Daje Pier Luigi

Stefano Di Michele

Caro compagno Bersani, “quell’ambaradan lì” (così dicevi di internet, con la saggezza e il bruciore di stomaco di vedere tanti eletti coglionamente là appesi: a legger fesserie, e soprattutto a dirne), tra cervello e pelata, tra membrane e cranio, ti ha fatto un brutto scherzo. Riparato, pare, dai bravi medici di Parma – reparto carozzeria neurologica, che neanche all’officina di Bettola avrebbero saputo far di meglio.

    Caro compagno Bersani, “quell’ambaradan lì” (così dicevi di internet, con la saggezza e il bruciore di stomaco di vedere tanti eletti coglionamente là appesi: a legger fesserie, e soprattutto a dirne), tra cervello e pelata, tra membrane e cranio, ti ha fatto un brutto scherzo. Riparato, pare, dai bravi medici di Parma – reparto carozzeria neurologica, che neanche all’officina di Bettola avrebbero saputo far di meglio. Un clip, un mollettone, un cambio d’olio, una revisionata ai freni: ché frenare hai dovuto parecchio, caro compagno Bersani, negli ultimi mesi – la lingua, prima; le giuste aspirazioni poi. E poi va’ a sapere certe cose da dove vengono: magari da malformazione congenita, magari da 101 pugnalatori che nell’ombra stavano e nell’ombra sono rimasti. C’è una sorte che certo preesiste, e insieme un destino che forse si forma. Nella vita di un politico più che in altre vite: fragilità di umori, di parole negate, di voti non dati. Giravano di quelli, rammenti di sicuro, che fino a poco prima stavano di fronte a te quasi come gli angeli dell’amato Gregorio Magno in contemplazione davanti a Dio, “incessantemente tremano”, presi “dalla vertigine dell’ammirazione”, e il giorno appresso mostravano la lama da Mackie Messer (carini e pettinati, però) del rinnovamento style. Succede, compagno Bersani – a casa nostra, come in casa altrui. E’ il sangue e la merda (e la vita, quindi, in definitiva) della politica stessa: a Andreotti bastava la terribile emicrania, a Moro la triste contabilità dei biglietti natalizi che diminuivano, a Craxi l’ira e l’urlo inascoltati da una spiaggia africana. Magari poi non c’entra niente, e quel che è accaduto doveva semplicemente accadere: inaffidabili le azioni degli uomini, figurarsi la carcassa che contiene cuore e anima (per alcuni) e cervello – un tale groviglio di spinte e controspinte, sentimenti e risentimenti, da far apparire una linea retta l’arabesco delle correnti del nostro Pd.

    Insomma, il corto circuito sta sempre lì: in agguato dietro la curva di un’arteria, sull’orlo del crepaccio di una valvola cardiaca. Ma poi, soprattutto adesso: chi se ne frega? Vivere, innanzi tutto, compagno Bersani. Voler vivere, come prima cosa, come in quel delizioso film di Lubitsch. Tu che dicevi di non poter fare il segretario del partito senza pronunciare la parola “sinistra” (figli e nipoti forse per sempre prigionieri, quasi solo ombre, siamo di quell’antico Pci che tu hai amorevolmente definito “rifugio di serietà”), adesso sei in prima pagina, con ecumenica ripartizione, e quasi con lo stesso grido d’esortazione, da una parte e dall’altra. Così titola l’Unità: “Forza Pier Luigi”. Così titola il Giornale: “Oggi forza Bersani”. Di sicuro non porta da nessuna parte – la nostalgia solletica il cuore (matto) nostro, poco l’elettorato – ma lo stesso adesso quasi pare d’intravedere – scrutando la corsia, al capezzale del letto – un debole rimpianto per la birra in solitudine, le metafore che furono successo (ah, grande Crozza!) e poi dannazione, persino per le vacanze che andavi a fare in Barbagia, e per il comizio d’investitura come candidato premier con polka e valzer (una volta invece sei andato a sentire Bob Marley, grigio funzionario comunista in giacca e cravatta, e così dentro l’odore di marijuana tutti ti prendevano per uno sbirro in borghese a caccia di canne illegali piuttosto che di giovanile sound). Dicono che sei vigile. Dicono che hai chiesto della Juve. Hai fatto lacrimare Brunetta, Grillo pure ti vuole vivo – che allora ti diceva morto. Ora però non montartela, la testa tornata a posto.