Siamo tutti Nigella
David Cameron è uno di noi, uno del “Team Nigella”. E’ un fan di Nigella Lawson, la regina della cucina inglese che ha sdoganato curve e burro, cibi grassi e scollature sontuose, ma che al di là dei fornelli, al di là di quel sorriso invitante, è parecchio sfigata con gli uomini. Cameron ha avuto la fortuna – è pur sempre il premier del Regno Unito – di incontrare Nigella un paio di volte, la trova piacevole e divertente, quando può si mette lì con la figlia Nancy, che ha nove anni, e insieme guardano Nigella in tv per vedere se c’è qualche ricetta che si può fare senza ribaltare la cucina, per fare una sorpresa alla mamma.
David Cameron è uno di noi, uno del “Team Nigella”. E’ un fan di Nigella Lawson, la regina della cucina inglese che ha sdoganato curve e burro, cibi grassi e scollature sontuose, ma che al di là dei fornelli, al di là di quel sorriso invitante, è parecchio sfigata con gli uomini. Cameron ha avuto la fortuna – è pur sempre il premier del Regno Unito – di incontrare Nigella un paio di volte, la trova piacevole e divertente, quando può si mette lì con la figlia Nancy, che ha nove anni, e insieme guardano Nigella in tv per vedere se c’è qualche ricetta che si può fare senza ribaltare la cucina, per fare una sorpresa alla mamma. Quando Cameron ha detto al direttore dello Spectator, il magazine dei ragazzacci cameroniani, che Nigella gli piace parecchio, è scoppiato il caos, in Inghilterra: Nigella è a processo, è una drogata, ha curato la sua instabilità con la cocaina, si è fatta le canne con i figli, Bruno e Cosima, è insicura e depressa, si è fatta abbindolare da due sorelle italiane – che di cognome fanno Grillo, non è meraviglioso? Non vi rende tutti un po’ più membri del Team Nigella? – spendendo soldi a volontà, suo marito dice che è una “criminale”, come si permette il premier Cameron di darle il suo sostegno? Durante il processo poi? E’ illegale, bisogna sospendere tutto, ricominciare, è un’ingerenza indebita, scandalosa, inopportuna.
Gli aspetti legali saranno più complessi di quanto ci piace pensare, ma Cameron ha fatto quello che un premier fa: difende gli interessi nazionali. E Nigella questo è: un interesse nazionale. Tanto per cominciare: porta il nome di suo padre (anche se in casa tutti la chiamano da sempre “La-la”), quel Nigel Lawson che ha governato l’inversione di rotta del Regno Unito – inversione verso una crescita stellare – durante gli anni Ottanta. Cioè è stato il cancelliere dello Scacchiere di Margaret Thatcher dal 1983 fino a quando John Major non è riuscito a farlo fuori (prima di far fuori anche la Lady di ferro ché nella vita Major solo quello ha fatto: far fuori i più bravi), durante quegli anni che sono conosciuti come il “Lawson boom”, niente meno – quando il deficit britannico è diventato surplus e il sistema fiscale è stato rivoluzionato, quando le privatizzazioni hanno fatto inviperire mezza Inghilterra ma hanno generato quella stabilità che poi ha permesso alla Cool Britannia di essere tanto cool, quando la disoccupazione è stata quasi dimezzata, a spese dell’inflazione ovviamente, e quell’errore non gli è mai stato perdonato. Nigel Lawson è uno dei volti del cambiamento thatcheriano, un volto che è a sua volta cambiato tantissimo nel tempo, per via del cibo: quando si è ritirato dalla Camera dei Comuni, Nigel ha deciso di affrontare il suo problema di peso, ha perso 30 chili in pochi mesi, e poi ha scritto un libro, “The Nigel Lawson Diet Book”.
E’ facile pensare che il rapporto tra Nigella e il cibo sia nato anche grazie – o per colpa – di papà Nigel, il quale ha fatto sentire la sua presenza in casa, una casa dominata dalla mamma Vanessa, bellissima e tormentata e anoressica, con qualche altro stratagemma, non proprio sano, non proprio educativo, ma si sa che si può anche essere i migliori nel cambiare il mondo, eppure fare i padri è sempre il mestiere più difficile che c’è. Narra Nigella che a volte, mentre era a casa a studiare, arrivava Nigel e le diceva: “Cara, vieni a farti un drink con me intanto che fai i compiti, un whiskey o un campari soda”. E lei lo seguiva, “una grande educazione, vero?”. Abbastanza per farle perdonare suo padre durante gli anni difficili del divorzio dalla mamma, abbastanza per farla essere indipendente da lui, ha sempre detto di essere “molto più a sinistra rispetto a papà”, anche se spesso è stata giudicata prima come “figlia di” che come Nigella. I conservatori amici hanno però aperto la strada a Nigella nella sua prima vita, quella da giornalista. Ha iniziato a lavorare allo Spectator invitata da Charles Moore, oggi noto come il biografo della Thatcher, poi è passata nella redazione della Cultura del Sunday Times, sostituendo un redattore che si era dimesso quando Rupert Murdoch, editore del domenicale, aveva combattuto e vinto la battaglia contro i sindacati che non volevano spostare la sede del giornale a Wapping (dov’è tuttora). Lì è iniziata la carriera di Nigella: a 26 anni era vicecaporedattore della Cultura del Sunday Times. Poi si è spostata a sinistra, seguendo la sua natura, e ha lavorato come editorialista all’Observer, finché il cibo non è diventato il suo mestiere.
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Il problema, in casa, non era il bicchierino pomeridiano con papà. Era la mamma, Vanessa Salmon. Bella, con gli occhi sempre truccati di nero, magra ed elegante, a diciannove anni aveva abbandonato i suoi sogni di ballerina perché si era innamorata di Nigel Lawson, allora un giornalista molto ambizioso. Avevano avuto quattro figli – Dominic, Nigella, Thomasina e Horatia – ma già quando Lawson stava convertendo la sua carriera in Parlamento, a metà degli anni Settanta, le cose andavano male. Lui aveva un’altra, lei avrebbe presto trovato un altro, i figli erano in mezzo a due genitori “che erano interessati più a loro stessi che a noi”, ha ricordato Nigella, che però si consolava dicendo “almeno eravamo in quattro, potevamo chiacchierare tra di noi”. La mamma era rigida, depressa, di una magrezza malata – bulimia o anoressia, non si sa, “eating disorder”, semplificano gli inglesi – e Nigella si tormentava, “non le piacevo, forse perché venivo dopo il piccolo principe Dominic ed ero la cocca di papà, lei era gelosa”. O forse perché Vanessa non stava bene, “era divertente ma depressa, e così sensibile al rumore: un sacchetto di plastica accartocciato poteva farla impazzire. Ci urlava: ‘Vi picchio fino a farvi piangere’, e così io non ho mai pianto – ricorda Nigella – ancora oggi non piango”. Quando le due si sono ritrovate, sua madre aveva già un tumore al fegato: è morta a 48 anni, nel 1985. E il cibo è rimasto nella vita di Nigella, ancora una volta, come testimonianza della famiglia che fu, quella famiglia che Nigella ha sempre amato tanto, nonostante i conflitti: Vanessa non cucinava spesso, ma quando lo faceva era brava (anche per lei era una questione di famiglia: i suoi erano i re del business del catering). Il primo libro di cucina scritto da Nigella nel 1998, “How to eat”, è dedicato alla sorella Thomasina, morta di cancro al seno a 32 anni nel 1993, e alla mamma, “che sapeva rendere anche il più filamentoso e duro volatile del mondo un raro poulet de Bresse”. Nigella ha raccontato che “il profumo e il sapore del pollo arrosto sa di famiglia per me e i miei fratelli e ci riporta la nostra mamma, spesso assente, in cucina, a tavola con noi” (va detto che Nigella non cucina così bene il pollo, di solito questo è il piatto riservato alla sua amica-collaboratrice Hettie Potter, che nelle trasmissioni tv è definita “l’economista di casa”).
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Il cibo, la malattia, gli uomini. Nel 1986 Nigella incontra John Diamond, che lavora al Sunday Times: al primo incontro lui ordina una pizza hawaiana, con su l’ananas, lei non lo pianta disgustata, anzi sostiene di aver apprezzato quella scelta sfrontata: si sposano nel 1992 a Venezia. Nel 1997, a Diamond viene diagnosticato un tumore alla gola, inizia a scrivere e a raccontare la decorrenza del cancro, i suoi articoli sono letti e commentati, il suo libro “C: Because Cowards Get Cancer too” vince premi, diventa prima una pièce teatrale e poi un film per la televisione, ma è soprattutto il documentario “Inside Story” della Bbc a diventare popolare, in particolare quando racconta quanto sia difficile perdere l’uso della parola (Diamond ha scritto anche un altro libro, “Snake oil and other preoccupations”, che è stato pubblicato postumo grazie all’editing di Dominic Lawson, fratello di Nigella e allora direttore del Sunday Telegraph). Diamond è morto nel 2001, quando Nigella era in tv con “Nigella Bites”. Si prese soltanto un giorno di pausa, “non credo molto alle pause”, disse, e fu ampiamente criticata per la sua freddezza: lei rispose con una depressione, dopo il funerale, ma anche quel momento di compassione pubblica si volatilizzò presto, quando nove mesi dopo la morte di John Nigella andò ad abitare con Charles Saatchi (siamo sempre in area thatcheriana: Charles fu l’inventore del famoso slogan elettorale “Labour isn’t Working” per i Tory della Lady di ferro, poi è diventato un gallerista famosissimo, il suo patrimonio assieme al fratello Maurice è stimato attorno ai 120 milioni di dollari). Erano amici da tempo, e da sempre si mormora che la storia cominciò quando Diamond era ancora vivo: Nigella ha sempre smentito, ma l’allora moglie di Saatchi Kay Hartenstein si prese la briga, prima del matrimonio tra i due nel 2003, di raccontare quanto fosse perfida Nigella, e quanto avesse manipolato prima il marito morente e poi lo stesso Saatchi (che tutto ha, tranne l’aria di uno manipolabile).
Ma anche questo amore è finito, malissimo, e sarà che Nigella nel frattempo è diventata ancora più famosa e ancora più divina, sarà che ogni Natale, per anni, non s’è fatto che cercare di replicare qualche ricetta grassissima e buonissima proposta da Nigella, ma è in quest’ultima disgrazia che si è consolidato il Team Nigella. Trasversale, come è stata la vita – politica, culinaria e familiare – di Nigella. A giugno è stata pubblicata una foto in cui Saatchi stringe il collo di Nigella, mentre sono in un famoso ristorante di pesce a Londra. Lui si scusa, poi viene interrogato dalla polizia, paga una multa, fa ancora qualche dichiarazione contrita. Un mese dopo Nigella, con i due figli avuti da Diamond, lascia la villa a Chelsea in cui viveva con Saatchi e chiede il divorzio citando come giustificazione “un comportamento irragionevole” del marito. Lui spiega che le ha reso la vita impossibile, che sono stati tanto felici ma ora sono diventati due estranei. Si mettono d’accordo sui soldi – entrambi ne hanno tantissimi – si cerca una soluzione che non distrugga ulteriormente la loro immagine, ma in privato si dice che lui abbia deciso di fargliela pagare. A giugno, dopo la foto scandalosa, iniziano a circolare voci sulla dipendenza di Nigella dalla droga. Poi c’è il processo alle sorelle Grillo, collaboratrici di Nigella, che hanno utilizzato soldi di Saatchi in modo indiscriminato, ma è soltanto un pretesto: Saatchi vuole la fine di Nigella (le sorelle sono state assolte, ora si parla di un prossimo processo contro Nigella per l’utilizzo di droga). Il tribunale diventa il campo di battaglia, l’ex moglie di Saatchi dice che bisogna andare alla polizia, Nigella è una drogata, e fa drogare anche i suoi figli (ha le prove, dice, gliele ha date Phoebe, la figlia che ha avuto con Saatchi e che vive in casa con papà, Nigella e i due fratellastri). Il Sunday Times ha recentemente raccontato di essere stato più volte contattato per pubblicare articoli che dimostravano l’uso di droga di Nigella e dei suoi figli, polpette avvelenate che arrivavano direttamente dall’entourage di Saatchi, il quale sostiene che la foto in cui sta per strozzare Nigella sia stata una trappola: è lei che ha organizzato tutto. Il Sunday Times non ha mai pubblicato nulla, anche perché lì ora lavora Dominic Lawson, il piccolo principe amato da mamma Vanessa, che il 22 dicembre ha scritto un articolo molto bello in difesa di sua sorella: non ha fatto nulla, ma è sembrata colpevole di tutto.
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Si sono mossi tutti per difendere Nigella, perché è così che va, con gli interessi nazionali. E con una donna che si è fatta fotografare su una copertina con la faccia piena di caramello (ed è sexissima), che ama le sue curve più di quanto sia capace di mettersi a dieta, che voleva tantissimo vivere in Italia e s’è messa a fare la cameriera a Firenze (per rubarci le ricette, è ovvio: le sorelle Grillo sono talmente improbabili nelle loro testimonianze che sostengono che Nigella ha rubato loro la ricetta delle lasagne), che ha detto di aver usato sì cocaina, ma ha anche precisato che lei non ha un problema con la droga, ha un problema con la vita. Che si è presentata in tribunale con l’aria seria, senza una lacrima come le ha insegnato la mamma, aggraziata e feroce. Grace Dent, una delle giornaliste più brave d’Inghilterra, ha lanciato su Twitter l’hashtag #TeamNigella, che è poi diventato una corrente di pensiero. In un articolo sull’Independent, Dent racconta una conversazione con sua mamma, 77 anni. “‘Pensi che sia una drogata?’, mi ha chiesto mia mamma. ‘Se lo è, ha un bell’impegno, compro un suo libro di cucina ogni sei mesi’, le ho risposto. ‘Be’, qualsiasi cosa si prenda, la voglio anche io’, ha detto mia mamma dopo averci pensato su, ‘perché è maledettamente fantastica. Ha una pelle stupenda, si tiene proprio bene’”. Tirate quel che volete contro Nigella, ma “Great Britain will always be Team Nigella”.
Il Foglio sportivo - in corpore sano