Il business di Frodo

Serviva il fantasy per far crescere il pil neozelandese

Michele Masneri

James Cameron ha annunciato che girerà i tre prossimi episodi della saga fantasy di “Avatar” in Nuova Zelanda. Non ha sorpreso che il regista premio Oscar abbia fatto l’annuncio nella capitale neozelandese Wellington a fianco del primo ministro John Key. “E’ un giorno molto importante per il paese” ha detto il premier; “e un giorno molto importante per chi produce blockbuster internazionali”. Il fantasy del resto è una voce non secondaria del pil neozelandese e la saga di Avatar ne è l’esempio.

    James Cameron ha annunciato che girerà i tre prossimi episodi della saga fantasy di “Avatar” in Nuova Zelanda. Non ha sorpreso che il regista premio Oscar abbia fatto l’annuncio nella capitale neozelandese Wellington a fianco del primo ministro John Key. “E’ un giorno molto importante per il paese” ha detto il premier; “e un giorno molto importante per chi produce blockbuster internazionali”. Il fantasy del resto è una voce non secondaria del pil neozelandese e la saga di Avatar ne è l’esempio: il film di animazione del 2009, girato interamente lì, è stato il più grande campione di incassi, con 2,8 miliardi di dollari, e il film più profittevole della storia, con 1,1 miliardi di dollari di utile netto. Per i prossimi episodi l’investimento è adeguato: verranno girati tutti insieme nei primi mesi del 2015 e distribuiti a partire dal Natale 2016 e nei successivi due, con un budget di circa 1 miliardo di dollari da parte dei produttori Lightstorm e Twentieth Century Fox. La cifra è considerevole soprattutto perché la Nuova Zelanda conta su soli 4,4 milioni di abitanti e i nuovi Avatar – da soli – porteranno circa 230 dollari nelle tasche di ciascun cittadino, inclusi bambini e anziani. Il business del fantasy è così importante che il governo di Wellington si farà carico di un quarto della spesa con un taglio fiscale del 25 per cento sull’investimento delle case produttrici: un intervento senza precedenti nell’industria cinematografica mondiale che garantisce ritorni importanti. Il cinema, secondo la società di consulenza PricewaterhouseCoopers, rappresenta ormai una delle voci più importanti dell’economia locale, con un fatturato di 3,23 miliardi di dollari nel 2011, un indotto che dà lavoro a 21.315 persone e una incidenza sul pil totale dell’1,4 per cento (dallo 0,25 per cento di sette anni prima). Il boom si è avuto negli anni Duemila in particolare con la trilogia del “Signore degli anelli” del regista neozelandese Peter Jackson che qui ha diretto i tre episodi della saga ispirata ai libri di J. R. R. Tolkien e poi l’altra trilogia, quella dello “Hobbit”, “spalmata” sui cinema mondiali tra dicembre 2012, 2013 e 2014.

    L’impatto di Tolkien e dei suoi derivati non comporta solo incassi per troupe e società di post-produzione: il ministero del Turismo neozelandese dice che nei primi quattro mesi del 2013 il turismo è aumentato del 10 per cento rispetto all’anno scorso, con oltre cinquecentomila presenze; di queste, l’8,5 per cento ha citato proprio “Lo hobbit” come ragione per visitare il paese. Vallate, laghi e foreste e tutto l’universo pittoresco legato a elfi e terre di mezzo attirano flussi di turisti che il governo intende fidelizzare. Per lanciare il secondo episodio della saga dello Hobbit, la compagnia di bandiera Air New Zealand ha decorato le livree dei Boeing 777 con riproduzioni lunghe 54 metri del drago di Smaug, che dà il titolo all’episodio.

    Occupazione e cinema, il nuovo corso di Key
    Il premier John Key è un po’ l’artefice del nuovo corso cinematografico dell’economia neozelandese. Key è il leader del New Zealand National Party, che predica più mercato e meno welfare, è un ex broker della banca d’affari Merrill Lynch e si vanta di tenere in ufficio una riproduzione della spada di Frodo, protagonista del Signore degli Anelli, donatagli dal presidente americano Barack Obama proprio in virtù delle fiorenti coproduzioni tra Stati Uniti e Nuova Zelanda in tema di fantasy. Spesso attaccato per le sue aperture verso lo show business, Key nel 2011 saltò addirittura un appuntamento con la regina Elisabetta in visita di stato per un precedente impegno che lo voleva sul set di “Lo Hobbit”. E l’anno prima gestì una vera crisi di governo, con le opposizioni laburiste scese in piazza a sostenere che la Nuova Zelanda stava diventando “il paese di Topolino”; era successo che la Warner Bros., produttrice della saga di Tolkien, si era impuntata minacciando di spostare la produzione altrove, se non fosse cambiata la legislazione sul lavoro. E Frodo la spuntò: grazie anche a contromanifestazioni di lavoratori e semplici cittadini neozelandesi che rivendicavano il loro diritto al cinepanettone fantasy prodotto in loco, passò una mini-riforma dell’articolo 18, poi ribattezzata Legge Warner, che prevedeva che le maestranze fossero inquadrate non più come lavoratori dipendenti bensì come liberi professionisti, limitando così il diritto allo sciopero, alla malattia, alla buonuscita.