debito. E’ l’epilogo di un pasticciaccio brutto di governo e malgoverno, con una pezza di riparazione inserita nel Milleproroghe che già nel nome evoca lo scasso con destrezza di bilancio. Il premier Enrico Letta non perde l’aplomb e addirittura ne trae ispirazione per un discorso da stuntman: “E’ la prova che nel 2014 servono le riforme, a partire dal bicameralismo perfetto” (ore 12 e 31). Rileggo la dichiarazione. E’ proprio così. Neppure in un fantasy si riesce a mettere insieme la cancellazione del Senato con i pasticci politici del governo e quelli contabili del marziano a pedali atterrato in Campidoglio. Il sindaco Ignazio Marino, maestro dello svicolo cieco, del volare alto per lasciare tutti i problemi in basso, sta defilato. E infatti è volato (e pure tornato) qualche giorno fa a New York per apprendere dal neosindaco Bill De Blasio la formula del “rising togheter”. Finora nell’Urbe quel che sale è la spazzatura dentro e fuori dai cassonetti. Dettagli ecologici. Riapro il taccuino. Note varie. Il 2013 sta finendo come era iniziato, siamo di nuovo ai materassi. Botti di fine anno, dichiarazioni, annotazioni, elucubrazioni, moniti. Giorgio Napolitano avverte: “Massimo rigore sui decreti, se necessario cambiare i regolamenti delle Camere”. Il pre-messaggio di fine anno arriva via motociclista poco prima dell’ora di pranzo ai presidenti Laura Boldrini e Pietro Grasso. Alle 14 e 19 sulle agenzie di stampa compare il testo della lettera, ecco l’incipit: “Onorevoli presidenti, le modalità di svolgimento dell’iter parlamentare di conversione in legge del decreto legge 31 ottobre 2013, n. 126 recante misure finanziarie urgenti in favore di regioni ed enti locali nel corso del quale, al testo originario del decreto sono stati aggiunti 10 articoli per complessivi 90 commi, mi inducono a riproporre alla vostra attenzione la necessità di verificare con il massimo rigore l’ammissibilità degli emendamenti ai ddl di conversione”. Traduzione: sul Salva Roma avete fatto il solito fritto misto e io francamente mi sono stufato di mettere il timbro su questa robaccia. Uno dei massimi esperti del settore, Roberto Calderoli, alle 14 e 38 corrobora la digestione intimando l’alt al Quirinale: “Il presidente non firmi il Milleproroghe o rischia l’impeachment”. La parola chiave è “reiterazione”. Il Salva Roma esce dalla porta, ma rientra dalla finestra. Se po’ fa’? Renato Brunetta dice che “è proibito e Napolitano deve vigilare”. Il governo dirà che non è lo stesso testo e via con la rumba tra costituzionalisti. C’è materiale da ardere per la ripresa dei lavori parlamentari, fissata mercoledì 8 gennaio alle 15. Il tragitto missilistico della faccenda era chiaro, Napolitano da giorni sentiva odore di zolfo. Sabato (21 dicembre) in commissione Bilancio c’era un ingorgo di 250 emendamenti, Matteo Renzi si attaccava alle slot machine (“una porcata”), i grillini al recesso delle istituzioni dagli affitti (“resteremo qui fino a Capodanno”). Lo stralcio demagogico e il via libera per l’approdo in Aula arrivano a notte fonda, ma domenica (22 dicembre) servono ben tre riunioni dei capigruppo per decidere il calendario dei lavori. Alla fine si delibera per un voto di fiducia che arriva lunedì alle 15 e 58 con 340 sì e un’ondata di problemi all’orizzonte. Lunedì Letta evoca “la svolta dei quarantenni” ma il 23 dicembre entra nel taccuino per il via libera a una Legge di stabilità vecchio stampo e per Renzi che si ricandida sindaco a Firenze. Intanto il pasticcio del Salva Roma lievita a tal punto che dal Quirinale parte un consiglio al premier: caro Enrico, ritira il decreto, perché io così com’è io sarò costretto a respingerlo. E il sindaco Marino che dice? Silent night, è Natale. Parla però il conducator di Napoli, De Magistris: “Sono profondamente indignato, in questi due anni abbiamo sofferto per portare avanti Napoli senza avere un euro. Mi aspetto che questa Italia fatta di figli e di figliastri finisca. Non abbiamo avuto una legge, ma neanche una leggina per potere respirare”. Sono le 14 e 35 di venerdì, cominciano a scorrere i titoli di coda del 2013, tutto cambia, niente cambia. Salva Roma chiama Salva Napoli. Arbore avrebbe già messo il tormentone di “volante 1 a volante 2”, ma in quest’occasione vale la regola di Peppino De Filippo: “Fare piangere è meno difficile che far ridere”. Salva Roma. E buona fortuna, Italia.
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