Il buono e il cattivo
Juve-Roma, il sacrificio di Tevez e la fragilità di De Rossi
Dieci vittorie consecutive sono l'attuale marchio di fabbrica juventino, dieci successi di fila avevano caratterizzato l'inizio della Roma. Questo non è però bastato per intaccare le gerarchie del campionato. I giallorossi sono stati incapaci di capitalizzare quanto raccolto all'inizio e oggi sembrano distantissimi dallo strapotere bianconero. Perché sarà pur vero che nello scontro diretto di Torino per un'ora buona la Roma è apparsa in grado di tener testa alla controparte in modo credibile ma, alla fine, la differenza l'hanno costruita le alternative in organico.
Undici reti in diciotto partite non sono da tutti, soprattutto per uno straniero. Noi italiani siamo sempre infatti generosi a concedere attenuanti e nel calcio lo facciamo con chi, venendo da fuori, deve capire le logiche di un campionato in cui la tattica toglie il fiato alle capacità individuali. Ma Carlos Tevez è arrivato già segnato dal lavoro con Roberto Mancini al Manchester City: quattro anni di buone vittorie e sostanziose incomprensioni, visti i rispettivi caratteri tutt'altro che accomodanti. Ma anche quattro stagioni in cui l'argentino ha appreso la lezione che avrebbe poi messo in pratica in serie A. E alla Juventus è diventato subito essenziale e insostituibile: fondamentale per i gol, imprescindibile per il lavoro di squadra. Un aspetto – quest'ultimo – che raramente accompagna le carriere degli attaccanti, gente che ama essere egoista. Tevez lo è sempre però stato poco. Al City ha saputo farsi spazio mettendosi (anche) al servizio in un reparto sovraffollato da gente non di secondo piano come Aguero, Dzeko e Balotelli. Alla Juventus è arrivato come la star assoluta ma con l'intelligenza di capire in che mondo fosse finito. Perché con Antonio Conte il primo errore da non commettere è quello di sentirsi superiore al resto del gruppo, e Tevez non l'ha fatto. Così, al fianco delle reti, ha posto il sacrificio per il collettivo e la capacità di saper giocare per gli altri. Come si è visto nella serata che avrebbe voluto riaprire il campionato e che invece ha corso il rischio di porvi una pietra tombale sopra. All'argentino sono bastati 17 minuti per indovinare il movimento di Vidal e liberarlo tutto solo davanti a De Sanctis. La rete dell'1-0 è stata la conseguenza logica della collaborazione, prima breccia nelle convinzioni della Roma e conferma dello stato di grazia che sta attraversando la Juventus in questo momento. Certo, rimane la macchia di una Champions League in cui Tevez è stato ospite non pagante quando invece avrebbe dovuto aiutare a far compiere il salto di qualità tanto atteso in Europa dalla società bianconera: sei partite e prestazioni anonime, ovviamente senza gol, che hanno contribuito a un'eliminazione precoce. Ma il passo in Italia resta differente, vuoi per la forza del collettivo bianconero, vuoi per la poca credibilità delle alternative. Con otto punti di vantaggio e venti partite da disputare è complicato vedersi sfuggire di mano uno scudetto e il ritorno in Champions dalla porta principale.
Dieci vittorie consecutive sono l'attuale marchio di fabbrica juventino, dieci successi di fila avevano caratterizzato l'inizio della Roma. Questo non è però bastato per intaccare le gerarchie del campionato. I giallorossi sono stati incapaci di capitalizzare quanto raccolto all'inizio e oggi sembrano distantissimi dallo strapotere bianconero. Perché sarà pur vero che nello scontro diretto di Torino per un'ora buona la Roma è apparsa in grado di tener testa alla controparte in modo credibile ma, alla fine, la differenza l'hanno costruita le alternative in organico. E, soprattutto, la capacità di autodisciplina. In settimana Francesco Totti aveva provato con la vecchia arma della rissa verbale, a Torino l'hanno accolta con sorrisi di circostanza e – soprattutto – commiserazione. Sul campo Daniele De Rossi è tornato a personali colpi di testa ormai ritenuti retaggio del passato. L'entrata scomposta su Chiellini, che ha portato all'espulsione diretta, ha fatto riemergere la fragilità di chi regge con fatica le pressioni e l'impotenza di chi sa di essere giunto in ritardo a un nuovo appuntamento con la storia. Perché la Juventus era già scappata sul 2-0 apparendo irraggiungibile alle capacità giallorosse, per gioco e personalità. E perché la Roma, nello scintillante inizio della gestione-Garcia, aveva fatto balenare più di un pensiero sulla possibilità di abbreviare il cammino della rinascita, consentendo a troppi di saltare gioiosamente in fretta su un carro giudicato in cammino verso una strada di gloria. Il tutto dimenticando che dalle cadute rovinose - è vero - ci si può rialzare, ma concedendo sempre il tempo necessario. Un peccato capitale nella città in cui si racconta che "Roma non venne costruita in un sol giorno". E quell'intervento senza senso di De Rossi, con il conseguente cartellino rosso, evidenzia quanto sia ancora lunga la strada da percorrere.
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