Siriani contro lo Stato islamico

Daniele Raineri

Si dice che lo sceicco Abu Bakr al Baghdadi abbia mandato a memoria tutte e dieci le riwaya più importanti, le letture con diverse intonazioni del Corano. Il capo dello Stato islamico*, però, che in questo momento esercita su Iraq e Siria un potere militare pari a quello del generale di un esercito, forse farebbe meglio a leggere anche l’ateo cinese Mao Tsetung, quando sostiene che la relazione tra la guerriglia e il popolo dev’essere come quella tra il pesce e l’acqua in cui nuota.

    Si dice che lo sceicco Abu Bakr al Baghdadi abbia mandato a memoria tutte e dieci le riwaya più importanti, le letture con diverse intonazioni del Corano. Il capo dello Stato islamico*, però, che in questo momento esercita su Iraq e Siria un potere militare pari a quello del generale di un esercito, forse farebbe meglio a leggere anche l’ateo cinese Mao Tsetung, quando sostiene che la relazione tra la guerriglia e il popolo dev’essere come quella tra il pesce e l’acqua in cui nuota. Invece Al Baghdadi, con il suo embrione di governo inesorabile, si è alienato la simpatia della popolazione siriana che ormai da venti mesi vive nel nord fuori dal controllo dei soldati del presidente Bashar el Assad. Ora lo sceicco sta subendo una rivolta generalizzata armi in pugno. Negli ultimi quattro giorni alcuni gruppi ribelli, che da mesi mal sopportano la presenza dello Stato islamico, si sono uniti e si sono sollevati attaccando allo stesso tempo i suoi quartieri generali da ovest a est, città per città, comprese le due più grandi: Aleppo e Raqqa. Fonti non verificate parlano di quasi 200 uomini uccisi. Il gruppo di Al Baghdadi ha per ora risposto attaccando con quattro autobomba i checkpoint nemici – sessanta ribelli sono morti – e minaccia altri attacchi contro quelli che fino a ieri erano i suoi alleati nella guerra contro Assad.

    Come si possono riassumere le accuse mosse allo Stato islamico dagli altri gruppi? Una su tutte è che i suoi uomini sono più impegnati nella fondazione del “Dawlah”, “lo Stato”, che nella guerra contro Assad: hanno occupato militarmente tutti i valichi di confine con la Turchia, che certamente sono punti strategici per chi vuole avere il controllo del passaggio di armi e combattenti, ma sono anche i più lontani dal fronte dei combattimenti contro il governo. Azaz, Dana, Jarablus, Tal Abyad: a molti siriani non sfugge che gli uomini di Baghdadi occupano i posti di frontiera dove non ci sono più soldati di Assad dal luglio 2012, mentre il grosso dei combattimenti è a sud, nella periferia di Damasco assediata, costretta alla fame e bombardata fino ad agosto anche con il gas nervino. Ci sono altre due accuse: lo Stato islamico non si considera subordinato al codice adottato dagli altri ribelli – che hanno deciso di assoggettarsi a un sistema di corti islamiche per regolare le controversie – e sequestra il personale umanitario e i giornalisti stranieri, e in questo modo tronca ogni contatto tra il mondo esterno e la Siria liberata proprio quando ne avrebbe più bisogno. Inoltre, il fatto che molti uomini di Baghdadi siano non-siriani rende maggiore l’attrito. Per indicare il governo islamico i ribelli usano l’acronimo derisorio “Daish”, che in arabo ricorda il verbo “calpestare, schiacciare con i piedi”.

    Lo Stato di Baghdadi risponde accusando i ribelli di avere preso le armi soltanto perché in combutta con l’occidente, con la Turchia e l’Arabia Saudita, in una sfida militare e dialettica. Il gruppo rivale Asifat al Shamal – “Tempesta del nord” – diventa “Asifat John McCain” perché ha ricevuto il senatore americano durante una sua breve visita in Siria. Il gruppo Ahfad al Rasoul, “i discendenti del Profeta”, diventa Ahfad al Faransa, i discedenti della Francia, per i presunti contatti con i servizi segreti francesi. In effetti il coordinamento eccellente tra i gruppi ribelli contro lo Stato islamico fa pensare all’intervento dall’esterno, in particolare dei sauditi, che sono gli sponsor della fazione più grande: il Fronte islamico. Come pure fanno pensare altri dettagli, per esempio il blocco delle frequenze radio durante il primo giorno di questa guerra interna. La seconda Conferenza di Ginevra (Montreux) è vicina, il 22 gennaio. Una guerra senza quartiere contro Baghdadi aiuterebbe questi gruppi ribelli a ricevere di nuovo aiuti da fuori.

    Proprio mentre catturano città intere in Iraq, gli uomini dello Stato islamico perdono in Siria il loro asset più prezioso: la relativa sicurezza e la libertà di movimento. Ora ogni curva, ogni checkpoint, ogni villaggio potrebbe trasformarsi in uno scontro a fuoco con forze ostili. Che è il destino di chi non sa portare dalla propria parte la popolazione locale, come anche gli americani appresero a fare in Iraq.

    *lo Stato islamico in Iraq e Sham è l’erede diretto di al Qaida in Iraq, ma quel nome – al Qaida – non è più usato (risale al 1981). Ideologia e strategia sono le stesse, il centro di comando è però diverso, perché l’iracheno Al Baghdadi rifiuta l’autorità dell’erede di Bin Laden, l’egiziano Ayman al Zawahiri.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)