E' il dudeismo, baby
Un po’ d’ordine, per cominciare. Esiste un libro di Cathleen Falsani, che dal 2000 al 2010 scriveva di religione sul Chicago Sun Times: era intitolato “The Dude Abides: The Gospel According to the Coen Brothers”. “Il Vangelo secondo Lebowski”, uscito da Fazi, non è la traduzione di questo volume, bensì del più recente – l’originale è del 2011 – “The Abide Guide. Living Like Lebowski”. Lo firmano Oliver Benjamin e Dwayne Eutsey, inventori e primi cultori del “Dudeism”, movimento spirituale che ha come simbolo lo yin e lo yang.
Un po’ d’ordine, per cominciare. Esiste un libro di Cathleen Falsani, che dal 2000 al 2010 scriveva di religione sul Chicago Sun Times: era intitolato “The Dude Abides: The Gospel According to the Coen Brothers”. “Il Vangelo secondo Lebowski”, uscito da Fazi, non è la traduzione di questo volume, bensì del più recente – l’originale è del 2011 – “The Abide Guide. Living Like Lebowski”. Lo firmano Oliver Benjamin e Dwayne Eutsey, inventori e primi cultori del “Dudeism”, movimento spirituale che ha come simbolo lo yin e lo yang. Con tre puntini invece del puntino d’ordinanza: tre come i buchi della palla da bowling (chi ricorda il film, e chi non lo ricorda difficilmente sarà attratto dal manuale, oltre a Julianne Moore vestita da vichinga ha ben presente la partita, e la tuta viola di John Turturro). “Dudeism” naturalmente è modellato su judaism, gioco di parole che va perso in traduzione. Da noi “dude” – appellativo comune tra surfisti e strafatti, per Lebowski vale la seconda categoria – fu tradotto “Drugo”, e tale rimane in mancanza di meglio, anche se la scelta ancora offende. “Abide” sta scritto su una delle tavole della legge che i fondatori del movimento propongono. Sull’altra troviamo “Just Take It Easy”.
Nella traduzione di Stefano Tummolini e Thomas Fazi, “tieni botta” e “prendila come viene”. Niente di particolarmente impegnativo, adatto per risoluzioni capodannesche chic che non obbligheranno a vergognarsi tra due mesi perché son rimaste lettera morta. Ricerche apposite circolano sul web, ma non ne avevamo bisogno per verificare la nostra scarsa forza di volontà e il nostro essere nella media (per di più, le vere liste si fanno a settembre, e neanche quelle vengono evase). Gli anticipatori del dudeism sono identificati dagli sfaticati autori – uno vive in Thailandia, raro luogo al mondo dove andare in giro in ciabatte e vestaglia non fa sfigurare in società – in Gesù e nel Budda, in Lao Tze (“inventore dell’alzata di spalle”). Menzione speciale anche per Epicuro ed Eraclito: “Non ti possono ficcare la testa due volte nella stessa tazza del cesso”.
“Un mondo più drugo è possibile. La rivoluzione non è finita, ha solo perso il filo del discorso”, sostengono gli autori. Facendo pensare a chi legge che il manualetto non abbia l’imprimatur di Ethan e Joel Coen: da qualche film a questa parte, basta citare “A Serious Man” (per prologo, un racconto yiddish) e “Inside Llewyn Davis” (per epilogo, l’irruzione sulla scena musicale di Bob Dylan) sembrano più interessati al rapporto che l’uomo ha con il suo Dio, soprattutto quando annaspa in mezzo alle disgrazie. Forse neanche quello del Grande Lebowski, troppo pigro per scrivere trecento pagine.
Nel calderone, finiscono Emily Dickinson, Mark Twain e Carlo Petrini di Slow Food. Altri tre nomi che non sceglieremmo come campioni di nullafacenza. Il cortocircuito tra l’abito bianco della poetessa e il maglione marroncino con le greche, che fa pendant con la sfumatura color caffè slavato del white russian, pare un po’ troppo anche a chi ha accumulato negli anni titoli come “La vita secondo il grande Lebowski” (2007, Sperling & Kupfer) e “The Year’s Book of Lebowski Studies”, pubblicato dalla Indiana University Press. Il Grande Lebowski è sublime, i fratelli Coen sono geniali, “Il Vangelo secondo Lebowski” ogni tanto esagera in dottrina – ci sono anche “I Dodici Passi”, a uso dei Dudeisti Anonimi – e dimentica l’arte del cazzeggio.
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