Una Leopolda a viale Mazzini

Nomine, piani, diffidenze. Indagine su una Rai alle prese con il ciclone Renzi

Claudio Cerasa

 A Viale Mazzini, i dirigenti che hanno voglia di scherzare dicono che in Rai da quando Matteo Renzi è arrivato in cima ai vertici del primo partito italiano si sta un po’ tutti disorientati, confusi e preoccupati più o meno come d’autunno sugli alberi le foglie. E così, nelle stanze che contano della televisione pubblica, succede che oggi è tutto un che farà Matteo, che intenzioni ha Matteo, chi piazzerà Matteo. Formalmente, la strada scelta dal segretario per avvicinarsi all’irresistibile marmellata della tv pubblica è quella della prudenza e dell’ostentazione di un’indifferenza reciproca Dietro l’indifferenza, però, in Rai c’è un universo complicato e in ebollizione che cerca non solo di accreditarsi ma anche di orientarsi nel nuovo regime renziano.

    A Viale Mazzini, i dirigenti che hanno voglia di scherzare dicono che in Rai da quando Matteo Renzi è arrivato in cima ai vertici del primo partito italiano si sta un po’ tutti disorientati, confusi e preoccupati più o meno come d’autunno sugli alberi le foglie. E così, nelle stanze che contano della televisione pubblica, succede che – tra vicedirettori illuminati dalla luce generata dal nuovo messia che passano parte delle loro giornate a prendere ripetizioni di fiorentino, a comporre lo 0552768 del comune di Firenze e a provare a fissare appuntamenti con il carissimo amico Matteo e caporedattori folgorati sulla via di Firenze che si presentano a Palazzo Vecchio facendo professione di eterna fede renziana pur essendo magari finiti in Rai grazie a una buona parola gasparriana (è successo davvero) – oggi è tutto un che farà Matteo, che intenzioni ha Matteo, chi piazzerà Matteo, dove vuole andare a parare Matteo, cosa cambierà Matteo e soprattutto, beh, chi tratterà per Matteo. La Rai e Renzi. Renzi e la Rai. Formalmente, la strada scelta dal segretario per avvicinarsi all’irresistibile marmellata della tv pubblica è quella della prudenza e dell’ostentazione di un’indifferenza reciproca. Come dire: cara Rai, so che sei lì, so i problemi che hai, so che noi due non andremo d’accordo, ma per il momento non intendo occuparmi di te, grazie. Dietro l’indifferenza, però, in Rai c’è un universo complicato e in ebollizione che cerca non solo di accreditarsi ma anche di orientarsi nel nuovo regime renziano. Orientarsi in questo mondo, specie per un democratico, in realtà non è semplice anche perché il disarmo unilaterale voluto da Bersani ai tempi della nomina “apolitica” di Benedetta Tobagi e Gherardo Colombo nel consiglio d’amministrazione ha drogato gli equilibri e ha prodotto una situazione paradossale: da un lato ai vertici della tv pubblica il Pd è rappresentato meno che ai tempi del regime berlusconiano (e meno dell’Udc), dall’altro i giornalisti che vogliono mettersi in contatto con il mondo del Pd se non hanno rapporti personali possono incontrare qualche difficoltà in più rispetto al passato. Premesso ciò si può dire che la linea di Renzi è quella di rinviare, di non affrontare direttamente il dossier, di non mettere bocca sulle nomine (a breve toccherà discutere delle corrispondenze da Mosca, da Londra e da Bruxelles), di non rispondere alle telefonate da viale Mazzini, di non autorizzare a trattare nessuno dei suoi parlamentari con i vertici Rai (neppure Paolo Gentiloni e Dario Nardella, che pure sono molto ricercati, anche dal direttore generale Luigi Gubitosi) e di non accettare nel modo più assoluto che ci sia qualcuno che, magari all’interno dell’azienda, parli a nome di Renzi (compreso Luigi De Siervo, direttore commerciale Rai, amico del sindaco). Risultato (vedere per credere cosa è successo il tre dicembre nei camerini di “Porta a Porta”, prima dell’ingresso di Renzi da Bruno Vespa): tutti vigorosamente all’assalto del portavoce del sindaco, Marco Agnoletti.
     
    Segnali e ordini di scuderia
    L’ordine di scuderia, dunque, è quello di non farsi trovare con le dita nella marmellata. E così, non ricevendo input diretti, capita che i capi della Rai, come gli aruspici con le viscere degli animali, cerchino di interpretare da una mezza parola, un mezzo sguardo, una mezza dichiarazione quali potrebbero essere i desiderata renziani e lascino sul terreno piccoli messaggi indirizzati a Palazzo Vecchio. Messaggi come la nomina del veltronian-renziano Nino Rizzo Nervo a presidente della Scuola di giornalismo di Perugia. Messaggi come la nomina di Vincenzo Morgante alla guida dei tg regionali (nomina elogiata dal renziano Davide Faraone, conterraneo di Morgante). Messaggi come quelli possibili in arrivo sulla prossima ambita direzione del Gr Radio. Di Gubitosi, in realtà, Renzi non parla male e in passato ha apprezzato il tentativo di rimettere in ordine i conti dell’azienda (conti che, secondo il dg, sono in miglioramento rispetto al 2012, anno in cui Viale Mazzini ha approvato un bilancio che ha registrato una perdita record di 244,6 milioni di euro). Ma la partita per il dopo Gubitosi, a ben vedere, è un dossier che si trova da mesi sulla scrivania del sindaco e anche se il tema non è in agenda Renzi un’idea su come dovrà essere la Rai del futuro. Dal punto di vista sistemico, Renzi, che il prossimo anno chiederà ad alcuni tecnici di valutare un piano di spending review in Rai, sostiene che sui quindici canali di cui dispone il servizio pubblico solo otto debbano essere finanziati attraverso il canone. Mentre gli altri, inclusi Rai1 e Rai2, in futuro dovranno essere pagati solo attraverso la pubblicità e successivamente privatizzati. Questo, dunque, per la struttura. Poi, però, c’è il delicato capitolo delle nomine. E nella testa di Renzi, per il domani, i profili su cui puntare sono due e sono questi.

    Il primo capitolo riguarda la direzione del Tg1. Il secondo capitolo riguarda la guida generale della Rai. Capitolo Tg1. Con Mario Orfeo, arrivato alla guida del telegiornale della prima rete nei mesi in cui le parole che contavano erano quelle di Pier Luigi Bersani e di Pier Ferdinando Casini, i rapporti sono buoni. Renzi non ha affatto un pregiudizio nei suoi confronti e in fondo l’ex direttore del Messaggero, molto stimato a Palazzo Chigi da Enrico Letta, ha dalla sua le buone performance a livello di audience ottenute nel 2013 (i dati sugli ascolti, usciti qualche giorno fa, dicono che, nella fascia delle edizioni serali dei telegiornali, l’unico tg in crescita rispetto al 2012 è quello di Orfeo: +0,59 per cento di share, con una media di 4,29 punti in più rispetto al Tg5. Gli altri, dal Tg2 al Tg3 passando per Studio Aperto e La7, hanno tutti un segno meno. Il grafico completo lo trovate su www.ilfoglio.it/cerazade/3086).
    I piani di Renzi però, quando sarà, prevedono che, quando la rottamazione viaggerà a pieno regime, alla guida del Tg1 ci dovrà essere una persona diversa da Orfeo. Possibilmente una donna. Il sindaco di Firenze apprezza molto Gaia Tortora, giornalista de La7, ma la lista delle papabili prevede anche altri nomi (al momento top secret). Meno incertezze invece ci sono per quanto riguarda il dopo Gubitosi. Anche qui, affrontare il tema può sembrare prematuro, perché difficilmente nel 2014, salvo nuove elezioni, si registreranno grandi scossoni ai vertici Rai. Eppure il sindaco – che crede sia giusto chiudere anche in Rai la parentesi dei tecnici – il nome giusto per rottamare la vecchia Rai ce l’ha in testa da tempo. Molti renziani parlano dello stesso Luigi De Siervo (che da quando Renzi è diventato segretario, essendo l’unico vero renziano della Rai, è diventato il punto di riferimento di gran parte degli aspiranti renziani dell’azienda). Ma la verità è che il nome sul quale ragiona Renzi coincide con quello di un ex direttore generale che ha preso in mano Mtv nel 1997, che ha preso in mano La7 nel 2003, che da tempo si è avvicinato al mondo della Leopolda e che oggi è il candidato numero uno del Rottamatore alla guida della Rai del futuro: Antonio Campo Dall’Orto. Certo. Di tempo per lavorare in Rai Renzi ne avrà molto. Ma anche se il sindaco segretario al momento ostenta indifferenza, e quasi insofferenza rispetto alle questioni legate alla Rai, un piano in realtà esiste. Un piano di sistema. E un piano di ristrutturazione. E come ammette al Foglio un renziano molto attivo sul fronte Rai, “vedrete che quando Matteo interverrà a Viale Mazzini anche lì rischia di arrivare un ciclone”.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.