La diplomazia del basket festeggia il paffuto tiranno di Pyongyang

Giulia Pompili

La Corea del nord è un paese difficile da raccontare per i giornalisti, perché, come fu per l’Unione sovietica, la notizia non è mai dove la cercano tutti. Mentre i media internazionali si agitavano morbosamente per verificare le modalità dell’esecuzione dello zio traditore di Kim Jong-un, forse fatto sbranare da una muta di centoventi cani – i media italiani, quelli no, davano la notizia per certa – il paffuto dittatore stava organizzando la sua festa di compleanno che si celebra domani.

    La Corea del nord è un paese difficile da raccontare per i giornalisti, perché, come fu per l’Unione sovietica, la notizia non è mai dove la cercano tutti. Mentre i media internazionali si agitavano morbosamente per verificare le modalità dell’esecuzione dello zio traditore di Kim Jong-un, forse fatto sbranare da una muta di centoventi cani – i media italiani, quelli no, davano la notizia per certa – il paffuto dittatore stava organizzando la sua festa di compleanno che si celebra domani. E mentre Trevor Powell, ingegnere di Chicago con il pallino per i new media, scopriva che ad aver originato le fantasie canine sull’esecuzione dello zio di Kim Jong-un era stato un tweet satirico (rivelazione che meriterebbe qualche riflessione in più da parte di chi usa il web come fonte esclusiva d’informazione), Dennis Rodman, ex campione del basket americano, prendeva un volo per Pyongyang.

    Non è la prima volta che il tatuato cestista dell’Nba va in Corea del nord. I suoi viaggi sono sponsorizzati dalla società di scommesse irlandese Paddy Power. Lo scopo principale dei soggiorni di Rodman, famoso come una rockstar per i suoi successi sportivi ma soprattutto per i suoi eccessi privati, doveva essere all’inizio un documentario sulla “diplomazia del basket” prodotto dal magazine newyorchese Vice e trasmesso dall’emittente Hbo (a questo link è possibile vedere un episodio del documentario). Nel febbraio del 2013, però, l’ex campione dell’Nba e Kim Jong-un si sono incontrati, si sono piaciuti, hanno assistito a un incontro misto tra veterani del basket seduti fianco a fianco – Kim è un grande tifoso dei Chicago Bulls. Mentre i generali dell’Armata popolare nordcoreana rispondevano alle esercitazioni militari tra Stati Uniti e Corea del sud minacciando la guerra atomica contro i nemici occidentali, Rodman prometteva al giovane ed entusiasta dittatore che lui stesso avrebbe allenato la Nazionale nordcoreana, o comunque gli avrebbe dato una mano per le prossime Olimpiadi. Nel frattempo, avrebbe organizzato una partitella tra amici, chiamando qualche suo collega in pensione, in occasione del trentunesimo compleanno di Kim Jong-un. Ieri Rodman ha mantenuto la promessa ed è atterrato all’aeroporto di Pyongyang con sette ex stelle della Nba, tra cui Kenny Anderson, Cliff Robinson, e Vin Baker. Alloggeranno al Koryo Hotel, nel centro della capitale. “E’ solo per il suo compleanno che siamo qui”, ha detto Rodman, ma la Paddy Power non ha gradito questo improvviso amore – un po’ oltre le attività commerciali – per un paese che non è esattamente un esempio di amicizia tra i popoli, e si è sfilata dalla campagna pubblicitaria, mentre il tour operator inglese Koryo Tours sta vendendo i biglietti per la partita a 8.500 dollari l’uno.

    L’uomo che sta aiutando Dennis Rodman a coltivare la sua nuova passione per la Repubblica democratica nordcoreana si chiama Michael Spavor, un canadese di 38 anni che frequenta la Corea del nord dal 1990. Spavor è uno dei pochi occidentali a essere riuscito a conquistare la fiducia dell’apparato nordcoreano, vive a Yanji, nella zona di confine tra Cina e Corea del nord, parla fluentemente il dialetto del nord e di mestiere organizza viaggi e intrattiene relazioni con Pyongyang. Per questo, quando ieri la delegazione di atleti afroamericani alti più di due metri è arrivata nella capitale, Spavor fotografava e twittava con naturalezza le panoramiche scattate dal suo iPhone. Andrei Lankov, docente all’università Kookmin di Seul e uno dei massimi esperti di Corea del nord al mondo, conosce bene Spavor. In un’intervista al settimanale canadese Maclean’s ha detto: “Se si invia un diplomatico tradizionale è molto difficile trattare con la Corea del nord”. E’ per questo, forse, che Washington lascia il campione dei Chicago Bulls andare e venire indisturbato da Pyongyang.

    • Giulia Pompili
    • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.