Quel vento globalizzatore che solo il governo Letta non coglie
Ci sono segnali di miglioramento nell’economia italiana nel quadro dell’Eurozona. L’indice Markit degli acquisti delle imprese manifatturiere in Europa in dicembre, infatti, è aumentato a 52,7 sul 51,1 di novembre (50 indica stabilità). La ripresa è guidata dalla Germania, ma l’Italia in dicembre è andata meglio della media europea, arrivando a 53,3. Certo, i magazzini delle nostre imprese manifatturiere si erano svuotati di più che nella media europea, perché la caduta della nostra produzione è stata maggiore, ma il recupero c’è.
Ci sono segnali di miglioramento nell’economia italiana nel quadro dell’Eurozona. L’indice Markit degli acquisti delle imprese manifatturiere in Europa in dicembre, infatti, è aumentato a 52,7 sul 51,1 di novembre (50 indica stabilità). La ripresa è guidata dalla Germania, ma l’Italia in dicembre è andata meglio della media europea, arrivando a 53,3. Certo, i magazzini delle nostre imprese manifatturiere si erano svuotati di più che nella media europea, perché la caduta della nostra produzione è stata maggiore, ma il recupero c’è. E’ il vento favorevole della globalizzazione, di cui finalmente approfittiamo. Esso ha fatto abbassare lo spread del nostro debito pubblico a meno di 200 punti. Non è merito del governo Letta. Infatti il deficit del bilancio è al 3 per cento del pil, senza miglioramento rispetto al livello del governo Monti del 2012, mentre il rapporto debito/pil è considerevolmente peggiorato. Ma la Obamanomics non tranquillizza gli investitori che stanno diversificando i portafogli rispetto ai T-bond. Nella finanza asiatica, emergono bolle speculative e bluff, inevitabili quando ci sono crescite del pil così robuste. E anche i fondi di investimento sovrani stanno spostando parte degli impieghi verso lidi più certi, come quelli del Vecchio continente i cui vizi e virtù sono noti. I Bund tedeschi, dopo il ribasso dei tassi d’interesse della Banca centrale europea attuato dal presidente Mario Draghi, non rendono nulla, in termini reali. E per avere rendimenti decenti, gli investitori istituzionali comprano Btp. Anche per le nostre grandi imprese ci sono segnali ottimistici, derivanti dalla globalizzazione, nonostante che la navicella lettiana faccia poco per captarli e i prestiti bancari non siano mai stati così scarsi (in calo del 5,9 per cento a novembre). Fiat ha realizzato l’acquisto totale di Chrysler e ora il suo futuro migliora, perché le vendite di Chrysler negli Stati Uniti nel 2013 sono aumentate del 9 per cento, un boom che genera risorse di mercato e finanziarie per l’intero gruppo. I veti di Maurizio Landini (Fiom) e Susanna Camusso (Cgil) e l’ignavia di Confindustria e governo di fronte ai contratti aziendali di Marchionne, resi incerti dalle variazioni della giurisprudenza, hanno ostacolato gli stabilimenti italiani di Fiat. In Spagna l’industria dell’auto è in ripresa grazie agli investimenti di imprese tedesche.
In Italia potrà riprendersi con il tiraggio del gruppo Fiat-Chrysler denazionalizzato. Anche l’Alitalia potrà rinascere, nonostante il pasticcio della cordata con le Poste, se il partner di controllo diventerà Etihad, di Abu Dhabi, che le porterà 300 milioni freschi e 60 destinazioni nel mondo, valorizzando sia Fiumicino sia Malpensa, sia Linate sia Torino Caselle, finora teatro di guerre di provincia per la spartizione del magro traffico. Gli arabi faranno la spending review, ma senza che i sindacati possano vietarla con i loro cordoni corporativi. Vediamo poi che Finmeccanica si rilancia da sé dopo che la magistratura italiana ha coinvolto nel processo per corruzione l’ex presidente Giuseppe Orsi per una commessa di 12 elicotteri Agusta la cui vendita all’India è sfumata questa settimana (solo tre erano già stati consegnati). Ma nel Varesotto si sanno fare gli elicotteri e si è avvezzi alla globalizzazione dall’epoca di Enrico dell’Acqua in poi. Tant’è che Finmeccanica ha vinto una commessa di 16 elicotteri Agusta in Norvegia per oltre 1 miliardo di euro. Poi c’è l’Ilva. La Cassazione ha revocato il sequestro di 8 miliardi alla famiglia Riva che aveva messo in ginocchio l’acciaieria di Taranto e gli altri stabilimenti. E le imprese, adesso, possono comprare più acciaio Ilva.
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