Ciao democrazia diretta. Il caso sardo e il ripudio grillino dello sfogatoio web

Marianna Rizzini

In principio fu l’assemblea. Come quella del liceo, come quella di un film di Nanni Moretti: l’assemblea come idolo. Ma ora anche i Cinque Stelle, che all’assemblea perenne avevano eretto un altare simbolico, si stanno accorgendo che il cosiddetto “problema di metodo” è di merito: la democrazia diretta non può essere così minuziosamente diretta, pena l’inconcludenza (e, più che altro, l’irrilevanza).

    In principio fu l’assemblea. Come quella del liceo, come quella di un film di Nanni Moretti: l’assemblea come idolo. Ma ora anche i Cinque Stelle, che all’assemblea perenne avevano eretto un altare simbolico, si stanno accorgendo che il cosiddetto “problema di metodo” è di merito: la democrazia diretta non può essere così minuziosamente diretta, pena l’inconcludenza (e, più che altro, l’irrilevanza). Capita infatti che in Sardegna Beppe Grillo – padre-padrone, sì, ma dal suo punto di vista per fortuna – salvi gli attivisti da se stessi, negando alle fazioni litiganti l’uso del simbolo per le regionali, nonostante i risultati delle politiche (Cinque Stelle primo partito nell’isola).

    E capita che, sempre in Sardegna, la deputata di M5s Emanuela Corda dica parole che mesi fa sarebbero state infilzate dai compagni parlamentari in streaming: “…Avrei voluto abbandonare il tavolo. Temo che alcuni abbiano scambiato il Movimento per uno sfogatoio dove poter fare il proprio comodo, senza curarsi del fatto che, in certi contesti, occorra rispettare delle elementari regole di buona educazione… ‘Uno vale uno’ non significa che chiunque possa irrompere in un’assemblea e metterla a soqquadro. Non significa che ‘uno vale l’altro’ e che chi urla di più ha infine ragione”. E’ il re nudo, un tempo neppure guardabile dai neoparlamentari grillini (pena la crisi prematura d’identità). Ma è soprattutto l’ultima pietra lungo la via della disillusione: dalla democrazia diretta, dalla democrazia del Web, dall’idea che il Web che vomita qualsiasi suggestione epidermica sia panacea e rigenerazione. Visti poi i recenti incidenti da malaugurio twitteriano d’ogni provenienza (contro Pier Luigi Bersani in ospedale e contro la studentessa malata, viva grazie a esperimenti su animali) una parte dei Cinque Stelle eletti si è detta: ma questo è troppo. Troppo anche per un Web ideale da pianeta Gaia (quello di Gianroberto Casaleggio).

    “Non siamo pronti… c’è troppo livore, troppa incoscienza, troppo protagonismo nell’esternare ai quattro venti un malessere che è figlio primariamente delle nostre debolezze”, ha detto Emanuela Corda, e a questo punto ci si chiede che cosa l’abbia finora trattenuta dal denunciare una realtà lampante fin dal primo giorno di permanenza dei Cinque Stelle sulla ribalta nazionale, e dal trarne le conseguenze: la maleducazione è acuita proprio dal fatto di sentirsi legittimati dall’esistenza teorica della democrazia diretta (“uno vale uno” dunque io comando come te e comunque non comandi tu). Lo specchio, agli occhi di molti eletti, quotidianamente alle prese con le orde di “fan” anche insultanti sui social network, non rimanda più l’immagine dei cittadini candidi, migliori di chiunque possa lontanamente essere accomunato per status o pensiero alla fantomatica “casta”. Ma lo specchio, agli occhi degli attivisti, rimanda l’immagine di uno spreco: ma come, dite no a qualsiasi accordo sulla legge lettorale? Ma come, non vi presentate dove eravate primo partito? E infatti ieri, sul Web, era profluvio di critiche contro i parlamentari a Cinque Stelle sardi, rei, per la base, di mancata “consultazione” e “compattazione” dei gruppi locali (commento più gentile: “Dalle stelle alle stalle”).

    Ed è il pavimento che va in pezzi sotto ai piedi, per chi, emerso dal web grazie a un clic, si ritrova perennemente inchiodato da un clic (ne sa qualcosa l’ex grillino poi espulso Antonio Venturino, bersaglio, su Facebook, degli indignati della pizza: se un eletto proprio deve mangiarla, la pizza, che almeno sia margherita, ché la capricciosa costa troppo). Grillo ha tolto il simbolo e basta (“partecipare non è obbligatorio”, ha detto ieri), ma il fatto scatena dietrologie. “E’ una mossa per non perdere in vista delle Europee”, dicevano ieri, smentiti dai vertici a Cinque Stelle che annunciano liste in Abruzzo, gli osservatori anche benevoli che continuano a vedere in Grillo un pensoso stratega politico (peccato che Grillo continui a restare prima di tutto un attore).

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.