“Molta finanza e poca industria nell'accordo Fiat-Chrysler”. Parla Guido Viale
Non è tutto un coro di elogi e, in qualche caso, peana quello che arriva alle orecchie di Sergio Marchionne, artefice dell’accordo che porterà Fiat a possedere il 100 per cento di Chrysler con meno capitale (4,3 miliardi di dollari) di quel che si aspettava la maggior parte degli osservatori. C’è chi come l’economista ed editorialista del manifesto, Guido Viale – notoriamente scettico sull’operato industriale del manager chiamato nel 2004 a risanare il gruppo – vede nell’operazione d’oltreoceano poche opportunità per il (depresso) mercato dell’auto italiano in termini di investimenti e produzione.
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Non è tutto un coro di elogi e, in qualche caso, peana quello che arriva alle orecchie di Sergio Marchionne, artefice dell’accordo che porterà Fiat a possedere il 100 per cento di Chrysler con meno capitale (4,3 miliardi di dollari) di quel che si aspettava la maggior parte degli osservatori. C’è chi come l’economista ed editorialista del manifesto, Guido Viale – notoriamente scettico sull’operato industriale del manager chiamato nel 2004 a risanare il gruppo – vede nell’operazione d’oltreoceano poche opportunità per il (depresso) mercato dell’auto italiano in termini di investimenti e produzione e, al contrario, preferisce illuminare i molti vantaggi – tutti di carattere finanziario, ergo pecuniari – per gli eredi della famiglia Agnelli, proprietari di Fiat, e per lo stesso Marchionne. “Gli Agnelli sono riusciti a impossessarsi della Chrysler senza sborsare un quattrino e continuando a mungere le casse della Fiat come hanno sempre fatto”, dice Viale al Foglio. “Tutto ciò dimostra l’abilità di Marchionne come finanziere ma restano da vedere i risultati industriali che verranno perché, per ora, l’unica cosa certa è lo spostamento del cervello della Casa auto da Torino a Detroit, dato che non è stata definita né perseguita alcuna strategia industriale”. Dunque un carattere tutto finanziario quello dell’operazione marchionnesca, secondo Viale. Tesi peraltro corroborata dal rialzo in doppia cifra del titolo Fiat (più 16 per cento nella seduta di ieri, ai livelli di agosto 2011) e di quello Exor, la finanziaria degli Agnelli (più 4,4), assieme al miglioramento dei giudizi di varie società d’analisi (Banca Akros, Hammer Partners, Equita, Kepler Cheuvreux). Va sottolineato che per altri analisti, come quelli della banca d’affari americana Citigroup, il debito di Fiat sarà il più alto fra tutti i costruttori europei, circa 10 miliardi di euro (“continuiamo ad avere dubbi circa la sua sostenibilità”, dicono).
Per il ministro dello Sviluppo, Flavio Zanonato, però, avere il controllo della cassa di Chrysler rappresenta una “premessa” per completare gli investimenti di Fiat in Italia. Cosa che non convince Viale: “Mancano le premesse di mercato per investire qui, oltretutto Marchionne è molto prudente quando si tratta di spendere, semmai assistiamo alla premessa per lo smantellamento sostanziale degli stabilimenti italiani di Fiat, destinati al massimo a diventare una succursale della produzione Chrysler, china verso la quale siamo orientati. Verranno prodotte grosse auto come Jeep, Freemont e i Suv, cui si sta convertendo ad esempio l’impianto di Melfi, e poco altro”. Viale, per evidenziare un paradosso marchionnesco, ricorda che cinque anni fa l’ad di Fiat-Chrysler disse che “mettersi a produrre Suv in Europa e in particolare in Italia sarebbe stata una vera follia”, ma adesso è l’unico margine produttivo che gli rimane, sostiene Viale. Eppure secondo molti osservatori, non ultimo lo storico d’impresa dell’Università Bocconi, esperto di Fiat, Giuseppe Berta, sarà invece l’alta gamma dei marchi Alfa Romeo e Maserati a sostenere il rilancio di Fiat, cosa che senza Chrysler sarebbe stata impossibile. “Questa opzione mi pare priva di qualsiasi prospettiva – ribatte Viale – perché la tecnologia c’è, ma mancano l’esperienza e la catena distributiva adatta. Il piano Maserati, quello di produrre 50 mila veicoli di lusso all’anno, è l’equivalente del piano Fabbrica Italia del 2010 (20 miliardi di investimenti nel paese, ndr), cioè un puro bluff visto che non si è realizzato”, aggiunge Viale, il quale ritiene che il mercato italiano dell’auto, al pari dell’economia nazionale dalla quale dipende, sia “senza prospettive”.
Le vendite di Fiat in Italia in dicembre sono in controtendenza (meno 2,6) rispetto al mercato nazionale che nello stesso mese è tornato leggermente positivo (più 1,7) a fronte però di un anno di declino (meno 7,9). Stessa tendenza positiva – nel mese scorso – per le immatricolazioni in Francia e Spagna. Ma non per questo Viale scommetterebbe su una ripresa dell’Auto europea. Sul mercato mondiale, poi, “resta da vedere come Fiat con Chrysler reggerà i contraccolpi sulla piazza brasiliana e americana – dice Viale –, il tutto subordinato a una strategia industriale da vedersi. Senza contare che le possibilità di giocarsi una buona partita sul reddittizio ma ormai affollato mercato cinese sono ormai molto limitate”. Viale dunque non cambia posizione alla luce dell’accordo, al contrario di sindacalisti, economisti e politici che da ieri sono saliti sul carro del vincitor Marchionne. “Ci sono già stati peana all’epoca dell’annuncio piano Fabbrica Italia e adesso possiamo verificare che erano assolutamente ingiustificati. L’ex sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, propose di stendere tappeti rossi ai piedi di Marchionne per avere salvato Fiat quando invece vediamo che ha salvato la cassa Agnelli”, chiosa Viale.
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